e
le polemiche estive cedono la scena ad analisi più approfondite, con lo scopo
di dare al nuovo governo delle indicazioni utili per una programmazione degli
investimenti infrastrutturali, che non sia basata su opinioni (seppur di altissimo
rilievo), ma su degli indici concreti, che possano permettere al nostro
smarrito nocchiere di superare la tempesta, che sembra essere più perfetta che
leggera.
LO
SCENARIO DELLA TEMPESTA PERFETTA
I
principali armatori mondiali stanno proseguendo nei loro programmi di
costruzione di navi sempre più grandi, con l’obiettivo di ridurre i costi di
trasporto per singola unità di carico (gigantismo navale).
Il
processo non riguarda solo le navi container, ma anche navi per il trasporto di
altre tipologie di merci.
Dall’altro
lato però la crescita economica complessiva, sempre più lenta, e l’accendersi
della guerra commerciale fra gli USA e la Cina, che a scacchiera determina
altre crisi locali che coinvolgono tutti i paesi, non permettono l’utilizzazione
al 100% di queste navi giganti.
Limitatamente
al mercato dei container, Drewery prevede per i prossimi anni una crescita
globale del 4,4% nel suo Global Container Terminal Operators Annual Review and
Forecast 2019.
La
conseguenza è che navi giganti stanno viaggiando sempre più vuote, spesso
trasportando soprattutto l’acciaio con cui sono state costruite e quello di
container che devono essere riportati vuoti dai paesi consumatori ai paesi
produttori.
Per
ridurre il problema, i già pochi armatori sono costretti ad unire le forze in
alleanze commerciali, che prevedono di condividere spazi sulle navi messe in
comune su determinate linee, riempendole un po’ di più e quindi riducendo i
costi per unità di carico. Attualmente le alleanze sono solamente 3 ed è
evidente come questo ristrettissimo oligopolio non sia salutare né per il
mercato, né per chi deve scegliere quali investimenti effettuare nei porti.
INDICI
PER LA MISURAZIONE DELLE PERFORMANCE DEI PORTI
Un
indice ampiamente utilizzato è quello della totalizzazione dei TEU movimentati in un periodo, cioè il
numero dei container da 20’equivalenti. Ma è un indice insufficiente: intanto
il traffico container rappresenta circa il 30% del traffico marittimo mondiale,
essendo il rimanente 70% ancora viaggiante con navi convenzionali o con navi
specializzate (petroliere, gasiere, ecc. ecc.). Inoltre il numero dei container
imbarcati e sbarcati dovrebbe essere comunque interpretato, tenendo conto dei
container vuoti e dei container pieni, dei container destinati o provenienti
dal mercato e di quelli destinati al transhipment.
Gli
indici ESPO utilizzati nei porti europei già contengono queste informazioni e
dovrebbero essere riletti con maggior attenzione dai decisori politici.
Tuttavia
non tutte le merci movimentate hanno lo stesso moltiplicatore di reddito e di
ore lavorate, in altri termini di valore aggiunto. Il petrolio che si immette
nella pipeline del terminal petrolifero triestino è la chiara rappresentazione
della situazione: quello che per la merce rappresenta il modo più fluido
(concedeteci il gioco di parole) di viaggiare, per il porto rappresenta
unitariamente un modesto moltiplicatore di reddito, anche se grazie al volume
complessivo ed al numero di navi sbarcate, rimane sempre il contributo maggiore
al sistema portuale giuliano. Ma, superando il paradosso del petrolio che
seppur merce alla rinfusa rappresenta il più unitizzato dei trasporti, in
generale una tonnellata di merci varie o alla rinfusa generano una redditività
superiore rispetto alle merci unitizzate.

fattori tra cui il
numero di servizi marittimi diretti (senza trasbordi) che collegano il porto
con il resto del mondo, il numero di servizi marittimi (diretti e con
trasbordo), il numero di toccate nave per mese, la dimensione delle navi che
scalano il porto. Come il numero di TEU, si tratta di una visione parziale
limitata ai container, ma sicuramente più rappresentativa della performance di
un porto. Analizzando questo indice ci si può agevolmente rendere conto di come
le polemiche estive siano sterili, dal momento che il porto di Capodistria è
all’80° posto della classifica mondiale, Trieste è all’84°e Venezia all’86°.
Dopo 300 anni dalla determinazione imperiale di libera navigazione, l’Adriatico
è quindi destinato ad una lenta agonia da mare interno, relegato nelle zone
basse della classifica. Guardando oltre Suez, solo le linee con l’Estremo
Oriente sono dirette; in ambito mediterraneo, linee dirette sono disponibili
verso i principali porti dell’arco orientale, ma dall’Egitto verso ovest i
servizi sono carenti e non efficienti. In questo indice l’autostrada del mare
che collega Trieste alla Turchia non viene evidentemente valorizzata, dal
momento che prevalentemente non si tratta di servizi container.
Un
indice che potrebbe essere utilizzato sarebbe quello delle ore lavorate all’interno del porto. Ma è un indice incalcolabile a
livello europeo a causa delle diverse modalità organizzative del lavoro
portuale fra paese e paese; figuriamoci a livello mondiale! Eppure sarebbe un
indice fondamentale per permettere al decisore politico di valutare l’impatto
degli investimenti pubblici in un porto. Pensiamo alle numerose situazioni
tragiche che coinvolgono porti italiani in cui lo Stato ha fortemente
investito, senza aver un ritorno in creazione di valore aggiunto.
PER
LA MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE DI SISTEMA.
