Tutti insieme appassionatamente a parlare di
porto, di organici e di traffici, ma anche di emergenze, come quella degli
stipendi che la Culmv deve pagare ai suoi mille soci. Perché il paradosso di
Genova è che non di un porto qualunque si parla, ma della prima realtà
nazionale che, da sempre, ha dettato la linea delle riforme sulle banchine,
dall’organizzazione del lavoro alla privatizzazione dei servizi.
Quel modello,
che da più di vent’anni sottende alla pace sociale, ora ha bisogno di essere
rinnovato e, da questo punto di vista, il tavolo allargato messo a punto a
palazzo San Giorgio dal presidente Paolo Signorini e dal segretario generale
Marco Sanguineri va nella direzione giusta. Autorità, portuali, sindacati e
terminalisti si riuniscono infatti per discutere della madre di tutte le
questioni, vale a dire l’organizzazione del lavoro. Il punto di partenza è un
2018 reso difficile dal crollo del Ponte Morandi, che ha imposto una brusca
inversione verso il basso. È in questo contesto che si innesta la decisione-chiave
del ragionamento, cioè la messa a punto con la Culmv di uno schema in grado non
di gestire l’emergenza, anno dopo anno, con interventi-tampone per consentire
la chiusura dei bilanci rinviando più in là la soluzione definitiva, ma di
sancire un accordo destinato a durare a lungo. Per farlo però è necessario
mettere a posto tutte le tessere del mosaico, l’organizzazione del lavoro
dentro ai terminal, la formazione dei lavoratori, il pagamento delle fatture
alla Culmv. Proprio questo è il punto delicato della questione. Alla Compagnia
si è chiesto con celerità, giustamente, un piano che ne ridefinisca ambiti e
organici. Il piano è stato approntato, ma della sua messa in atto ancora nessun
segnale concreto. Il tempo passa e comincia nuovamente a salire l’emergenza per
la prossima scadenza, il 20 marzo, giorno di pagamento degli stipendi. C’è
ancora margine per versare ai portuali almeno gli acconti del lavoro già svolto
nel 2018 da parte di alcuni terminalisti, ma in assenza di questi atti c’è il rischio
concreto che la tensione possa salire e sfociare in protesta. Anzi, più che un
rischio è una certezza.
Antonio Benvenuti CULMV |
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