Il pezzo a firma Alessandro De Nicola prende le mosse, come già aveva fatto Marco Ponti ( vedi post ), dalle dichiarazioni contenute nel DEF sulle strategie per le infrastrutture.
INVESTIMENTI PUBBLICI , BENEFICI PRIVATI
«Quando sentiamo magnificare le buche keynesiane, non
occorrerà essere filosofi liberisti per ricordarci che, di sicuramente pubblici
ci sono i fondi sovvenzionati dai contribuenti, mentre i benefici sono spesso
privati». La Repubblica, 29 aprile 2016 (c.m.c.)
UNO dei mantra più ripetuti dai politici di ogni colore
e da molti commentatori è che condizione indispensabile per una maggiore
crescita economica è far ripartire gli investimenti pubblici. E, per rafforzare
il concetto, si sottolinea che l’Italia è terzultima in Europa, seguita solo da
Grecia e Portogallo, come percentuale di spesa pubblica dedicata agli
investimenti rispetto al Pil.
Il piano Juncker è stato presentato come una occasione
di sviluppo e non passa giorno in cui i ministri non annuncino deroghe
intelligenti al Patto di Stabilità per permettere ai Comuni di spendere in
infrastrutture, nuovi stanziamenti per metropolitane, strade, ferrovie, tram,
fibre ottiche e ogni opera che renda più efficiente il Paese in attesa della
possibile apoteosi dell’investimento infrastrutturale, vale a dire le Olimpiadi
di Roma del 2024.
Ma è proprio vero, per utilizzare il paradosso
keynesiano, che mettere uomini a scavare buche e poi riempirle genera reddito?
Partiamo da due recenti episodi. Il primo è l’audizione del ministro Delrio del
20 aprile sull’autostrada Pedemontana, progetto vecchio di lustri che avrebbe
dovuto decongestionare il traffico nell’Alta Lombardia nell’affollata area tra
Milano, Como e Varese. Ebbene, la parte finora realizzata di strada non attira
traffico sufficiente, il 30% in meno rispetto al budget, nonostante sconti ed
esenzioni distribuiti a pioggia agli automobilisti poco inclini a pagare il
pedaggio.
Lo Stato ha già stanziato per l’opera 1,245 miliardi
con contributi a fondo perduto ed è previsto un ulteriore sconto fiscale di
quasi 400 milioni. Nonostante in teoria i 4,2 miliardi previsti per il
completamento dell’autostrada (schizzati a 5,87 se si comprendono gli oneri
finanziari) dovrebbero essere in gran parte messi a disposizione da privati,
finora la parte del leone l’hanno avuta i contribuenti, avendo lo Stato versato
ben 900 milioni. Né sorte migliore sembra arridere alla Brebemi, che collega
Milano a Brescia ed è in cronica perdita di esercizio. Minacciando sfracelli, i
soci privati della società concessionaria sono riusciti ad ottenere nel 2015
ben 320 milioni da Stato e Regioni e l’allungamento della concessione per sei
anni con la garanzia che alla fine lo Stato rileverà la tratta per 1,25
miliardi.
Questi investimenti hanno creato o distrutto valore?
Uno studio del 2014 di tre economisti, Maffii, Parolin e Ponti, esaminando una
lista di progetti costosi ed inefficienti, ha concluso che le “grandi opere”,
presentate dai governi come fiore all’occhiello dell’investimento pubblico,
sono caratterizzate da alcuni elementi poco lusinghieri. Primo: sistematica
assenza di valutazioni negative nelle analisi costi-benefici rese note al
pubblico; secondo, scarsità di tali analisi; terzo, assoluta mancanza di terzietà
delle stesse, che perdono così di credibilità in quanto eseguite da «portatori
di interessi favorevoli della fattibilità dell’opera analizzata»; quarto,
assenza di analisi comparative. Le conseguenze sono ovvie: scorretta
definizione del progetto da attuare e delle soluzioni proposte, carenza di
alternative, previsioni di domanda sovrastimate.
Un bell’esempio di come una semplice analisi
comparativa potrebbe fare miracoli è fornito dalla linea Alta Velocità
Milano-Venezia. Nel 2005 il costo stimato per l’opera era di 8,6 miliardi. Nel
2014 era schizzato a 13,368 miliardi, quasi 5 in più! Notevoli i 1202 milioni
per il collegamento con l’aeroporto di Montichiari vicino Brescia: zero voli
passeggeri e solo un paio al giorno per la posta (vogliamo dimenticarci gli
inutili, deserti aeroporti in perdita di cui è disseminata l’Italia, da Siena a
Pescara?). Le tratte padane orientali hanno un costo superiore a quelle
occidentali, Torino-Milano e a quelle appenniniche Firenze-Bologna. Se poi
facciamo la comparazione di costo per chilometro con Francia e Spagna, i binari
italiani vengono pagati multipli rispetto a quelli franco-iberici.
Esempi eclatanti che vanno inquadrati in un contesto
più ampio? Meglio di no. Sia lo studio del Fondo Monetario Internazionale del
2015 che quello della Banca Mondiale del 2014 mettono in luce la scarsa
efficienza dei nostri investimenti pubblici a causa di aggiramento delle leggi,
decisioni prese per motivi elettorali, corruzione, ritardi, innalzamento dei
costi e bassa qualità di quanto realizzato. Solito pregiudizio anti- italiano?
Chissà.
Certo è che nell’Allegato sulle infrastrutture al
recente Def 2106, annunciando nuovi criteri di valutazione e velocizzazione
delle opere pubbliche, il governo ha sottolineato carenza nella progettazione
che porta a realizzazioni di bassa qualità; polverizzazione delle risorse;
incertezza dei finanziamenti, addebitabile, tra l’altro, alla necessità di
reperire risorse a causa dell’aumento dei costi delle opere ed ai contenziosi
in fase di aggiudicazione ed esecuzione dei lavori; rapporti conflittuali con i
territori dovuti anche all’incertezza sull’utilità delle opere.
Insomma, quando sentiamo magnificare le buche
keynesiane, non occorrerà essere filosofi liberisti per ricordarci che, quando
si impugna il badile, di sicuramente pubblici ci sono i fondi sovvenzionati dai
contribuenti, mentre i benefici sono spesso privatamente allocati tra politici,
burocrati ed appaltatori.
Nessun commento:
Posta un commento