Ma
poi, ai fini di una decisione politica sensata, è utile un indice o un mix di
indici che misurino la performance di un porto? Pensiamo al porto di Trieste:
esso è decisamente un porto internazionale, come da definizione derivante dal
trattato di pace di Parigi, strategicamente poco utile all’Italia ma
fondamentale per l’Europa centrale. Si può decidere come indirizzare gli scarsi
investimenti pubblici sulla base di un indice quale le tonnellate movimentate,
se il 95% di queste merci è destinato o proviene da altri paesi?
A nostro modesto
avviso, le misurazioni vanno fatte sulla performance
del sistema portuale, concetto adottato dalla legislazione italiana, ma
grettamente interpretato nel senso di una semplificazione amministrativa
derivante dall’unificazione di alcune autorità portuali in autorità di sistema.
Il concetto avrebbe meritato altra sorte, essendo fondamentale nel cercare di
dare un senso ai nostri porti, a tutti i porti. Si dovrebbe quindi definire il
perimetro del sistema portuale, comprendendo esso sia i porti su cui esso viene
ad incardinarsi, che le strutture logistiche retrostanti ad essi afferenti, che
il sistema di strade e ferrovie che li alimentano. Detto in parole povere, non
ha senso investire in un terminal container, se non si crea all’interno del
sistema un sottosistema logistico ed industriale che sia in grado di aggiungere
valore ad ogni singolo container movimentato. Se il sistema portuale nord
adriatico debba comprendere porti e interporti di più paesi europei non viene,
purtroppo, deciso su basi logiche, ma esclusivamente politiche: in altre
parole, quello che gli operatori privati già di fatto utilizzano come unico
sistema non verrà definito come tale fino a quando continueremo a ragionare in
termini nazionali, anziché in termini autenticamente europei, con regole uniche
e univoche. E, a considerare l’attuale scenario, la strada da fare è ancora
lunghissima.
Allora
è il mix di fattori e di indici che dovrebbe orientare la decisione strategica,
che consideri tutti quelli sopra elencati, ma che misuri anche la performance
sulle merci non containerizzate, che tenga conto del valore aggiunto creato dal
sistema portuale, ossia le ore lavorate (con lavoro vero, non nero!) e il
reddito d’impresa generati dalle tonnellate di merce movimentata dalle
strutture portuali e retroportuali del sistema.
Il
sistema portuale vincente a nostro parere ha
-
Un elevato indice
di connettività: l’Adriatico deve ambire a migliorare la sua posizione e sono
francamente indefinibili i termini esaltanti che Luka Koper ha usato per definire
il suo primato, all’80° posto ! Linee di navigazione dirette devono servire
innanzitutto il Mediterraneo occidentale, perché è illogico che una merce
tedesca vada ad Anversa per imbarcarsi verso l’Algeria e, vista l’attuale
situazione, certamente non viene nei nostri porti tirrenici. Ma se vogliamo in
qualche modo riposizionare l’Adriatico rispetto al Mare del Nord, sono
necessarie linee dirette per le Americhe e per l’Africa Occidentale.
-
Un’offerta che
copra tutte le modalità di spedizione marittima: Capodistria ha costruito la
sua iniziale fortuna sull’ampia disponibilità di spazi e su tariffe portuali
competitive, guadagnando giustamente la fiducia delle merci varie alla rinfusa
e in colli. Guardando alle merci che da sempre hanno riempito le stive,
prodotti siderurgici, forestali, fertilizzanti, impianti sono stati respinti
dai porti italiani, che hanno percorso la strada del trasporto unitizzato, per
poi accorgersi che i container si riempiono con le stesse merci. Per fortuna si
è mantenuta ancora un’esperienza nella loro movimentazione, soprattutto nei
porti cosiddetti minori come Monfalcone, Chioggia, Porto Nogaro. Ecco il senso
autentico di sistema portuale, che va ben oltre alla pura gestione
amministrativa.

(
-
Collegamenti
ferroviari e stradali che permettano di far fluire le merci in modo razionale
ed economico e, per quanto possibile, ecocompatibile. Non ha senso investire in
strutture portuali se non si hanno i denari per investire nelle ferrovie che li
collegano al resto della terraferma. A Trieste nessuno si è sognato di
investire in un terminal petrolifero portuale senza aver prima realizzato la
pipeline che porta la merce al di là delle Alpi
Un porto, come qualsiasi impianto industriale, scientifico e di ricerca ha un valore strategico internazionale ma anche geopolitico e militare.Sì,militare!La cosa può anche non piacere, ma non possiamo farci nulla; un porto attivo distribuisce ricchezza ma obbliga anche a determinati schemi.Dunque, tralasciando la questione delle ferrovie triestine , che già dopo la prima guerra mondiale avevano mostrato , una volta che ne era stata frantumata l'unità operativa e di gestione,tutta la loro debolezza e tutta l'ostilità italiana ( che è qualche cosa di più di un semplice rifiuto) alla costruzione di ferrovie alternative e senza andare in cerca di altre soluzioni per le quali i quattrini non sono mai arrivati . Restiamo sul traffico di banchina . Basta esso a definire un porto ? Ci ricordiamo come all'inizio della crisi del 2008, i porti del Nord soffrirono anch'essi di contrazioni di traffico? E come ci misero una pezza? Con un'aumento del traffico da magazzino.E a Trieste cosa si fa per riattivare un'altro pilastro portuale , cioè il deposito di commodities da commercializzare al meglio del mercato?Nulla! Anzi ci giochiamo 700mila mq2 di zona franca per dare spazio al Comune con le sue cianfrusaglie.Ma qualcuno si renderà conto come territorio non recuperabile in un ambiente che di spazi non abbonda sia un qualche che non ha giustificazioni che riguardino il bene del porto? Forse,chissà, il bene di qualche altro soggetto, non so?
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