mercoledì 28 agosto 2019

SUL METODO DI VALUTAZIONE DEI PORTI CONTRIBUTO DI FAQTRIESTE AL DIBATTITO


L’estate sta finendo…

e le polemiche estive cedono la scena ad analisi più approfondite, con lo scopo di dare al nuovo governo delle indicazioni utili per una programmazione degli investimenti infrastrutturali, che non sia basata su opinioni (seppur di altissimo rilievo), ma su degli indici concreti, che possano permettere al nostro smarrito nocchiere di superare la tempesta, che sembra essere più perfetta che leggera.

LO SCENARIO DELLA TEMPESTA PERFETTA

I principali armatori mondiali stanno proseguendo nei loro programmi di costruzione di navi sempre più grandi, con l’obiettivo di ridurre i costi di trasporto per singola unità di carico (gigantismo navale).



Il processo non riguarda solo le navi container, ma anche navi per il trasporto di altre tipologie di merci.

Dall’altro lato però la crescita economica complessiva, sempre più lenta, e l’accendersi della guerra commerciale fra gli USA e la Cina, che a scacchiera determina altre crisi locali che coinvolgono tutti i paesi, non permettono l’utilizzazione al 100% di queste navi giganti.
Limitatamente al mercato dei container, Drewery prevede per i prossimi anni una crescita globale del 4,4% nel suo Global Container Terminal Operators Annual Review and Forecast 2019.
La conseguenza è che navi giganti stanno viaggiando sempre più vuote, spesso trasportando soprattutto l’acciaio con cui sono state costruite e quello di container che devono essere riportati vuoti dai paesi consumatori ai paesi produttori.

Per ridurre il problema, i già pochi armatori sono costretti ad unire le forze in alleanze commerciali, che prevedono di condividere spazi sulle navi messe in comune su determinate linee, riempendole un po’ di più e quindi riducendo i costi per unità di carico. Attualmente le alleanze sono solamente 3 ed è evidente come questo ristrettissimo oligopolio non sia salutare né per il mercato, né per chi deve scegliere quali investimenti effettuare nei porti.


INDICI PER LA MISURAZIONE DELLE PERFORMANCE DEI PORTI

Un indice ampiamente utilizzato è quello della totalizzazione dei TEU movimentati in un periodo, cioè il numero dei container da 20’equivalenti. Ma è un indice insufficiente: intanto il traffico container rappresenta circa il 30% del traffico marittimo mondiale, essendo il rimanente 70% ancora viaggiante con navi convenzionali o con navi specializzate (petroliere, gasiere, ecc. ecc.). Inoltre il numero dei container imbarcati e sbarcati dovrebbe essere comunque interpretato, tenendo conto dei container vuoti e dei container pieni, dei container destinati o provenienti dal mercato e di quelli destinati al transhipment. 
Gli indici ESPO utilizzati nei porti europei già contengono queste informazioni e dovrebbero essere riletti con maggior attenzione dai decisori politici. 


Un altro indice, che dall’avvento dei trasporti unitizzati è stato parzialmente dimenticato, è quello del quantitativo di merce sbarcata ed imbarcata, cioè delle tonnellate movimentate in un periodo. Questo indice ha il vantaggio di considerare tutte le tipologie di merce e non solo quelle viaggianti in container. Si veda ad esempio l’indice elaborato da SRM per Assoporti


Tuttavia non tutte le merci movimentate hanno lo stesso moltiplicatore di reddito e di ore lavorate, in altri termini di valore aggiunto. Il petrolio che si immette nella pipeline del terminal petrolifero triestino è la chiara rappresentazione della situazione: quello che per la merce rappresenta il modo più fluido (concedeteci il gioco di parole) di viaggiare, per il porto rappresenta unitariamente un modesto moltiplicatore di reddito, anche se grazie al volume complessivo ed al numero di navi sbarcate, rimane sempre il contributo maggiore al sistema portuale giuliano. Ma, superando il paradosso del petrolio che seppur merce alla rinfusa rappresenta il più unitizzato dei trasporti, in generale una tonnellata di merci varie o alla rinfusa generano una redditività superiore rispetto alle merci unitizzate.

