PORTO, SERRACCHIANI LANCIA LA NO TAX AREA PER TRIESTE
2 luglio 2016 vai all'articolo
Interrogazione di Savino
per portare in regione la sede della Bers.
«Strada percorribile, la legge già
c’è»
Forza Italia “sposa” la No
tax area di Trieste

Sandra Savino, parlamentare di Forza Italia, ha presentato una interrogazione
al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per chiedere che il Governo si
attivi per cogliere questa importante occasione. «Tra le città italiane -
spiega la parlamentare azzurra - Trieste è considerata la città più europea
poiché vanta la sede di alcuni dei maggiori centri di ricerca al mondo, un
porto commerciale in piena espansione, fondamentale per i commerci da e verso
l’Europa; un sistema formativo e di conoscenza di alto profilo, capace di
formare risorse umane e di produrre ricerca, nonché buoni servizi e ottima
qualità della vita con un welfare all’altezza dei cittadini.
Lanciamo una
proposta ambiziosa - spiega Savino – ma coerente con la vocazione
internazionale e la tradizione cosmopolita della nostra città. È l’occasione
per rendere concreto e fattuale quel ruolo di “capitale d’area” sempre evocato
ma mai concretamente avviato». Tra l’altro, Savino rammenta la legge 19/91,
successivamente abrogata e che prevedeva per Trieste un centro off shore. «Per
avere la No tax area - sostiene - basterebbe riprendere l’articolo 3 di quella
legge».
«La proposta della presidente Serracchiani di chiedere la creazione di
una “No tax area” all' interno dei Punti franchi del Porto di Trieste
rappresenta un’opportunità straordinaria che, sono certa, sarà colta dal
Governo», commenta invece la senatrice del Pd Laura Fasiolo che aggiunge:
«Ritengo che questa scelta dovrà prevedere di estendere i suoi positivi effetti
volano a tutta l'economia regionale e nazionale determinando le premesse per
riconsiderare l'intera regione, in particolare il porto di Monfalcone e le aree
retroportuali interessate confinarie. Colgo l'occasione - conclude Fasiolo -
per rilanciare la sinergia a sostegno del disegno di legge 1197 da me
sottoscritto, a prima firma dell'europarlamentare Isabella De Monte, per
ottenere l'istituzione di una Zona franca nelle aree dei valichi di riferimento
per il porto».
Secondo Paolo Polidori della Lega Nord «la “grande idea” di
Serracchiani di chiedere al suo superiore Renzi una “No tax area per Trieste”,
è giuridicamente già superata dal 1947, anno della stipula del Trattato di
pace, che istituiva la prima, unica e autentica No tax area per la nostra
città; Trattato che, con il suo Allegato VIII, non è stato mai giustamente
considerato dai politici che ci hanno governato, sia in loco che a Roma.
Banalizzare una No tax area qualsiasi quando si ha a disposizione un trattato
di rango giuridico intangibile dalla stessa Unione europea - conclude Polidori
- è come andare in guerra con la fionda, quando si hanno a disposizione i
cannoni».
3 luglio 2016
LA PROPOSTA “FREE ZONE”
A TRIESTE: UNITI SI PUÒ
di ROBERTO MORELLI 10 luglio 2016
E se
Brexit si rivelasse un’insospettabile opportunità per Trieste?
Se fosse proprio
il capoluogo giuliano ad avvantaggiarsi dalla fatale fuga da Londra dei gruppi
internazionali che non possono permettersi di ritrovarsi sull’uscio d’Europa,
con vincoli doganali, fiscali e normativi alla libera circolazione dei servizi?
L’opportunità è tutt’altro che campata in aria. I settori sono ben identificati:
le aziende dei servizi con raggio d’azione internazionale, dalla telefonia alle
compagnie aeree all’economia digitale (Vodafone, Easyjet, persino le sedi
europee di Google e Facebook). Gli spazi sono su un piatto d’argento: il Porto
vecchio e le aree di destinazione dei punti franchi. La legittimazione di
Trieste, per collocazione geografica e primazia di vocazione, è indiscutibile.
