LA BUROCRAZIA E I PORTI
Se pesa lo 0,071% in più è fuorilegge
Le regole (assurde) sui container
Dal 1° luglio vanno controllati uno per uno prima dell’imbarco.
Gli Usa hanno detto no
di Gian Antonio Stella
Sarebbe serio dare a un
pugile di un quintale un margine di sforamento sulla bilancia pari al peso di
un foglio di carta? Eppure è ciò che, proporzionalmente, vorrebbe fare la
nostra burocrazia coi container. Concedendo a quei giganteschi cassoni
oscillazioni massime nel peso dello 0,071%.
Una pignoleria ottusa che rischia
di dare ai nostri porti una mazzata. Intendiamoci, che qualche regola andasse
fissata è fuori discussione.
Sono stati troppi, negli ultimi anni, i problemi accusati dalle immense navi portacontainer, a causa di un carico eccessivo o mal distribuito.
Sono stati troppi, negli ultimi anni, i problemi accusati dalle immense navi portacontainer, a causa di un carico eccessivo o mal distribuito.
E le immagini del naufragio della «Rena», finita nel 2011
contro gli scogli della Astrolabe Reef davanti alla Nuova Zelanda, con la
dispersione di duecento tonnellate di petrolio e almeno centocinquanta
container, di cui alcuni molto tossici, sono lì a dirci: attenzione! «Le
statistiche del World Shipping Council», ha scritto trasportoeuropa.it,
«mostrano che le compagnie marittime hanno perso nel solo 2013 ben 5.578
container».
Di cui 4.463 per «eventi catastrofici». Media annuale: 1.679.
Va da
sé che, dato che i mari sono solcati da navi sempre più spropositate, che
passano i quattrocento metri di lunghezza (il doppio di Piazza Castello a
Torino) e portano 19 mila Teu, cioè cassoni larghi oltre due metri e lunghi
sei, il Solas (Safety of Life at Sea, l’organo che cura la sicurezza della
navigazione) ha fissato una regola.
Dal 1° luglio ogni Teu deve essere pesato
prima dell’imbarco. Giusto. Per portar via tutti i cassoni di una mega
portacontainer in caso di incidente, secondo gli esperti, potrebbero essere
necessari due anni. Da brividi. Viva le regole.
Le regole italiane
Purché le rispettino tutti (gli americani han già detto di
no) e purché queste regole siano sensate. Quanto pesa un container standard da
sei metri? Se è vuoto da 2.050 a 2.650 chili. Se è pieno da 18 a 28 tonnellate.
Bene: stando alle grida d’allarme di tutti coloro che si occupano di porti,
allarme ripreso dal Sole 24Ore, «il ministero dello Sviluppo economico,
rifacendosi a una serie di leggi nazionali sugli strumenti per pesare tra i quali
un regio decreto del 1902», l’anno in cui nacque Peter Pan, Arthur Conan Doyle
diventò baronetto e Giuseppe Zanardelli visitò la Basilicata su un carro di
buoi, «ha reso noto che i container, da noi, devono essere pesati con pese a
raso e con una tolleranza massima di 20 chili». Venti chili! Fate i conti:
l’elasticità concessa per uno di quei bestioni pesantissimi è pari al peso di
due borse di sassetti per gatti. Ridicolo. Lo dicevamo: sarebbe come consentire
a Mike Tyson una tolleranza sulla bilancia pari al peso d’un foglio di carta di
grammatura 100 usato per le fotocopiatrici. Per carità, la burocrazia su queste
cose aveva già dato prova di «citrullismo». Basti ricordare la multa a un
panettiere vicentino che sugli scontrini della «ciopéta mantovana» scriveva il
peso in grammi abbreviandolo con «gr» invece che «g». E altri aneddoti tra
l’assurdo e la demenza. Ma qui è in gioco, dicono i tecnici, un pezzo del
futuro dei nostri porti. Tanto più che non sarebbe consentito di pesare i
container con sistemi «dinamici» abbinati alle gru ma solo con le «pese a
raso». Quelle che, diffuse da decenni sul territorio, diedero il nome a
innumerevoli «Bar alla Pesa» o «Trattoria all’antica Pesa». Pese che, come
spiegava ancora il Sole, «implicano che un camion con container debba passare
due volte sul sistema di pesatura (una carico e una scarico, per far la tara)
con ovvi problemi logistici».
