Piombino, il valzer dei soci
esteri dopo russi e algerini, l'indiano Jindal
ENNESIMO CAMBIO DI PROPRIETÀ
PER L'ACCIAIERIA TOSCANA SENZA PACE DOPO LA FINE DELLA STAGIONE PUBBLICA. IL
GRUPPO DI MUMBAI, SCONFITTO PER L'ILVA, PROMETTE IL RILANCIO ANCHE SE NON DÀ
TROPPE ILLUSIONI: IN QUESTI GIORNI RIPARTE LA LINEA ROTAIE
Piombino
C' è sempre stato
un filo rosso che ha legato l'acciaio di Piombino all'imprenditoria straniera.
Fin dalle origini. Nel 1864, per dire, è un industriale inglese, Alfred
Novello, a costruire la Magona d'Italia, la fabbrica dalla quale è cominciata
l'epopea della siderurgia piombinese: un altoforno a carbone di legna e un
convertitore Bessemer per produrre acciaio partendo dalla ghisa. L'inizio di
tutto. Poi il passaggio del testimone alla Ferriera Perseveranza che impiegava
come operai 70 detenuti del carcere cittadino e da lì una storia lunga 150
approdata qualche mese fa nelle mani di Sajjan Jindal, il tycoon indiano alla
guida di Jsw Steel.
Il gruppo multinazionale uscito sconfitto nella gara per
l'Ilva, che ora promette di rilanciare una volta per tutte l'azienda toscana
garantendo un futuro agli oltre duemila caschi gialli rimasti attaccati con
unghie e denti al loro lavoro. Anzi, da qualche anno solo alla speranza di un
lavoro. Perché gli operai di Piombino dopo la lunga stagione della siderurgia
pubblica con i suoi alti e bassi (memorabili i 38 giorni di sciopero nel 1992
per scongiurare la chiusura dell'altoforno), quelli della gestione della
Lucchini, infine del declino, hanno conosciuto la faccia illusoria della
globalizzazione: con la proprietà russa di Severstal che nel 2005 rileva la
fabbrica dalla Lucchini ma nel giro di due anni riesce solo a consegnarla
all'amministrazione straordinaria; poi con l'algerino Issad Rebrab che nel 2014
si presenta con un progetto da un miliardo di euro incrociando la siderurgia
con il proprio core business agroindustriale, ma che in quattro anni ha non è
riuscito a rimettere in moto lo stabilimento. Colpa del governo algerino che
per motivi politici ha bloccato in patria i miei soldi, ha cercato di spiegare
Rebrab accusando anche il sistema bancario italiano per non avergli fornito il
necessario sostegno finanziario nelle fasi più delicate della gestione.
Gestione fallimentare
Sta di fatto che in questi
quattro anni gli operai dell'Aferpi (così è stata ribattezzata la ex-Lucchini)
sono entrati ogni giorno in fabbrica solo grazie agli ammortizzatori sociali
(garantiti fino a tutto il 2018 perché Piombino è stata classificata dal
governo di centrosinistra "area di crisi industriale complessa") e
senza molto lavoro da svolgere perché, con l'altoforno ormai addormentato e i
forni elettrici rimasti solo sulla carta dei progetti, i laminatoi si sono
progressivamente fermati.
Il fallimento di un'illusione alimentata dall'idea
che anche un imprenditore non specializzato nella siderurgia potesse vincere la
scommessa del rilancio di Piombino: «E pensare che Rebrab si aggiudicò
l'azienda in un duello proprio con Jindal – sottolinea Carlo Mapelli, docente
al Politecnico di Milano e tra i massimi esperti italiani di siderurgia - . In
quell'occasione governo e enti locali decisero con criteri che sottovalutavano
la competenza, ingolositi dall'offerta presentata dal gruppo algerino.
Promesse
allettanti ma poco credibili, come poi si è dimostrato ». Il
"ritorno" della Jsw Steel di Jindal viene vissuto ora a Piombino come
l'ultima grande occasione e la notizia della ripartenza del treno rotaie alla
fine di agosto rafforza l'ottimismo.
L'ennesima ripartenza
La produzione di rotaie è lo
storico core business della fabbrica e l'arrivo della prima nave da 19.600
tonnellate di semiprodotti provenienti dall'India (nel piano industriale di
Jindal c'è la costruzione di tre forni elettrici, ma entro il 2024) consentirà
di onorare la fornitura di rotaie alle Ferrovie dello Stato. Un segnale
importante, perché Jws Steel ha anche confermato di voler partecipare alla
nuova gara bandita da Rfi. «Quella tra Jindal a Piombino è una combinazione
estremamente favorevole – sostiene ancora Mapelli - il vantaggio per lui e di
poter finalmente contare su una base produttiva in Europa, peraltro in una
posizione geografica strategica anche per la logistica di tutto il gruppo.
Inoltre potrà contare su una manodopera già formata. Piombino ci guadagna oltre
che sotto il profilo economico, anche sul versante ambientale, visto che Jindal
ha deciso di tagliare con il passato, cioè di non riaccendere l'altoforno e di
puntare sugli impianti elettrici che hanno un impatto molto minore».
L'esordio del proprietario
«Non faccio promesse
straordinarie – ha detto Sajjan Jindal qualche giorno fa incontrando gli operai
in un teatro di Piombino - . Vogliamo costruire una nuova acciaieria secondo le
migliori tecnologie, nel rispetto delle tematiche ambientali». I sindacati per
ora ci credono, tanto da accettare un compromesso: «Noi miravamo alla
riaccensione dell'altoforno quale garanzia di tornare a colare acciaio, da
sempre la nostra vocazione – hanno scritto in un documento unitario Fim, Fiom e
Uilm - . Tuttavia, come è giusto che sia, dietro ad un imprenditore c'è sempre
un'idea. Idea che abbiamo immediatamente fatta nostra ».
Insomma, tutto fa
pensare che gli abitanti del Cotone, l'ex quartiere operaio che si affaccia
sulla fabbrica, nei giorni di vento non vedranno più il "polverino"
volare dalle cokerie ai davanzali delle loro case. Così come l'acciaio di
Piombino difficilmente vivrà una nuova stagione italiana. «Ma non credo che di
fronte alle sfide della siderurgia esista un problema di inadeguatezza della
nostra imprenditoria nazionale – dice Mapelli - .
Gli industriali italiani sono
ben capitalizzati, hanno solo scelto di non giocare certe partite perché
conoscono bene i problemi regolatori su ciclo integrale e ambiente e perché
hanno una vocazione diversa da quella dei grandi gruppi. Puntano di più sulla
flessibilità che gli consente di adeguarsi meglio alle oscillazioni dei mercati
dell'acciaio ».
Marco Patucchi
27 agosto 2018
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