Riforma dei porti, le tre mosse che rendono praticabile il percorso / ANALISI
Venezia - Il corto circuito generato dalla Conferenza delle Regioni tra piano della portualità e della logistica e riforma delle Autorità Portuali ci rinvia alla casella di partenza.
Venezia - Il corto circuito generato dalla Conferenza delle
Regioni tra piano della portualità e della logistica e riforma delle Autorità
Portuali ci rinvia alla casella di partenza. Un gioco dell’oca che può però diventare
virtuoso se usato per rendere la riforma capace di raggiungere obiettivi più
ambiziosi.
Il bandolo della matassa sta nel rendere chiaro a tutti che
il solo obiettivo sul quale la riforma va misurata è la riduzione dei margini
che trasformano i prezzi alla fabbrica dei beni prodotti in Italia (e quelli
alla dogana dei beni importati) in prezzi di mercato. Più alti sono questi
margini – che pagano servizi di trasporto e logistici - meno competitive sono
le nostre produzioni e le nostre esportazioni e più costose le nostre
importazioni.
Sono le inefficienze e le rendite che si annidano lungo le catene
logistiche che producendo margini eccessivi costano all’Italia, come stimato da
Confcommercio, una quarantina di miliardi annui di minor PIL. Se si vogliono
davvero ridurre questi margini, occorre aggiungere ai provvedimenti già
delineati nel decreto delegato Delrio che aggrediscono le inefficienze pubbliche
altri capaci di contenere le rendite di cui oggi godono gli operatori del
trasporto e della logistica.
Per farlo occorre mettere in campo truppe fresche. Occorre
che il piano della portualità della logistica, finora costruito dando voce
soltanto all’”offerta” (armatori, agenti, spedizionieri, autorità portuali,
terminalisti, eccetera), venga rivisto alla luce delle esigenze della
“domanda”, che è quella dei caricatori, di coloro che alla fine pagano il conto
del trasporto e dei servizi connessi. Un’autentica scelta di campo, perché
soddisfare gli interessi dei caricatori alla riduzione dei margini, nell’interesse
superiore della competitività italiana, significa comprimere ricavi e profitti
dell’offerta, che di suo tenderebbe a resistere al cambiamento.
Nuove forze in
campo e nuovi, adeguati, piani di battaglia. Quelli che aiutano a comprimere i
margini unitari - i “prezzi” - e quelli che evitano “quantità” di trasporto
inutili. I prezzi dei servizi di trasporto e logistici si riducono creando
condizioni di maggior concorrenza su “mercati rilevanti” attenti alle economie
di scala che garantiscono la competitività dei nostri operatori. Un uso meno
banale delle decisioni codificate a livello europeo (non ci si può accontentare
di ridurre le APDS, ma servono accorpamenti in multiporti alla radice marittima
dei “core corridors” che scendono dai valichi alpini) e una lettura attenta
delle toccate delle linee oceaniche provenienti dall’oltre Suez e dall’oltre
Gibilterra, rendono evidente quale sia la geografia ottimale delle APDS (non
più di cinque o sei) da lasciar poi operare anche in competizione tra loro
entro un quadro di obiettivi condivisi definiti dal Governo con il Piano
Nazionale dei trasporti .
Le “quantità” inutili si comprimono, invece, eliminando i
giri viziosi delle maggiori distanze oggi fatte percorrere alle merci rispetto
a quelle di percorso minimo, per l’incoerenza evidente tra la geografia dei
nuovi mercati manifatturieri nazionali e la storia delle infrastrutture
portuali italiane: contraddizione che gli operatori che oggi se ne
avvantaggiano non hanno alcun interesse a correggere. Lo spostamento a nord-est
del baricentro della manifattura italiana; lo spostamento ad est del baricentro
della manifattura europea; la prevalenza del Mediterraneo orientale rispetto
quello occidentale nei traffici interni al “mare nostrum”; la prevalenza a
livello globale di traffici da e per l’oltre Suez rispetto a quelli da e per
l’oltre Gibilterra; l’obsolescenza da sottodimensionamento di tutti i porti
nazionali rispetto ai nuovi megacarichi, etc.; atti che evidenziano che ci sono
capacità portuali da espandere e capacità portuali da abbandonare e che le
espansioni necessarie all’Italia riguardano più l’Adriatico che il Tirreno e,
se si vuol cogliere l’occasione cinese della Via della Seta, più Venezia e gli
altri porti alto adriatici di ogni altro.
E’ poi approfittando di queste espansioni necessarie che si
possono costruire le capacità portuali utili a trattare i volumi complessivi e,
soprattutto, i unitari sempre più grandi imposti da un gigantismo navale
inevitabile. Con queste tre mosse il gioco dell’oca portuale al “tavolo
tecnico” richiesto dalle Regioni si rivelerà virtuoso.
Paolo Costa, Presidente Autorità Portuale di Venezia
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