mercoledì 21 marzo 2018

LAVORO PORTUALE E CONCESSIONI NEL PORTO DI GENOVA - COLLETTIVO AUTONOMO PORTUALI


La vertenza dei lavoratori della compagnia 

Pietro Chiesa deve essere il primo esempio di 

un nuovo governo legittimo, unitario e 

trasparente del mercato del lavoro portuale


Compagnia Pietro Chiesa, impresa cooperativa appaltatrice del lavoro temporaneo nel Terminal rinfuse, è stata costretta in liquidazione dall’esaurimento dei traffici di rinfuse secche che è stato presentato come inevitabile perché “determinato dal mercato”.


In realtà di certo c’è stata solo la chiusura della Centrale ENEL a carbone, ma non esiste solo il carbone tra le rinfuse. Ma poi a chiudere il discorso ci hanno aggiunto che le rinfuse sporcano l’ambiente e che invece i container sono in aumento e sono puliti. 

E infatti la concessione del Terminal rinfuse è passata di mano nelle mani di MSC e Spinelli, che hanno già concessioni per merce varia in container e rotabili a ponente e a levante della concessione del terminal rinfuse e quindi sono interessati a assorbirne le banchine per i loro affari. 

Entrambi si sono presentati con programmi di investimenti per mantenere le rinfuse, ma intanto Spinelli ha già ottenuto di potere sbarcare rotabili e Aponte, padrone di MSC, che non parla mai a caso ha dichiarato alla stampa quasi fosse il Presidente dell’Autorità di sistema che il carbone non sta bene in un porto commerciale vicino agli yacht, che può essere sbarcato a Savona, e che da Bettolo a Ronco ci sarà prima o poi un’unica banchina lineare dedicata ai container.



Da notare come alla faccia delle garanzie di controllo pubblico che il regime concessorio dovrebbe offrire, ogni terminalista è libero di rivendersi la concessione, persino a altri terminalisti dello stesso porto in barba alla legge 

(art.18 comma 7 della Legge 84/94: “in ciascun porto l’impresa concessionaria di un’area demaniale non puo essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l’attivita per la quale richiede una nuova concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti”). 

Per esempio, GIP, divenuta di proprietà di fondi anglo-americani possiede SECH, ma è socia nel Consorzio Bettolo con MSC e in VTE con PSA. MSC, oltre al Bettolo e al Terminal Rinfuse insieme a Spinelli, a sua volta partecipato da un fondo britannico, sta comprando il Terminal Messina e quindi anche la parte del consorzio con il Terminal San Giorgio a Calata Tripoli, controlla GNV, le Stazioni Marittime e aspira a entrare in VTE. 

Quando i vecchi concessionari vendono ottengono per lo più ricche plusvalenze grazie anche alle proroghe ultradecennali di concessione promesse o autorizzate dall’Autorità. Così non si arriva mai alla scadenza della concessione per rimettere a gara il terminal magari a operatori più efficienti e convenienti. 

Come nel caso del SECH entrato nel 1993 senza alcuna gara in Calata Sanità e che invece di scadere nel 2020 continuerà per altri 20 o 30 anni almeno sino al 2040 con l’estensione di Calata Bettolo, un’estensione (pari al raddoppio della superficie!) anch’essa ottenuta senza alcuna gara. 

La tiritera è sempre la stessa: i terminalisti promettono e fanno investimenti in gru ecc. per cui vogliono garanzie per avere il tempo di valorizzare i loro capitali spesi. E ci mancherebbe altro, è l’unico requisito per avere la concessione, che i terminalisti spendano in attrezzature, perché le banchine e le dighe ce le mette lo Stato.



È come se anche ai lavoratori si riconoscesse lo stesso diritto: il diritto di potere lavorare in porto per i prossimi 50 anni (Spinelli ha appena ricevuto la proroga sino al 2054!) perché – analogamente agli imprenditori che fanno la loro parte, ossia investono – i lavoratori fanno la loro parte, ossia vanno tutti i giorni a lavorare investendovi la loro vita e quella delle loro famiglie. 

Salvo che ai lavoratori portuali questo diritto non è concesso, talvolta è negato, per lo più i lavoratori lo devono difendere con le lotte, gli scioperi. Non parliamo delle proroghe concesse ai terminalisti con anni di anticipo: alla CULMV invece, che può vantarsi tra i pochi in porto di avere partecipato a un bando di gara europea, la proroga di 2 anni è stata data esattamente l’ultimo giorno alla scadenza degli 8 anni di autorizzazione, solo perché all’indomani si sarebbe fermato tutto il porto. Due pesi, due misure, eppure la stessa legge!

Così, siccome il Terminal rinfuse è in crisi non si fa una gara per cercare un nuovo operatore, ma poiché la banchina fa gola a Spinelli e a Aponte, allora si accetta che essi subentrino nella proprietà del Terminal per poi allargare le loro rispettive concessioni, ma così 30 lavoratori della Pietro Chiesa si trovano sull’orlo del licenziamento. 