I tempi della «Pesa»
Per capirci: anche l’impianto più attrezzato, che si limiti a
sollevare con una gru il container e poi torni a posarlo sul camion dopo aver
pesato quest’ultimo senza carico, impiega come minimo tre minuti. Massimo: 20
Teu l’ora. Come potrebbe smaltirli tutti, ad esempio, un porto come La Spezia
che movimenta per il solo export oltre un migliaio di container al giorno e
grazie a sistemi sempre più sofisticati e alla collaborazione delle autorità
sdogana oggi quasi la metà dei Teu prima che entrino in porto? E Gioia Tauro
che, nonostante le difficoltà mondiali del Transhipment (il trasbordo da una
nave gigantesca a navi più ridotte) di Teu ne smista comunque oltre 7.000 in
media al giorno? Li devono caricare uno per uno su una vecchia pesa?A farla
corta: la cervellotica pignoleria di una certa burocrazia (buon senso vorrebbe,
dicono gli operatori, un margine del 5% in più o in meno, verso cui paiono
orientati gli altri Paesi europei) rischia di creare un serissimo intoppo ai
nostri porti. E questo sul più bello, quando dopo anni di ristagno dovuti ai
mutamenti epocali del traffico via mare e all’indifferenza dei vari governi
(esempio: su 133.735 titoli dell’Ansa su Berlusconi non ce n’è uno in cui lui
parli dei porti e non è che gli altri premier siano stati molto più premurosi)
gli scali italiani mostrano segni di ripresa.
Il crollo dei prezzi
Sarà per la «bolla» planetaria delle «gigantesse» che a forza
di ingrandirsi e farsi la guerra hanno fatto crollare i prezzi al punto che
portare un container da Shanghai a Genova nel gennaio 2015 costava in media
1.332 dollari e il 13 marzo (due settimane fa) è costato 129... Sarà per la
crisi di certi colossi del settore, come la danese Maersk, che come scrive la
rivista specializzata Ship2Shore ha chiuso il 2015 con «circa l’82% in meno
rispetto al 2014»... Sarà perché forse si è capito che piuttosto che un porto
immenso nel vuoto è meglio uno più piccolo ma con dietro un mercato per le
merci e grandi professionalità... Fatto sta che l’anno scorso l’interscambio
marittimo è salito del 2,5% (a 170 miliardi) e l’export del 6,9%. E la
benedetta riforma della governance varata dopo oltre un ventennio d’attesa con
la riduzione a 15 delle autorità portuali, per quanto invisa a certe Regioni
(«Una fatica bestiale!» si è sfogato Graziano Delrio) e accolta da applausi
tiepidini da vari operatori («positiva ma si poteva fare di più») è comunque
una svolta.
Il futuro dei porti italiani
Certo, le navi ipotizzate da 24 mila Teu (ammesso che la
corsa al gigantismo continui, dati i dubbi sulla convenienza di scavalcare non
solo noi ma lo stesso Mediterraneo e i costi stratosferici imposti ai porti per
adeguarsi) è impensabile che vengano da noi. Amen. Su quelle fino a 15 mila
cassoni però ce la possiamo giocare. Può giocarsela Trieste che nel 2015 ha
movimentato nel porto 5.604 treni e nel 2016 prevede un ulteriore aumento del
30% del traffico ferroviario per portar via i container senza caricarli su
camion che attraversino la città. Può giocarsela Genova che ha appena comprato
8 gru con bracci di 70 metri in grado di scaricare quei megacargo che coi
fondali di dieci anni fa non avrebbero neanche potuto entrare. Può giocarsela
La Spezia che già oggi carica sui treni il 35% dei cassoni, il triplo della
media nazionale. E altri ancora. Purché, ecco il punto, l’Italia torni a
credere nei suoi porti. Ci metta soldi, idee, progetti logistici. E lasci
perdere certi lacci e lacciuoli in grado di attorcigliare le gòmene...
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