
Si tratta a nostro avviso di una interpellanza organizzata in modo esauriente che riesce a dimostrare le conseguenze concrete e pratiche di un dibattito locale troppe volte deriso e sottovalutato.
Di seguito il testo dell'interpellanza:
Al
Ministro dell’Economia e Finanze e al Ministro delle Infrastrutture e Trasporti
-per
sapere
-premesso
che:
la
scadenza a breve dei termini per i pagamenti ICI/IMU relativi ai beni demaniali
del Porto di Trieste assentiti in concessione agli operatori del porto, ha
risollevato il problema inerente alla corretta applicazione della normativa in
materia;
la
disciplina ICI/IMU relativa ai beni demaniali ha subito una sostanziale
modifica a seguito dell’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2000, n. 388,
recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato” (legge finanziaria 2001): l’articolo 18, in modifica all’art. 3,
comma 2 del D.Lgs del 30 dicembre 1992 n. 504, in materia di “Riordino della
finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre
1992, n. 42”, ha stabilito che in caso di concessione di aree doganali il
soggetto passivo sia il concessionario;
in
base all’art. 7, comma 1, lettera b) del D.Lgs n. 504 del 1992 sono da
considerarsi esenti dall’Imposta ICI/IMU i fabbricati classificati o
classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9;
l’articolo
2, comma 40 e seguenti, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito
con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 28, ha dettato norme in
materia di classificazione degli immobili ed in particolare delle unità
immobiliari polifunzionali censite nelle categorie catastali del “Gruppo E”,
stabilendo che “Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1,
E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni
di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato
ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale o
reddituale”;
il
comma 41 del medesimo art. 2 stabilisce che “Le unità immobiliari che per
effetto del criterio stabilito nel comma 40 richiedono una revisione della
qualificazione e quindi della rendita devono essere dichiarate in catasto da
parte dei soggetti intestatari, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore
del presente decreto. In caso di inottemperanza, gli uffici provinciali
dell’Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell’interessato,
agli adempimenti previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle
Finanze 19 aprile 1994, n. 701; in tale caso si applica la sanzione…”;
l’Agenzia
del Territorio con circolare 4/T del 13.04.2007 ha definito alcuni aspetti introdotti
dalla legge 262/2006 e dettato le linee guida per individuare le aree demaniali
classificabili nelle categorie catastali esenti d’ imposta;
infatti,
secondo tale circolare, le aree demaniali che fanno parte di un compendio
destinato a traffico marittimo o ad operazioni strettamente collegate e necessarie
all’attività portuale vanno inserite nelle unità immobiliari censite al Catasto
Edilizio Urbano nella categoria E/1;
la
risoluzione interpretativa del Ministero dell’Economia e Finanze n. 3/DF del 10
agosto 2009 relativa “all’Imposta comunale sugli immobili (ICI) e relativa
disciplina delle aree portuali oggetto di concessione demaniali” ha stabilito:
“In particolare, in ordine al concetto di “area demaniale”, si precisa che essa
è esente da ICI – ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera b), del D.Lgs n. 504
del 1992 – qualora faccia parte di un compendio destinato al traffico marittimo
e/o ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali e, come tale,
vada incorporata in un’unità immobiliare censita al Catasto Edilizio Urbano
nella categoria E/1 …”;
inoltre
specifica: “Qualora, invece, all’interno dell’ “area demaniale” si realizzino
interventi od opere non destinate agli usi suddetti ed aventi caratteristiche
tali da far assumere all’area, o a porzione di essa, natura di un’autonoma
unità immobiliare ai sensi del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, si deve procedere
alla presentazione delle dichiarazioni in catasto, rappresentando le variazioni
intervenute. Dette unità immobiliari potrebbero, quindi, essere assoggettate al
pagamento dell’ICI nell’eventualità in cui venissero accertate in una categoria
diversa da quelle richiamate nel gruppo “E” del quadro di qualificazione
catastale.”;
a
ben vedere, tuttavia, la gran parte delle aree del porto di Trieste sono
assentite in concessione ai sensi del combinato disposto degli artt. 16 e 18
della L. 84/94. I concessionari di aree e banchine devono, infatti, ottenere
anche l’autorizzazione ex art. 16 L . 84/94 mediante la quale
vengono autorizzati a svolgere le operazioni portuali di sbarco, imbarco,
carico, scarico trasbordo, deposito e movimentazione in genere delle merci in
ambito portuale previste;
la disponibilità della suddetta autorizzazione allo
svolgimento delle operazioni portuali rappresenta l’indefettibile presupposto
per l’ottenimento prima ed il mantenimento poi della concessione demaniale
marittima che consente di disporre delle aree portuali de quo. L’art. 18 della L. 84/94 (rubricato “Concessione di aree e
banchine”) stabilisce, infatti, che le Autorità Portuali “danno in concessione le aree demaniali e le banchine comprese
nell’ambito portuale alle imprese di cui all’articolo 16, comma 3, per
l’espletamento delle operazioni portuali, fatta salva l’utilizzazione
degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di
funzioni attinenti ad attività marittime e portuali”;
appare a questo punto evidente che la vigente
normativa prevede due sole ipotesi di utilizzo delle aree facenti parte del
demanio portuale: l’utilizzo diretto da parte di amministrazioni pubbliche e
l’utilizzo uti singuli da parte di
concessionari privati che assicurino di utilizzare le suddette porzioni di
demanio marittimo al fine di svolgervi le operazioni portuali e garantiscano “l’incremento dei traffici e della
produttività del porto” (art. 18, comma 6 lett. a, L. 84/94);
il legislatore ha ritenuto a tal punto rilevante il
corretto utilizzo delle aree portuali nel senso sopra indicato, che ha
introdotto nella normativa portuale una serie di disposizioni volte ad
attribuire alle Autorità Portuali un potere sanzionatorio nel caso in cui gli
operatori portuali concessionari ex art. 18 ed autorizzati ex art. 16 non
movimentassero i volumi di merce preventivati. In proposito si osserva,
innanzitutto, che le modalità con cui l’Autorità Portuale è tenuta a rilasciare
le autorizzazioni ex art. 16 L .