Una piccola contraddizione? Un lieve danno collaterale? Che cosa sono 30 lavoratori di fronte allo sviluppo del porto dei record trascinato dalla crescita impetuosa dei container e dei rotabili, di fronte al nuovo re della portualità italiana, quell’Aponte autore della sentenza solo pochi mesi orsono: “Comandiamo noi, perché comandano i volumi. Chi ha i volumi è quello che si può permettere di far vivere un terminal o di farlo morire se si sposta da quel terminal. Meno male che ci siamo e che abbiamo questo spirito di aiutare l’Italia: noi creiamo posti di lavoro”. 

Spinelli che non ha lo stile del monarca ma semmai del biscazziere ha giocato invece la carte da par suo, facendo come al solito dei lavoratori una merce di scambio: se non mi date l’autorizzazione a sbarcare i rotabili per i lavoratori è finita.

Per fortuna i lavoratori della Pietro Chiesa non sono stati fermi a aspettare che fossero i terminalisti a decidere del loro destino e sostenuti dai lavoratori degli altri terminal e della Compagnia, delegati sindacali e membri del Collettivo (CALP), hanno chiamato in causa l’Autorità di sistema, la vera responsabile del lavoro in porto, sotto tutti i punti di vista: dell’occupazione, della sicurezza, della formazione, del mercato del lavoro. In una certa misura anche nei confronti dei terminalisti visto che essi per avere le concessioni e le proroghe devono ricevere l’approvazione da parte dell’Autorità dei piani di impresa con le previsioni di organico quantitativo e professionale, perché sempre essi nel definire i propri organici determinano l’organico e le professionalità dei soci della Compagnia.



L’Autorità che dovrebbe monitorare costantemente l’operato dei concessionari ha i poteri e gli strumenti per governare il mercato del lavoro portuale in nome dell'interesse pubblico, non privato dei terminalisti, perché pubblico è il porto e il primo interesse pubblico è quello del lavoro e dell’occupazione. Certo, non è facile vedersela con i terminalisti capaci di qualsiasi mezzo e trucco pur di fare i loro interessi privati e accumulare profitto, i lavoratori lo sperimentano tutti i giorni, ma chi è stato messo a dirigere l’Autorità non può, se non altro per gli stipendi che prende se non per lo spirito del funzionario pubblico, esimersi da tale responsabilità.

Sopratutto dopo l’entrata in vigore a cavallo tra il 2017 e il 2018 di alcuni articoli riformati della legge portuale proprio riferiti al governo del mercato del lavoro in porto. 

La legge in particolare stabilisce che l’Autorità debba adottare il Piano dell’organico del porto, che comprenda sia i dipendenti dei terminal che i soci delle Compagnie, e che sulla base del Piano “adotti piani operativi di intervento finalizzati alla formazione professionale per la riqualificazione o la riconversione e la ricollocazione del personale interessato in altre mansioni o attività sempre in ambito portuale” (art.8 comma 3 bis). 

E ci sono anche le risorse finanziarie per attuare il Piano, tratte dalle tasse portuali. Ovviamente l’Autorità con la sua solita indolenza in materia di lavoro non si è ancora messa a preparare il Piano né purtroppo i sindacati sono andati a rivendicarlo con tutta la forza, nonostante l’assoluta novità e rilevanza politica e industriale per l’organizzazione del lavoro di un Piano che restituisce unitarietà ai lavoratori portuali dopo la frantumazione in tanti organici
separati a seguito della prima riforma nel 1994. 

Per cui ci si aspetterebbe che i sindacati avessero occupato Palazzo San Giorgio sinché le procedure per il Piano non fossero avviate, ma speriamo che appena conclusa la vicenda della Pietro Chiesa lo facciano davvero! 

Un Piano peraltro che dovrebbe mettere assieme in unico documento strategico di periodo triennale, come stabilito dalla legge, Genova e Savona, riunificando quindi non solo dipendenti e soci ma anche gli organici dei due scali. 

Una riunificazione che fa da contraltare indispensabile per la possibilità di sostenere gli interessi dei lavoratori di fronte alla tendenziale unificazione della gestione operativa dei due porti nelle mani di pochi e potentissimi gruppi internazionali e multinazionali, sia armatori che terminalisti.



La soluzione che si sta delineando per la Pietro Chiesa, che dovrebbe essere ufficializzata nei prossimi giorni prima della messa in liquidazione della stessa Compagnia degli ex carbunin, è l’assorbimento dei suoi lavoratori in parte come dipendenti nell’organico di Spinelli che ha ottenuto l’autorizzazione ai rotabili e quindi vedrà aumentare i suoi carichi di lavoro, in parte presso altri operatori, si parla di SAAR (olii vegetali) e Rolcim (cemento) che hanno dato disponibilità, mentre nella parte maggiore saranno assorbiti nell’organico della CULMV, che già è sotto organico rispetto ai traffici del 2017 e a quelli previsti nel 2018 e per la quale si aggiunge una nuova operatività nella parte del Terminal rinfuse autorizzata alle merci varie. 

