Che il governo della più grande e più avanzata nazione al
mondo sia piuttosto scettico sul gigantismo navale e sulla necessità di
investire tanti (troppi?) soldi pubblici nei porti la dice lunga sull'effettiva
necessità di fare grandi investimenti come condizione indispensabile per essere
competitivi, nonostante si apprestino a firmare il Ttip; un ulteriore elemento
di riflessione a favore del fatto di
porre molta attenzione a cosa si fa ed a quanto si spende a casa nostra,
provando a superare molta retorica a sfondo campanilistico-corporativo ......
Buona lettura
Usa, braccio di ferro sui fondi ai porti
Genova - Servono per i dragaggi ma il governo Obama si
oppone: ora è in bilico l’arrivo delle mega-portacontainer.
Genova - E’ braccio di ferro negli Stati Uniti per
l’adeguamento dei porti alle grandi navi. Il Parlamento vorrebbe sforare le
previsioni di spesa del governo per inserire i finanziamenti necessari ad
adeguare gli scali con dragaggi e attrezzature di banchina, ma
l’amministrazione Obama si sta mettendo di traverso.
Probabilmente la
preoccupazione degli uomini del presidente è soprattutto di tipo finanziario,
ma sulla questione delle mega-portacontainer gli Stati Uniti sono
effettivamente ancora indietro.
Intanto, la compagnia marittima Cma-Cgm, che
per prima aveva portato una nave da 18 mila teu in un terminal della West Coast
con l’obiettivo di far seguire un servizio regolare, ha dovuto fare marcia
indietro e riporre il progetto nel cassetto.
Motivo: non c’è mercato
sufficiente a riempire navi così grandi. A pesare sarebbe anche l’atteggiamento
degli alleati nella nuova Ocean Alliance, alcuni dei quali non vedono di buon
occhio un eccesso di stiva sulle rotte transpacifiche.
Fatto sta che, a poco più di due mesi dall’apertura del nuovo
canale di Panama, il prossimo 26 giugno, che permetterà l’arrivo di navi più
grandi dall’Asia ai porti del Golfo del Messico e della Costa orientale, il più
grande mercato del mondo non sa ancora come attrezzarsi rispetto al fenomeno
del gigantismo navale. La marcia indietro della compagnia francese sembra dare
ragione a chi non vuole investire. E uno stop del gigantismo negli Stati Uniti
si aggiungerebbe agli avvertimenti di quegli analisti, come Clarksons o Drewry,
che da qualche tempo avvertono sui limiti economici di navi troppo grandi. Due
progetti di legge bipartisan, uno al Senato e uno alla Camera dei
rappresentanti degli Stati Uniti, per complessivi 6 miliardi di dollari,
vorrebbero finanziare l’attività del U.S. Army Corps of Engineers Civil Works
Program.
Negli Stati Uniti, infatti, gli interventi infrastrutturali nei porti,
a partire dai dragaggi, sono una questione di sicurezza nazionale e di
conseguenza sono competenza dell’esercito. Anche per questo motivo, gli iter di
approvazione dei lavori sono spesso lunghi anche alcuni anni.
«Questi
finanziamenti - ha spiegato una delle relatrici dei provvedimenti Janice Hahn -
consentiranno importanti lavori di dragaggio e di manutenzione dei porti e
saranno fondamentali per assicurare che i nostri porti siano pronti a
accogliere le mega-navi del futuro». Hahn ha accolto positivamente, in
particolare, l’aggiunta nei provvedimenti di 1 miliardo di dollari a favore dei
porti, che aveva personalmente promosso un mese fa con l’appoggio di altri 121
parlamentari.
Le proposte delle due Camere del Parlamento di Washington
sono però decisamente superiori a quanto previsto nel budget di Obama. Il
governo vorrebbe investire non più di 4,6 miliardi di dollari. In un comunicato
emesso dalla Casa Bianca si spiega che «l’amministrazione crede che i
finanziamenti inclusi nella legge per l’Army Corps of Engineers, relativa alle
richieste per il bilancio dell’anno fiscale 2017, non garantirebbero un forte
ritorno all’investimento del contribuente statunitense».
Nel 2017 il governo ha
previsto di tagliare del 23 per cento i fondi per i porti, rispetto al 2016. Il
veto della casa bianca, che minaccia di non firmare le due leggi di iniziativa
parlamentare, ha provocato la reazione degli operatori statunitensi. «Sarebbe
una grave lacuna - ha detto Kurt Nagle, presidente dell’Associazione americana
delle Autorità portuali (Aapa) - se questo bilancio venisse approvato.
Finanziare in maniera ridotta gli investimenti necessari al trasporto via acqua
spezza un collegamento vitale nella catena distributiva che penalizza l’intero
sistema di distribuzione delle merci, sia dal lato di mare e fiumi, sia dal
lato a terra».
«Volumi di merce crescenti - ha affermato dal canto suo Mark
McAndrews, direttore portuale nello stato del Missisipi - significano che
dobbiamo rafforzare le nostre infrastrutture d’acqua e di terra, per accogliere
queste navi di dimensioni maggiori». Ma l’arrivo delle mega-navi potrebbe
essere meno prossimo del previsto. Nei mesi scorsi aveva suscitato entusiasmo
l’arrivo nel porto di Los Angeles della “Cma-Cgm Benjamin”, da 18 mila teu. Era
stato visto come un cambiamento epocale per la portualità statunitense,
soprattutto sulla costa del Pacifico. Tradizionalmente attraverso il Pacifico
viaggiano navi di dimensioni minori rispetto alla rotta Asia-Europa. Adesso
arriva la marcia indietro che un dirigente della compagnia francese attribuisce
«all’attuale situazione del mercato trans-pacifico».
ALBERTO GHIARA - APRILE 22, 2016
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