Un indice più interessante, ancorché sempre limitato ai trasporti di merci containerizzate, è l’indice di connettività, elaborato dalla United Nations Conference on Trade and Development, che classifica un porto in base ad una media ponderata di
fattori tra cui il numero di servizi marittimi diretti (senza trasbordi) che collegano il porto con il resto del mondo, il numero di servizi marittimi (diretti e con trasbordo), il numero di toccate nave per mese, la dimensione delle navi che scalano il porto. Come il numero di TEU, si tratta di una visione parziale limitata ai container, ma sicuramente più rappresentativa della performance di un porto. Analizzando questo indice ci si può agevolmente rendere conto di come le polemiche estive siano sterili, dal momento che il porto di Capodistria è all’80° posto della classifica mondiale, Trieste è all’84°e Venezia all’86°. Dopo 300 anni dalla determinazione imperiale di libera navigazione, l’Adriatico è quindi destinato ad una lenta agonia da mare interno, relegato nelle zone basse della classifica. Guardando oltre Suez, solo le linee con l’Estremo Oriente sono dirette; in ambito mediterraneo, linee dirette sono disponibili verso i principali porti dell’arco orientale, ma dall’Egitto verso ovest i servizi sono carenti e non efficienti. In questo indice l’autostrada del mare che collega Trieste alla Turchia non viene evidentemente valorizzata, dal momento che prevalentemente non si tratta di servizi container.


Un indice che potrebbe essere utilizzato sarebbe quello delle ore lavorate all’interno del porto. Ma è un indice incalcolabile a livello europeo a causa delle diverse modalità organizzative del lavoro portuale fra paese e paese; figuriamoci a livello mondiale! Eppure sarebbe un indice fondamentale per permettere al decisore politico di valutare l’impatto degli investimenti pubblici in un porto. Pensiamo alle numerose situazioni tragiche che coinvolgono porti italiani in cui lo Stato ha fortemente investito, senza aver un ritorno in creazione di valore aggiunto.

PER LA MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE DI SISTEMA.

Ma poi, ai fini di una decisione politica sensata, è utile un indice o un mix di indici che misurino la performance di un porto? Pensiamo al porto di Trieste: esso è decisamente un porto internazionale, come da definizione derivante dal trattato di pace di Parigi, strategicamente poco utile all’Italia ma fondamentale per l’Europa centrale. Si può decidere come indirizzare gli scarsi investimenti pubblici sulla base di un indice quale le tonnellate movimentate, se il 95% di queste merci è destinato o proviene da altri paesi? 

A nostro modesto avviso, le misurazioni vanno fatte sulla performance del sistema portuale, concetto adottato dalla legislazione italiana, ma grettamente interpretato nel senso di una semplificazione amministrativa derivante dall’unificazione di alcune autorità portuali in autorità di sistema. Il concetto avrebbe meritato altra sorte, essendo fondamentale nel cercare di dare un senso ai nostri porti, a tutti i porti. Si dovrebbe quindi definire il perimetro del sistema portuale, comprendendo esso sia i porti su cui esso viene ad incardinarsi, che le strutture logistiche retrostanti ad essi afferenti, che il sistema di strade e ferrovie che li alimentano. Detto in parole povere, non ha senso investire in un terminal container, se non si crea all’interno del sistema un sottosistema logistico ed industriale che sia in grado di aggiungere valore ad ogni singolo container movimentato. Se il sistema portuale nord adriatico debba comprendere porti e interporti di più paesi europei non viene, purtroppo, deciso su basi logiche, ma esclusivamente politiche: in altre parole, quello che gli operatori privati già di fatto utilizzano come unico sistema non verrà definito come tale fino a quando continueremo a ragionare in termini nazionali, anziché in termini autenticamente europei, con regole uniche e univoche. E, a considerare l’attuale scenario, la strada da fare è ancora lunghissima.

Allora è il mix di fattori e di indici che dovrebbe orientare la decisione strategica, che consideri tutti quelli sopra elencati, ma che misuri anche la performance sulle merci non containerizzate, che tenga conto del valore aggiunto creato dal sistema portuale, ossia le ore lavorate (con lavoro vero, non nero!) e il reddito d’impresa generati dalle tonnellate di merce movimentata dalle strutture portuali e retroportuali del sistema.

