domenica 27 marzo 2016

PESATURA DEI CONTAINER : IL PASTICCIO CHE RISCHIA DI BLOCCARE I PORTI (2)

Ecco l'articolo del Corriere della Sera sulla pesatura dei container:



Se pesa lo 0,071% in più è fuorilegge
Le regole (assurde) sui container

Dal 1° luglio vanno controllati uno per uno prima dell’imbarco. 

Gli Usa hanno detto no

di Gian Antonio Stella




Sarebbe serio dare a un pugile di un quintale un margine di sforamento sulla bilancia pari al peso di un foglio di carta? Eppure è ciò che, proporzionalmente, vorrebbe fare la nostra burocrazia coi container. Concedendo a quei giganteschi cassoni oscillazioni massime nel peso dello 0,071%. 

Una pignoleria ottusa che rischia di dare ai nostri porti una mazzata. Intendiamoci, che qualche regola andasse fissata è fuori discussione.
Sono stati troppi, negli ultimi anni, i problemi accusati dalle immense navi portacontainer, a causa di un carico eccessivo o mal distribuito. 

E le immagini del naufragio della «Rena», finita nel 2011 contro gli scogli della Astrolabe Reef davanti alla Nuova Zelanda, con la dispersione di duecento tonnellate di petrolio e almeno centocinquanta container, di cui alcuni molto tossici, sono lì a dirci: attenzione! «Le statistiche del World Shipping Council», ha scritto trasportoeuropa.it, «mostrano che le compagnie marittime hanno perso nel solo 2013 ben 5.578 container». 

Di cui 4.463 per «eventi catastrofici». Media annuale: 1.679. 

Va da sé che, dato che i mari sono solcati da navi sempre più spropositate, che passano i quattrocento metri di lunghezza (il doppio di Piazza Castello a Torino) e portano 19 mila Teu, cioè cassoni larghi oltre due metri e lunghi sei, il Solas (Safety of Life at Sea, l’organo che cura la sicurezza della navigazione) ha fissato una regola. 

Dal 1° luglio ogni Teu deve essere pesato prima dell’imbarco. Giusto. Per portar via tutti i cassoni di una mega portacontainer in caso di incidente, secondo gli esperti, potrebbero essere necessari due anni. Da brividi. Viva le regole.

Le regole italiane

Purché le rispettino tutti (gli americani han già detto di no) e purché queste regole siano sensate. Quanto pesa un container standard da sei metri? Se è vuoto da 2.050 a 2.650 chili. Se è pieno da 18 a 28 tonnellate. Bene: stando alle grida d’allarme di tutti coloro che si occupano di porti, allarme ripreso dal Sole 24Ore, «il ministero dello Sviluppo economico, rifacendosi a una serie di leggi nazionali sugli strumenti per pesare tra i quali un regio decreto del 1902», l’anno in cui nacque Peter Pan, Arthur Conan Doyle diventò baronetto e Giuseppe Zanardelli visitò la Basilicata su un carro di buoi, «ha reso noto che i container, da noi, devono essere pesati con pese a raso e con una tolleranza massima di 20 chili». Venti chili! Fate i conti: l’elasticità concessa per uno di quei bestioni pesantissimi è pari al peso di due borse di sassetti per gatti. Ridicolo. Lo dicevamo: sarebbe come consentire a Mike Tyson una tolleranza sulla bilancia pari al peso d’un foglio di carta di grammatura 100 usato per le fotocopiatrici. Per carità, la burocrazia su queste cose aveva già dato prova di «citrullismo». Basti ricordare la multa a un panettiere vicentino che sugli scontrini della «ciopéta mantovana» scriveva il peso in grammi abbreviandolo con «gr» invece che «g». E altri aneddoti tra l’assurdo e la demenza. Ma qui è in gioco, dicono i tecnici, un pezzo del futuro dei nostri porti. Tanto più che non sarebbe consentito di pesare i container con sistemi «dinamici» abbinati alle gru ma solo con le «pese a raso». Quelle che, diffuse da decenni sul territorio, diedero il nome a innumerevoli «Bar alla Pesa» o «Trattoria all’antica Pesa». Pese che, come spiegava ancora il Sole, «implicano che un camion con container debba passare due volte sul sistema di pesatura (una carico e una scarico, per far la tara) con ovvi problemi logistici».

