Cambio di rotta su Venezia
Pechino vuole i container
La città lagunare ha stretto un'alleanza con il Pireo,
per avvicinare le merci ai luoghi di arrivo
Il presidente dell 'Autorità
portuale: "Noi veneziani da sempre abbiamo un occhio alla
geopolitica"
Partiamo da un cambio di rotta dei cinesi su Venezia.
China communication construction company (Cccc), quinto generaI contractor al
mondo, con il progetto definitivo consegnato prima dell'estate all' Autorità
portuale di Venezia, ha dichiarato che il mega terminaI offshore in mezzo all'
Adriatico, a 8 miglia da Malamocco, economicamente non regge.
Causa effetti
legati alle onde e al vento, secondo Cccc le banchine sarebbero impraticabili
almeno 90 giorni l'anno. Gli studi preliminari cinesi erano in gioco non solo
per progettare, studi pagati con 4 milioni di fondi statali, ma anche per
costruire e gestire il terminal d'altura. E però non mollano. Hanno in pari
tempo consegnato anche un progetto preliminare per realizzare la cosiddetta
«banchina alti fondali» davanti alla bocca di porto di Malamocco.
«Sono in corso
le verifiche tecniche - dice Pino Musolino, presidente dell' Autorità portuale
veneziana – per valutare l'efficacia complessiva, dal punto di vista logistico
e economico di questa infrastruttura.
E in questo caso, Cccc si candiderà a
costruire e gestire l'opera, che richiede 1,3 miliardi di euro di investimenti».
Tutta da valutare la modalità del trasporto delle merci dalle banchine «alti
fondali» nelle acque dell' Adriatico fino alle aree logistiche di Porto
Marghera affacciate alla laguna. Un andirivieni di chiatte?
Un treno per merci
ad alta velocità sotto al fondale della laguna stessa? Vedremo cosa immaginerà
Cccc. Ma questa è solo una delle partite in cui operatori cinesi stanno
guardando allo scalo veneziano. «L'accordo sottoscritto con i cinesi di Cosco -
dice ancora Musolino - per me è esemplare. A me interessano i traffici, non che
i cinesi finanzino le nostre infrastrutture e caso mai nella gestione li vedo
solo in minoranza. Chiamiamola geopolitica, noi veneziani l'abbiamo praticata
per secoli controllando i traffici marittimi nell' Adriatico e nel Mediterraneo
orientale».
In sostanza, Venezia ha un patto semplice con il Pireo: Cosco
garantisce un flusso di navi che, partendo dallo scalo greco, risalgono l'Adriatico
per avvicinare le merci alle loro destinazioni finali (evitando camion e
improbabili treni).
Una sorta di gemellaggio. Naturalmente, le navi di
ultima generazione che arrivano al Pireo sono impossibilitate a entrare in
laguna: le bocche di porto legate al Mose prevedono un pescaggio di 12 metri e
dunque escludono le navi portacontainer più grandi.
ll tema dell'accessibilità
nautica e il groviglio di norme e di istituzioni preposte alla salvaguardia
dell'ambiente lagunare rappresentano un fattore di limite per le attività
portuali a Venezia. Che ha nella disponibilità di aree di grandi dimensioni e logisticamente
appetibili il proprio atout. E difatti vari sono i piani che investitori di
caratura mondiale stanno coltivando su Venezia (Porto Marghera).Proprio in
queste ore Musolino è a Singapore per definire con la locale Autorità portuale
(Psa) le modalità della messa in gara del terminaI container gestito oggi da
Vecon (emanazione di Psa). E allo stesso modo andrà per il terminal Tiv,
gestito dalla ginevrina Msc di Gianluigi Aponte. Perché nel rinnovo delle
concessioni saranno inclusi investimenti per centinaia di milioni funzionali
all'incremento dei traffici. «Ma la partita più cospicua consiste nel recupero
dei 90 ettari dell'area ex Montesindyal- dice Musolino - che può accogliere
un'area container, ma anche una piattaforma destinata all'importazione di
prodotti cinesi semi-lavorati, che dovrebbero dunque essere compiuti in terra
italiana e dare un'occupazione ai nostri giovani.
Qui scatta il valore aggiunto
di area franca e di una Zes in regime fiscale e doganale agevolato. Ne stiamo
parlando con le autorità di governo cinesi e con le loro camere di commercio».
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