mercoledì 13 luglio 2016

TOUR NO TAX AREA PER TRIESTE





PORTO, SERRACCHIANI LANCIA LA NO TAX AREA PER TRIESTE

2 luglio 2016   vai all'articolo

Interrogazione di Savino per portare in regione la sede della Bers. 

«Strada percorribile, la legge già c’è»

Forza Italia “sposa” la No tax area di Trieste

TRIESTE «La Banca europea per la Ricostruzione e lo sviluppo, che oggi ha sede a Londra e che a seguito della Brexit dovrebbe traslocare, potrebbe trovare collocazione ottimale a Trieste». 


Sandra Savino, parlamentare di Forza Italia, ha presentato una interrogazione al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per chiedere che il Governo si attivi per cogliere questa importante occasione. «Tra le città italiane - spiega la parlamentare azzurra - Trieste è considerata la città più europea poiché vanta la sede di alcuni dei maggiori centri di ricerca al mondo, un porto commerciale in piena espansione, fondamentale per i commerci da e verso l’Europa; un sistema formativo e di conoscenza di alto profilo, capace di formare risorse umane e di produrre ricerca, nonché buoni servizi e ottima qualità della vita con un welfare all’altezza dei cittadini. 

Lanciamo una proposta ambiziosa - spiega Savino – ma coerente con la vocazione internazionale e la tradizione cosmopolita della nostra città. È l’occasione per rendere concreto e fattuale quel ruolo di “capitale d’area” sempre evocato ma mai concretamente avviato». Tra l’altro, Savino rammenta la legge 19/91, successivamente abrogata e che prevedeva per Trieste un centro off shore. «Per avere la No tax area - sostiene - basterebbe riprendere l’articolo 3 di quella legge». 

«La proposta della presidente Serracchiani di chiedere la creazione di una “No tax area” all' interno dei Punti franchi del Porto di Trieste rappresenta un’opportunità straordinaria che, sono certa, sarà colta dal Governo», commenta invece la senatrice del Pd Laura Fasiolo che aggiunge: «Ritengo che questa scelta dovrà prevedere di estendere i suoi positivi effetti volano a tutta l'economia regionale e nazionale determinando le premesse per riconsiderare l'intera regione, in particolare il porto di Monfalcone e le aree retroportuali interessate confinarie. Colgo l'occasione - conclude Fasiolo - per rilanciare la sinergia a sostegno del disegno di legge 1197 da me sottoscritto, a prima firma dell'europarlamentare Isabella De Monte, per ottenere l'istituzione di una Zona franca nelle aree dei valichi di riferimento per il porto». 

Secondo Paolo Polidori della Lega Nord «la “grande idea” di Serracchiani di chiedere al suo superiore Renzi una “No tax area per Trieste”, è giuridicamente già superata dal 1947, anno della stipula del Trattato di pace, che istituiva la prima, unica e autentica No tax area per la nostra città; Trattato che, con il suo Allegato VIII, non è stato mai giustamente considerato dai politici che ci hanno governato, sia in loco che a Roma. Banalizzare una No tax area qualsiasi quando si ha a disposizione un trattato di rango giuridico intangibile dalla stessa Unione europea - conclude Polidori - è come andare in guerra con la fionda, quando si hanno a disposizione i cannoni».

3 luglio 2016

LA PROPOSTA “FREE ZONE” 
                    A TRIESTE: UNITI SI PUÒ


di ROBERTO MORELLI 10 luglio 2016

E se Brexit si rivelasse un’insospettabile opportunità per Trieste? 


Se fosse proprio il capoluogo giuliano ad avvantaggiarsi dalla fatale fuga da Londra dei gruppi internazionali che non possono permettersi di ritrovarsi sull’uscio d’Europa, con vincoli doganali, fiscali e normativi alla libera circolazione dei servizi? 