Il sistema portuale vincente a nostro parere ha

-         Un elevato indice di connettività: l’Adriatico deve ambire a migliorare la sua posizione e sono francamente indefinibili i termini esaltanti che Luka Koper ha usato per definire il suo primato, all’80° posto ! Linee di navigazione dirette devono servire innanzitutto il Mediterraneo occidentale, perché è illogico che una merce tedesca vada ad Anversa per imbarcarsi verso l’Algeria e, vista l’attuale situazione, certamente non viene nei nostri porti tirrenici. Ma se vogliamo in qualche modo riposizionare l’Adriatico rispetto al Mare del Nord, sono necessarie linee dirette per le Americhe e per l’Africa Occidentale.

-         Un’offerta che copra tutte le modalità di spedizione marittima: Capodistria ha costruito la sua iniziale fortuna sull’ampia disponibilità di spazi e su tariffe portuali competitive, guadagnando giustamente la fiducia delle merci varie alla rinfusa e in colli. Guardando alle merci che da sempre hanno riempito le stive, prodotti siderurgici, forestali, fertilizzanti, impianti sono stati respinti dai porti italiani, che hanno percorso la strada del trasporto unitizzato, per poi accorgersi che i container si riempiono con le stesse merci. Per fortuna si è mantenuta ancora un’esperienza nella loro movimentazione, soprattutto nei porti cosiddetti minori come Monfalcone, Chioggia, Porto Nogaro. Ecco il senso autentico di sistema portuale, che va ben oltre alla pura gestione amministrativa.

-        Un sistema interportuale alle spalle, che possa offrire alla clientela una gestione logistica razionale e vincente. Bisogna superare il concetto di rottura di carico = costo indesiderato. La cosiddetta rottura di carico è auspicabile se evita per esempio la circolazione inutile di container vuoti o gli spostamenti di materie prime o semilavorati dal porto al hinterland, dove debitamente combinati in prodotti finiti devono poi ritornare al porto di partenza. In tal senso regimi doganali particolari come zone franche o, meglio ancora, come il porto franco internazionale di Trieste, devono essere valorizzati, non demonizzati, dagli stati. In merito a questo argomento, i silenzi imbarazzati dei rappresentanti politici e dell’informazione significano l’impreparazione e la sciatteria, anche di chi propugna l’autarchia ed Italy First ! 
(   
-         Collegamenti ferroviari e stradali che permettano di far fluire le merci in modo razionale ed economico e, per quanto possibile, ecocompatibile. Non ha senso investire in strutture portuali se non si hanno i denari per investire nelle ferrovie che li collegano al resto della terraferma. A Trieste nessuno si è sognato di investire in un terminal petrolifero portuale senza aver prima realizzato la pipeline che porta la merce al di là delle Alpi


 L’alternativa sarebbero stati 2 milioni di camion cisterna annui in più, ad intasare le nostre già insufficienti strade !























1 commento:

  1. Un porto, come qualsiasi impianto industriale, scientifico e di ricerca ha un valore strategico internazionale ma anche geopolitico e militare.Sì,militare!La cosa può anche non piacere, ma non possiamo farci nulla; un porto attivo distribuisce ricchezza ma obbliga anche a determinati schemi.Dunque, tralasciando la questione delle ferrovie triestine , che già dopo la prima guerra mondiale avevano mostrato , una volta che ne era stata frantumata l'unità operativa e di gestione,tutta la loro debolezza e tutta l'ostilità italiana ( che è qualche cosa di più di un semplice rifiuto) alla costruzione di ferrovie alternative e senza andare in cerca di altre soluzioni per le quali i quattrini non sono mai arrivati . Restiamo sul traffico di banchina . Basta esso a definire un porto ? Ci ricordiamo come all'inizio della crisi del 2008, i porti del Nord soffrirono anch'essi di contrazioni di traffico? E come ci misero una pezza? Con un'aumento del traffico da magazzino.E a Trieste cosa si fa per riattivare un'altro pilastro portuale , cioè il deposito di commodities da commercializzare al meglio del mercato?Nulla! Anzi ci giochiamo 700mila mq2 di zona franca per dare spazio al Comune con le sue cianfrusaglie.Ma qualcuno si renderà conto come territorio non recuperabile in un ambiente che di spazi non abbonda sia un qualche che non ha giustificazioni che riguardino il bene del porto? Forse,chissà, il bene di qualche altro soggetto, non so?

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