Lo strumento giuridico ha un nome e una procedura: Zes, cioè Zona Economica
Speciale. Se vogliamo perseguire un’autentica svolta per il futuro della città,
è un obiettivo da porci fin d’ora e con una coesione senza riserve.
La
presidente della Regione Debora Serracchiani è stata tempestiva e lungimirante
nello scrivere a Matteo Renzi - al quale non ha certo bisogno di scrivere - per
promuovere Trieste come area defiscalizzata in grado di attrarre capitali
internazionali. È il momento giusto per farlo. E il passo giusto per
concretizzarlo è l’istituzione di una Zes, che molti perseguono in Italia ma
nessuno ha ancora ottenuto, né in verità proposto nelle forme dovute. Al mondo
esistono circa 2.700 free zone.
Sono aree fiscalmente esenti o agevolate,
normalmente con canoni, costi energetici e di utenze ridotti e importanti
sgravi contributivi. Servono ad attrarre investimenti dall’estero. La gran
parte di esse è in Cina, ma - contrariamente a quanto si creda - sono
consentite anche dalla Ue, che ne ospita 70 in ben 20 Paesi, tra i quali la
Francia, la Germania, la Spagna e la stessa Gran Bretagna (nonché la Slovenia a
Capodistria e Maribor). Fra le poche a non averne è l’Italia, benché molte
aspirazioni si siano levate: Gioia Tauro, Taranto, Napoli, Marghera. Ora è
partita come un razzo la proposta più seria di tutte: quella del neo-sindaco di
Milano Beppe Sala per costituire una Zes nell’area dell’Expo. A questa dobbiamo
agganciarci con altrettanta serietà. Per farlo è necessaria una legge: il
governo ha già fatto sapere che è allo studio, ventilando - oltre a Milano -
l’area dismessa di Bagnoli. La norma statale dovrà disciplinare le regole
generali e le attività ammesse, demandando poi alla Regione l’attuazione con la
scelta delle aree interessate. Per la gestione, è previsto che la stessa
Regione costituisca una società pubblica con possibile partecipazione dei
privati.
L’autorizzazione della Ue, che vieta la “concorrenza sleale” fiscale,
non è scontata: viene concessa per aree periferiche o svantaggiate, o per
situazioni specifiche in potenziali zone strategiche. Che è proprio la nostra
condizione. Vi sono infatti cinque ragioni fondamentali per sostenere una free
zone a Trieste: la sua collocazione geografica al centro della “macroregione
alpina” che comprende sette Paesi europei; l’essere una zona riconosciuta di
crisi industriale sistemica al confine di una Zes esistente (Capodistria
appunto); il regime del punto franco, finalmente in procinto d’essere regolato,
che rappresenta un caso unico in Europa; l’area del Porto vecchio di cui è
stato finalmente avviato il recupero, e che potrebbe prestarsi a una parte dei
potenziali insediamenti; il precedente della legge sulle aree di confine del
1991, che creava un centro off-shore extravalutario, poi abortito con la
nascita della moneta unica, e di cui ora la Zes costituirebbe una versione
riveduta e corretta.
Sotto il profilo politico, non siamo mai stati così ben
rappresentati su tutti i fronti: la presidente della Regione Serracchiani è il
numero due del partito di governo; Ettore Rosato è il capogruppo alla Camera
dello stesso Pd, come Massimiliano Fedriga lo è della Lega; il rieletto sindaco
Dipiazza è diventato un’icona della riunificazione del centrodestra. La free
zone sarebbe gradita persino agli indipendentisti e ai 229 protagonisti dello
sciopero fiscale. Roba da non credere. Gli appelli alla coesione per un
obiettivo comune suonano sempre ridicoli e naif nel nostro panorama politico.
Ma mai come ora c’è bisogno di un colpo d’ala della classe dirigente triestina
e regionale, se per una volta vuol dirsi tale.
NON SI FA ATTENDERE LA REAZIONE DEGLI INDIPENDENTISTI CHE SI CONSIDERANO ALL'AVANGUARDIA E I PRIMI AD AVER AVANZATO QUESTE PROPOSTE
vai all'articolo pubblicato su Rinascita Triestina
Nessun commento:
Posta un commento