Quindi una operazione di ricollocazione riuscita, coerente con il nuovo dettato della legge non solo rispetto a una visione unitaria
dell’organico (alla fine l’operazione è a saldo zero, nessun lavoratore perde il posto e i nuovi carichi di lavoro sono bilanciati da una corrispondente forza lavoro) ma anche rispetto alla possibilità di finanziare gli interventi di riqualificazione dei lavoratori che dalle rinfuse saranno destinati a altre merceologie.

Ma la riuscita della vertenza della Pietro Chiesa con l’appendice della sua liquidazione porterà anche a un altro importante risultato. 

Nelle posizioni e nelle mosse di questi mesi dei terminalisti,
dell’Autorità e talora anche di alcuni sindacalisti, è emersa la precisa intenzione – e sinché la vertenza non sarà ufficialmente conclusa occorrerà vigilare contro questa volontà – di mantenere in vita a tutti i costi la Compagnia Pietro Chiesa. 

E non certo per fare esistere ancora una organizzazione storica del movimento operaio, testimone delle prime forme di lotta e di organizzazione dei lavoratori portuali. Tuttaltro, per mantenere invece in vita l’unico caso presente nel porto di Genova di impresa autorizzata ai sensi dell’art.16 della legge a fornire prestazioni di lavoro temporaneo in appalto. 

Si tratta delle imprese di appalto con cui i terminalisti a Genova – che è l’unico porto italiano in cui a parte la Pietro Chiesa questo fenomeno non esiste – vorrebbero sostituire il ruolo della CULMV. Spezzettando il ruolo dell’impresa ex art.17 in tante ditte in appalto, ognuna per il proprio terminal, ricattabili perché prive di indennità di mancato avviamento, piccole e non sindacalizzate, preferibilmente cooperative di lavoro, sgravandosi delle responsabilità in materia di sicurezza, e soprattutto distruggendo la maggiore aggregazione unitaria di lavoratori costituita dalla CULMV e erodendo gli organici e le professionalità dei propri dipendenti in attesa che gli sviluppi dell’automazione completino il disegno di sgravarsi dei costi fissi del personale ma soprattutto del costo della loro forza contrattuale.

Scomparendo la Pietro Chiesa il “modello Genova” dell’organizzazione del lavoro portuale sarà invece nettamente definito: terminalisti e CULMV, ossia lavoratori dipendenti e pool di manodopera. La lezione è dunque chiara. Un forte pool di manodopera e la sindacalizzazione unitaria dei dipendenti e dei soci, l’esclusione di appalti di fornitura surrettizia di manodopera in chiave antisindacale, l’avvio immediato delle procedure per il Piano dell’organico e delle misure di politiche attive del lavoro e della formazione per sostenerlo, la redditività del lavoro fornito dalla CULMV grazie a tariffe trasparenti e finalmente remunerative, formazione finanziata dalla legge, così da stabilizzare anche il bilancio della Compagnia, sono i motivi che devono sostenere di qui in poi la strategia del sindacato e dei lavoratori portuali. 

Con un’avvertenza: a Savona il modello non è quello di Genova, e a Vado – nonostante si tratti di un nuovo terminal soggetto alla stessa Autorità di sistema di Genova – stanno disegnando un modello savonese con un piccolo pool di manodopera e tante cooperative in appalto. Occorre allora cominciare a rivendicare l’unificazione dei due porti anche sul piano del lavoro, come stabilito dalla legge, e l’unità dei lavoratori portuali di Genova e Savona con un unico pool di manodopera e nessuna cooperativa art.16!


FONTI : 

il documento del Collettivo Autonomo Portuali Genova lo trovate a questo link
il CALP ha anche un sito e una o più pagine su Facebook

blog collettivo autonomo portuali genova

alcune foto del porto di Genova le abbiamo prese dalla mappa interattiva del porto di Genova che vi sarà utile per visualizzare alcuni temi trattati nel documento

mappa interattiva porto di genova

2 commenti:

  1. Buongiorno,

    si fa presente che la legge 84/94 (art. 21) ha abolito ex lege le compagnie portuali uniche poichè incompatibili con la normativa europea in materia di accesso al mercato del lavoro (. Attenzione a prendere a modello "modelli" incancreniti e di dubbia legalità di gestione del lavoro portuale, perchè i ricatti sindacali a lungo termine si pagano con la perdita di competitività e di traffici. La sorte della ex Compagnia portuale di Trieste insegna (o dovrebbe farlo). Per gli smemorati: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32001D0834

    RispondiElimina
  2. Come sempre a Genova si lavora alla retroguardia. Nella legge 84/94 c'è l'art. 16 che prevede e regolamenta l'attività delle imprese (cooperative o di capitale) e che sono attivate in tutti i porti ialiani, meno che a Genova. E a Genova non si vuole l'applicazione di questo articolo della legge 84/94 perchè rompe le uova nel paniere del monopolio della CULMV (che abusivamente offre anche i mezzi meccanici, diventando di fatto una impresa ex art. 16) i cui bilanci fallimentari vengono ripianati dalla Autorità Portuale (alla faccia degli aiuti di stato).

    RispondiElimina