martedì 19 aprile 2016

COINCIDENZE ? (2) L'INTERVENTO DI PAOLO COSTA

Riforma dei porti, le tre mosse che rendono praticabile il percorso / ANALISI

Venezia - Il corto circuito generato dalla Conferenza delle Regioni tra piano della portualità e della logistica e riforma delle Autorità Portuali ci rinvia alla casella di partenza.



















Venezia - Il corto circuito generato dalla Conferenza delle Regioni tra piano della portualità e della logistica e riforma delle Autorità Portuali ci rinvia alla casella di partenza. Un gioco dell’oca che può però diventare virtuoso se usato per rendere la riforma capace di raggiungere obiettivi più ambiziosi. 
Per questo occorre eliminare ogni equivoco sul vero obiettivo finale, dislocare truppe fresche interessate a raggiungerlo e fornire alle stesse adeguati piani di battaglia. Il tutto tenendo conto delle preziose esperienze fatte nel giro precedente, che ha comunque il merito di aver tolto la riforma dalle secche nelle quali era imprigionata da almeno dieci anni.

Il bandolo della matassa sta nel rendere chiaro a tutti che il solo obiettivo sul quale la riforma va misurata è la riduzione dei margini che trasformano i prezzi alla fabbrica dei beni prodotti in Italia (e quelli alla dogana dei beni importati) in prezzi di mercato. Più alti sono questi margini – che pagano servizi di trasporto e logistici - meno competitive sono le nostre produzioni e le nostre esportazioni e più costose le nostre importazioni. 

Sono le inefficienze e le rendite che si annidano lungo le catene logistiche che producendo margini eccessivi costano all’Italia, come stimato da Confcommercio, una quarantina di miliardi annui di minor PIL. Se si vogliono davvero ridurre questi margini, occorre aggiungere ai provvedimenti già delineati nel decreto delegato Delrio che aggrediscono le inefficienze pubbliche altri capaci di contenere le rendite di cui oggi godono gli operatori del trasporto e della logistica.

Per farlo occorre mettere in campo truppe fresche. Occorre che il piano della portualità della logistica, finora costruito dando voce soltanto all’”offerta” (armatori, agenti, spedizionieri, autorità portuali, terminalisti, eccetera), venga rivisto alla luce delle esigenze della “domanda”, che è quella dei caricatori, di coloro che alla fine pagano il conto del trasporto e dei servizi connessi. Un’autentica scelta di campo, perché soddisfare gli interessi dei caricatori alla riduzione dei margini, nell’interesse superiore della competitività italiana, significa comprimere ricavi e profitti dell’offerta, che di suo tenderebbe a resistere al cambiamento. 

Nuove forze in campo e nuovi, adeguati, piani di battaglia. Quelli che aiutano a comprimere i margini unitari - i “prezzi” - e quelli che evitano “quantità” di trasporto inutili. I prezzi dei servizi di trasporto e logistici si riducono creando condizioni di maggior concorrenza su “mercati rilevanti” attenti alle economie di scala che garantiscono la competitività dei nostri operatori. Un uso meno banale delle decisioni codificate a livello europeo (non ci si può accontentare di ridurre le APDS, ma servono accorpamenti in multiporti alla radice marittima dei “core corridors” che scendono dai valichi alpini) e una lettura attenta delle toccate delle linee oceaniche provenienti dall’oltre Suez e dall’oltre Gibilterra, rendono evidente quale sia la geografia ottimale delle APDS (non più di cinque o sei) da lasciar poi operare anche in competizione tra loro entro un quadro di obiettivi condivisi definiti dal Governo con il Piano Nazionale dei trasporti .

Le “quantità” inutili si comprimono, invece, eliminando i giri viziosi delle maggiori distanze oggi fatte percorrere alle merci rispetto a quelle di percorso minimo, per l’incoerenza evidente tra la geografia dei nuovi mercati manifatturieri nazionali e la storia delle infrastrutture portuali italiane: contraddizione che gli operatori che oggi se ne avvantaggiano non hanno alcun interesse a correggere. Lo spostamento a nord-est del baricentro della manifattura italiana; lo spostamento ad est del baricentro della manifattura europea; la prevalenza del Mediterraneo orientale rispetto quello occidentale nei traffici interni al “mare nostrum”; la prevalenza a livello globale di traffici da e per l’oltre Suez rispetto a quelli da e per l’oltre Gibilterra; l’obsolescenza da sottodimensionamento di tutti i porti nazionali rispetto ai nuovi megacarichi, etc.; atti che evidenziano che ci sono capacità portuali da espandere e capacità portuali da abbandonare e che le espansioni necessarie all’Italia riguardano più l’Adriatico che il Tirreno e, se si vuol cogliere l’occasione cinese della Via della Seta, più Venezia e gli altri porti alto adriatici di ogni altro.

E’ poi approfittando di queste espansioni necessarie che si possono costruire le capacità portuali utili a trattare i volumi complessivi e, soprattutto, i unitari sempre più grandi imposti da un gigantismo navale inevitabile. Con queste tre mosse il gioco dell’oca portuale al “tavolo tecnico” richiesto dalle Regioni si rivelerà virtuoso.


Paolo Costa, Presidente Autorità Portuale di Venezia

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