LA STAMPA ha pubblicato il 22 novembre due articoli particolarmente interessanti perchè firmati dall'ex direttore del PICCOLO Paolo Possamai. Il CORRIERE DELLA SERA ha pubblicato sullo stesso tema una serie di indizi raccolti in un articolo il 2 dicembre scorso.
La Via della Seta in
Italia le mani
cinesi su Trieste 22 novembre 2018
Il grande progetto di Xi
ha individuato nel Nord-Est la porta di ingresso per l'Europa L'Autorità portuale
giuliana ha riaperto la ferrovia asburgica per connettersi al continente.
Paolo Possamai
Via della Seta. Nome
morbido. Ma sostanza molto hard nello schema geopolitico che oppone Cina e Stati
Uniti per il dominio del mondo e in specie per l'egemonia commerciale
sull'Europa. Perché la Via della Seta punta a entrare nel cuore del Vecchio
Continente, usando i varchi di accesso dei porti di Trieste e di Venezia.
Lo
dicono gli investimenti in atto e in programma. Zeno D'Agostino, presidente dell'
Autorità portuale di Trieste e Monfalcone, ha veicolato tramite Asia Times una
tesi molto essenziale: «Il Porto di Trieste necessita di 1,2 miliardi di
dollari di investimenti per sostenere il suo sviluppo, particolarmente nelle
nuove zone franche.
Investitori cinesi stanno trattando per coprire metà dei
costi, anche se altri operatori stranieri hanno mostrato interesse da Kazakhstan,
Azerbaijan, Turchia, Iran e Malesia».
I capitoli di sviluppo del porto giuliano
sono legati ai nomi dei moli e di aree dismesse da decenni. Partita che
potrebbe dare un orizzonte di sviluppo formidabile a una città altrimenti in declino.
«Stiamo combattendo il declino - dice D'Agostino - e lo dicono numeri che ci
proiettano a essere l'undicesimo porto europeo per volumi.
Siamo diventati
attrattivi e competitivi perché sotto a una sola autorità offriamo un sistema
logistico integrato, fatto di banchine, interporti, zone franche, servizi ferroviari».
Il bacino non è l'Italia la vera intuizione di D'Agostino, che da un paio di
settimane è anche vice-presidente di European Ports Organisation, consiste
nell'aver riconnesso lo scalo al suo vero bacino, che non è l'Italia ma i
mercati europei centro-orientali. Lo sanno bene i cinesi. E ha rimesso in funzione
la rete dei binari posati dall'impero asburgico, raddoppiando in un paio d'anni
il volume dei treni che portano in
Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria.
Tant'è che Viktor Orban, qualche giorno
fa, ha dichiarato che l'Ungheria punta sul rapporto con Trieste e si sfila
invece dal co-finanziamento della ferrovia collegata al porto sloveno di
Capodistria. Mosse che ai cinesi non sfuggono, naturalmente.
Così che non
sorprende vedere tanti orientali intenti a studiare le carte portuali triestine.
Perché risponde al criterio base degli investitori cinesi, racchiuso
nell'acronimo ppc: port, park (aree industriali), city. Significa che tutto il
contesto deve essere attrattivo. Ecco perché guardano al raddoppio del Molo
VII, terminal contenitori che richiede 200 milioni di euro di investimento e
che per 60 anni è in concessione a una società al 50% di Msc (Aponte) e al 50%
della To Delta di Pierluigi Maneschi.
Un primario global contractor cinese sta
trattando per entrare, con una quota di minoranza, in To Delta. «In generale -
commenta D'Agostino - rifiutiamo investitori solo finanziari. Prediligo chi porta
traffici e si assume il rischio di costruire l'infrastruttura. Banche e fondi
di investimento alla porta ne abbiamo a iosa». Tesi che va tenuta a mente per
definire le regole del gioco.
In questione ci sta l'interesse di China
Merchants Group (Cmg), ma anche di Dubai Port World (Dpw gestisce 78 terminaI in
giro per il mondo) per le numerose operazioni in atto: Piattaforma logistica
(20 ettari), futuro Molo VIII, area Teseco (ex-raffinerie Aquila, 40 ettari).
Senza dire che pure il sito della storica Ferriera di Servola, già Italsider e
oggi parte del gruppo Arvedi, è in predicato di essere riconvertita a funzioni
logistiche (60 ettari). Il capitolo più vicino consiste di sicuro nella
Piattaforma logistica, cantiere che sarà concluso entro metà 2019 e attualmente
in mano a San Servolo Docks controllata da Parisi Group e Icop.
In pole position per
rilevare la maggioranza ci sta oggi Cmg, che poi potrà candidarsi a costruire e
a gestire il colossale Molo VIII (più che doppio rispetto al Molo VII). «Ma
vorrei sottolineare – dice ancora D'Agostino - che a parte infrastrutture
adeguate a traffici destinati a crescere nei loro piani esponenzialmente, gli
investitori cinesi o degli Emirati Arabi vedono in Trieste l'opportunità di
zone industriali prospicienti al mare, dotate di zone franche e di snodi
logistici efficienti. Insomma un ecosistema armonico e ben regolato ove
insediare i loro partner». Un grande gioco a incastro, con l'intervento di
interessi di scala globale, sta partendo nell' area portuale triestina.
Al
punto che un pezzo di città dove sta la Ferriera potrebbe cambiare destino. «Il
piano di espansione portuale, e in particolare la necessità di un'area ove
attrezzare treni da 750 metri, ci spinge a trattare per l'area della Ferriera.
Ne abbiamo bisogno a prescindere dai cinesi» dice ancora D'Agostino. Toccherà a
Giovanni Arvedi decidere, ammesso intenda chiudere l'altoforno, se mantenere il
laminatoio o abbandonare del tutto l'impianto. Anche su questo capitolo sono
concentrati interessi che hanno il loro quartier generale a Hong Kong.
L'errore del Pireo
Anche i cinesi sbagliano.
Così quando China ocean shipping company (Cosco) nel 2008 ha rilevato per 4,3
miliardi di euro la gestione del Porto del Pireo ha sbagliato la porta di
ingresso all'Europa. Avevano pensato che il Pireo fosse la via per il mercato
più grande e ricco del pianeta, porto di testata della loro Maritime Silk Road
Initiative. Ma disgraziatamente le ferrovie e le autostrade nei Balcani sono
ancora materia grezza e incerta. E così ecco che divengono fondamentali i porti
del Nord Adriatico
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