I tempi della «Pesa»

Per capirci: anche l’impianto più attrezzato, che si limiti a sollevare con una gru il container e poi torni a posarlo sul camion dopo aver pesato quest’ultimo senza carico, impiega come minimo tre minuti. Massimo: 20 Teu l’ora. Come potrebbe smaltirli tutti, ad esempio, un porto come La Spezia che movimenta per il solo export oltre un migliaio di container al giorno e grazie a sistemi sempre più sofisticati e alla collaborazione delle autorità sdogana oggi quasi la metà dei Teu prima che entrino in porto? E Gioia Tauro che, nonostante le difficoltà mondiali del Transhipment (il trasbordo da una nave gigantesca a navi più ridotte) di Teu ne smista comunque oltre 7.000 in media al giorno? Li devono caricare uno per uno su una vecchia pesa?A farla corta: la cervellotica pignoleria di una certa burocrazia (buon senso vorrebbe, dicono gli operatori, un margine del 5% in più o in meno, verso cui paiono orientati gli altri Paesi europei) rischia di creare un serissimo intoppo ai nostri porti. E questo sul più bello, quando dopo anni di ristagno dovuti ai mutamenti epocali del traffico via mare e all’indifferenza dei vari governi (esempio: su 133.735 titoli dell’Ansa su Berlusconi non ce n’è uno in cui lui parli dei porti e non è che gli altri premier siano stati molto più premurosi) gli scali italiani mostrano segni di ripresa.

Il crollo dei prezzi

Sarà per la «bolla» planetaria delle «gigantesse» che a forza di ingrandirsi e farsi la guerra hanno fatto crollare i prezzi al punto che portare un container da Shanghai a Genova nel gennaio 2015 costava in media 1.332 dollari e il 13 marzo (due settimane fa) è costato 129... Sarà per la crisi di certi colossi del settore, come la danese Maersk, che come scrive la rivista specializzata Ship2Shore ha chiuso il 2015 con «circa l’82% in meno rispetto al 2014»... Sarà perché forse si è capito che piuttosto che un porto immenso nel vuoto è meglio uno più piccolo ma con dietro un mercato per le merci e grandi professionalità... Fatto sta che l’anno scorso l’interscambio marittimo è salito del 2,5% (a 170 miliardi) e l’export del 6,9%. E la benedetta riforma della governance varata dopo oltre un ventennio d’attesa con la riduzione a 15 delle autorità portuali, per quanto invisa a certe Regioni («Una fatica bestiale!» si è sfogato Graziano Delrio) e accolta da applausi tiepidini da vari operatori («positiva ma si poteva fare di più») è comunque una svolta.

Il futuro dei porti italiani

Certo, le navi ipotizzate da 24 mila Teu (ammesso che la corsa al gigantismo continui, dati i dubbi sulla convenienza di scavalcare non solo noi ma lo stesso Mediterraneo e i costi stratosferici imposti ai porti per adeguarsi) è impensabile che vengano da noi. Amen. Su quelle fino a 15 mila cassoni però ce la possiamo giocare. Può giocarsela Trieste che nel 2015 ha movimentato nel porto 5.604 treni e nel 2016 prevede un ulteriore aumento del 30% del traffico ferroviario per portar via i container senza caricarli su camion che attraversino la città. Può giocarsela Genova che ha appena comprato 8 gru con bracci di 70 metri in grado di scaricare quei megacargo che coi fondali di dieci anni fa non avrebbero neanche potuto entrare. Può giocarsela La Spezia che già oggi carica sui treni il 35% dei cassoni, il triplo della media nazionale. E altri ancora. Purché, ecco il punto, l’Italia torni a credere nei suoi porti. Ci metta soldi, idee, progetti logistici. E lasci perdere certi lacci e lacciuoli in grado di attorcigliare le gòmene...

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