L’opportunità è tutt’altro che campata in aria. I settori sono ben identificati: le aziende dei servizi con raggio d’azione internazionale, dalla telefonia alle compagnie aeree all’economia digitale (Vodafone, Easyjet, persino le sedi europee di Google e Facebook). Gli spazi sono su un piatto d’argento: il Porto vecchio e le aree di destinazione dei punti franchi. La legittimazione di Trieste, per collocazione geografica e primazia di vocazione, è indiscutibile. Lo strumento giuridico ha un nome e una procedura: Zes, cioè Zona Economica Speciale. Se vogliamo perseguire un’autentica svolta per il futuro della città, è un obiettivo da porci fin d’ora e con una coesione senza riserve. 

La presidente della Regione Debora Serracchiani è stata tempestiva e lungimirante nello scrivere a Matteo Renzi - al quale non ha certo bisogno di scrivere - per promuovere Trieste come area defiscalizzata in grado di attrarre capitali internazionali. È il momento giusto per farlo. E il passo giusto per concretizzarlo è l’istituzione di una Zes, che molti perseguono in Italia ma nessuno ha ancora ottenuto, né in verità proposto nelle forme dovute. Al mondo esistono circa 2.700 free zone. 

Sono aree fiscalmente esenti o agevolate, normalmente con canoni, costi energetici e di utenze ridotti e importanti sgravi contributivi. Servono ad attrarre investimenti dall’estero. La gran parte di esse è in Cina, ma - contrariamente a quanto si creda - sono consentite anche dalla Ue, che ne ospita 70 in ben 20 Paesi, tra i quali la Francia, la Germania, la Spagna e la stessa Gran Bretagna (nonché la Slovenia a Capodistria e Maribor). Fra le poche a non averne è l’Italia, benché molte aspirazioni si siano levate: Gioia Tauro, Taranto, Napoli, Marghera. Ora è partita come un razzo la proposta più seria di tutte: quella del neo-sindaco di Milano Beppe Sala per costituire una Zes nell’area dell’Expo. A questa dobbiamo agganciarci con altrettanta serietà. Per farlo è necessaria una legge: il governo ha già fatto sapere che è allo studio, ventilando - oltre a Milano - l’area dismessa di Bagnoli. La norma statale dovrà disciplinare le regole generali e le attività ammesse, demandando poi alla Regione l’attuazione con la scelta delle aree interessate. Per la gestione, è previsto che la stessa Regione costituisca una società pubblica con possibile partecipazione dei privati. 

L’autorizzazione della Ue, che vieta la “concorrenza sleale” fiscale, non è scontata: viene concessa per aree periferiche o svantaggiate, o per situazioni specifiche in potenziali zone strategiche. Che è proprio la nostra condizione. Vi sono infatti cinque ragioni fondamentali per sostenere una free zone a Trieste: la sua collocazione geografica al centro della “macroregione alpina” che comprende sette Paesi europei; l’essere una zona riconosciuta di crisi industriale sistemica al confine di una Zes esistente (Capodistria appunto); il regime del punto franco, finalmente in procinto d’essere regolato, che rappresenta un caso unico in Europa; l’area del Porto vecchio di cui è stato finalmente avviato il recupero, e che potrebbe prestarsi a una parte dei potenziali insediamenti; il precedente della legge sulle aree di confine del 1991, che creava un centro off-shore extravalutario, poi abortito con la nascita della moneta unica, e di cui ora la Zes costituirebbe una versione riveduta e corretta. 

Sotto il profilo politico, non siamo mai stati così ben rappresentati su tutti i fronti: la presidente della Regione Serracchiani è il numero due del partito di governo; Ettore Rosato è il capogruppo alla Camera dello stesso Pd, come Massimiliano Fedriga lo è della Lega; il rieletto sindaco Dipiazza è diventato un’icona della riunificazione del centrodestra. La free zone sarebbe gradita persino agli indipendentisti e ai 229 protagonisti dello sciopero fiscale. Roba da non credere. Gli appelli alla coesione per un obiettivo comune suonano sempre ridicoli e naif nel nostro panorama politico. Ma mai come ora c’è bisogno di un colpo d’ala della classe dirigente triestina e regionale, se per una volta vuol dirsi tale.


NON SI FA ATTENDERE LA REAZIONE DEGLI INDIPENDENTISTI CHE SI CONSIDERANO ALL'AVANGUARDIA E I PRIMI AD AVER AVANZATO QUESTE PROPOSTE



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