LA NOTIZIA : La Corte Costituzionale dichiara che la Riforma della Portualità non si può fare senza consultare le Regioni.



Genova - Pur essendo il riordino della portualità una
materia di competenza centrale, non è consentito allo Stato di ignorare
totalmente il parere delle Regioni.
Genova - Pur essendo il riordino della portualità una
materia di competenza centrale, non è consentito allo Stato di ignorare
totalmente il parere delle Regioni che, al contrario, vanno obbligatoriamente
coinvolte nel processo decisionale «in base al principio di lealtà».
Per questo
motivo la Corte Costituzionale, con una sentenza depositata ieri, ha dichiarato
l’illegittimità della legge “Sblocca Italia” nella parte in cui non prevede
«alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni nelle procedure di adozione del
piano strategico nazionale della portualità e della logistica: aspetto sul
quale la norma censurata rimane, in effetti, completamente silente».
A proporre ricorso era stata, alla fine dello scorso anno,
la Regione Campania, secondo la quale nel momento in cui lo “Sblocca Italia”
prevedeva l’adozione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del «piano
strategico nazionale della portualità e della logistica», andava a incidere
sulla materia «porti e aeroporti civili, di competenza legislativa concorrente
ai sensi dell’art. 117, terzo comma della Costituzione».
Una tesi ampiamente
accettata dalla Consulta, che nelle motivazioni della sentenza numero 261/2015
(consultabile qui) sottolinea come la norma impugnata vada dichiarata
«costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che il piano
strategico nazionale della portualità e della logistica, da essa disciplinato,
sia adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni».
La pronuncia della Corte Costituzionale arriva in un momento
delicatissimo per la portualità italiana, e fornisce un clamoroso assist a
quelle Regioni – Liguria in testa – che da mesi chiedono di essere coinvolte in
prima linea nel dibattito sulla riforma della legge 84/1994 e, soprattutto, di
avere voce in capitolo in materia di governance e stesura dei piani regolatori.
La Consulta, da parte sua, è perentoria: nessun piano della portualità può
avere valore senza un passaggio in Conferenza Stato-Regioni.
La riforma “raddoppia”
Intanto Graziano Delrio non lascia, anzi raddoppia. Al
ministero delle Infrastrutture hanno deciso di scrivere – e presentare - due
diverse ipotesi di riforma portuale. A quanto risulta al Secolo XIX/The
MediTelegraph, sul tavolo della presidenza del Consiglio, ci sarebbero già ora
due bozze di decreto. I due dossier sono all’esame di Antonella Manzione, a
capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi e braccio destro tecnico di
Renzi. Il primo documento è noto e già anticipato: si tratta del progetto che
prevede la riduzione a quattordici Autorità di sistema dalle attuali 24, mentre
il resto degli scali viene classificato come “direzione portuale”: meri presidi
territoriali, svuotati di quasi tutte le funzioni. Il secondo decreto che
invece Renzi si troverà a dover esaminare, ricalca lo schema degli otto
distretti elaborato a maggio dello scorso anno dallo stesso ministero, già
scritti in forma di bozza e poi in fretta accantonati per le imminenti elezioni
regionali e la rivolta sui territori che rischiavano l’accorpamento. Oggi quei
distretti, che prevedevano ampi spazi manovra geografici e operativi per le
nuove super Autorità portuali, si sono ridotti in un numero variabile da 5 a 7,
«ma dobbiamo ancora decidere» confidano due fonti romane, «perché se a livello
politico ci fosse un accordo su un’unica Authority nazionale, non è detto che
non si possa fare» spiega un altro parlamentare.
Ora è tutto in mano a palazzo Chigi che, ricevute le due
proposte di Delrio, dovrà decidere quale presentare nella prossima riunione del
consiglio dei Ministri.
Una scelta resa più difficile dalla sentenza della
Consulta. Una delle ipotesi sulla data è che il decreto sulla governance dei
porti potrebbe essere discusso già la settimana prossima, ma è più probabile
che il testo del decreto arrivi sul tavolo del Cdm il 21 dicembre. Renzi, in
accordo con il sottosegretario Lotti e la Manzione, sceglierà il documento
ritenuto migliore, ma c’è una terza possibilità, non ancora da scartare. Alla
fine il premier potrebbe anche non operare una scelta e decidere di rimandare
ulteriormente la questione, non soddisfatto dalle due ipotesi che Delrio ha
presentato.
In mezzo, anche questa volta, ci sono elezioni amministrative: il
nuovo decreto che prevede le 14 Authority di sistema ha portato, come è noto,
ad una rivolta dei porti declassati a direzione di scalo. La proposta dei
distretti portuali, sotto il profilo degli accorpamenti, è ancora più
stringente, visto che ne prevederebbe un minimo di cinque e un massimo di
sette: l’Alto Tirreno andrebbe da Savona a Piombino, Civitavecchia ingloberebbe
Napoli e Salerno, la Sardegna rimarrebbe da sola così come la Sicilia che
farebbe distretto a sé. Poi Gioia Tauro, i porti pugliesi e una mega Authority
a gestire da Ancona a Trieste.
C’è spazio ancora per un paio di ritocchi: qualche Autorità
potrebbe salvarsi, altre potrebbero finire accorpate. Questa seconda ipotesi di
decreto mira a rendere i distretti un’emanazione diretta del ministero, perché
alla guida, confida un’altra fonte, potrebbero insediarsi figure del tutto
comparabili ai direttori generali del Mit. I due testi di fronte a Renzi sono
all’opposto: uno prevede ancora una forma di governo territoriale, l’altro
accentrerebbe quasi tutto. «Io nel merito non posso dire nulla – spiega
Maurizio Maresca, consigliere giuridico economico del premier – ma confido che
questa volta ci siano le condizioni per una riforma vera che promuova
trasparenza, crescita e traffici».
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