84/94 ed a vigilare sullo svolgimento delle operazioni portuali sono dettate
dal D.M. 585 del 1995: l’art. 3, lettera f), del D.M. 585/95 pone, quale
presupposto per il rilascio dell’autorizzazione ex art. 16, la presentazione da
parte dell’operatore portuale di “un
programma operativo non inferiore ad un anno con un piano di investimenti […] e
di prospettive di traffici”. L’eventuale mancato
raggiungimento degli obiettivi preventivati nel programma operativo comporta la
sospensione o la revoca dell’autorizzazione allo svolgimento delle operazioni
portuali (art. 7 lett. c, DM 585/95). Anche l’art. 18, comma 9, della L. 84/94
stabilisce che in caso di “mancato
raggiungimento degli obiettivi indicati nel programma di attività, di cui al
comma 6 lettera a), senza giustificato motivo, l’Autorità portuale, o laddove
non istituita, l’Autorità marittima, revocano la concessione”. Nel caso
specifico l’Autorità Portuale pretende dai concessionari del Porto di Trieste
delle precise garanzie relative ai volumi di merce movimentata presso le aree
assentite in concessione. In particolare le autorizzazioni rilasciate
dall’Autorità Portuale di Trieste prevedono
normalmente che “l’impresa autorizzata,
essendo anche concessionaria di aree demaniali e banchine comprese nell’ambito
portuale, è tenuta a presentare, ai sensi dell’art. 18, comma 6, Legge n.
84/1994 […] idonea garanzia fideiussoria in favore dell’Autorità Portuale di
Trieste, irrevocabilmente e senza condizioni, con riferimento specifico alla movimentazione
annuale, per operazioni di sbarco/imbarco svolte nel proprio terminale, di cui
al programma operativo presentato con istanza di rinnovo/rilascio”. Il tenore
letterale dei titoli autorizzativi e concessori rilasciati dall’Autorità
Portuale in favore dei concessionari, così come il complesso delle norme che
disciplinano il rilascio e la revoca delle concessioni di aree e banchine in
ambito portuale consentono, dunque, di concludere che le aree detenute in
concessione dalla odierna ricorrente rappresentano per loro stessa natura “un compendio destinato al traffico marittimo
e/o ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali”, ovvero
che si tratta di luoghi destinati al traffico marittimo e/o ad operazioni
strettamente necessarie alle attività portuali;
l’impostazione
sopra prospettata è stata condivisa anche dalla Commissione Tributaria di
Trieste, espressasi a seguito di un contenzioso in materia, che ha stabilito
con Sent. 16 gennaio 2012 (30 novembre 2011) n. 1: “Gli immobili dati in
concessione dall’autorità portuale a un soggetto privato devono essere
accatastati nella categoria del gruppo «E», con conseguente esenzione da ICI,
oggi IMU, in quanto comunque destinati al perseguimento dell’utilità pubblica.
Non si può, infatti, parlare di utilizzazione del bene demaniale dal punto di
vista commerciale, poiché il suo uso particolare mediante atto di concessione
deve essere rivolto esclusivamente allo svolgimento delle funzioni marittime e
portuali, considerato che anche in questo modo l’autorità portuale amministra i
beni demaniali a lei affidati per promuovere l’attività del porto, svolgendo
attività di controllo e coordinamento di tutti i servizi portuali.”;
tuttavia,
solo alcuni beni demaniali portuali dello scalo triestino sono stati registrati
in categoria catastale E/1, mentre altri sono stati accatastati con categorie
diverse ed altri ancora non registrati, con conseguente notifica degli avvisi
di accertamento ai soli soggetti concessionari di beni demaniali iscritti a
catasto con categoria diversa dalla E/1;
si rammenta, inoltre, che il particolare regime
giuridico al quale sono assoggettati i punti franchi del Porto Franco di
Trieste, inclusi i beni demaniali, è ancora oggi rappresentato dagli artt. da 1 a 20 dell’Allegato VIII al
Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 reso esecutivo con decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato con legge 25
novembre 1952, n. 3054, dal Memorandum
di Londra del 5 ottobre 1954, dai decreti del Commissario generale del Governo
per il Territorio di Trieste n. 29/1955 e n. 53 del 23 dicembre 1959 e, per
quanto non in contrasto con le disposizioni sopra citate, dal D.M. 20.12.1925
n. 1693. La normativa speciale testé menzionata è
destinata, proprio perché rappresenta il recepimento di un obbligo
internazionalmente assunto dall’Italia, a prevalere sulle norme nazionali o
comunitarie con essa eventualmente contrastanti. La perdurante vigenza delle citate fonti normative, oltre che essere
suffragata da varie pronunce giurisprudenziali (cfr., fra le altre, Tribunale
di Trieste, 13.05.1997, in Dir. Trasp.,
1998, con nota di R. Longobardi, pag. 761), appare confermata
dall’inequivocabile tenore di precise disposizioni normative emanate dal
legislatore nazionale. Ad esempio l’art. 6 del D.P.R. 2 ottobre 1978 n. 714,
emanato in attuazione del Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, conferma che
“i limiti dei punti franchi compresi
nella zona del porto franco di Trieste sono quelli risultanti dalle tabelle A,
B, C allegate …” (trattasi di planimetrie riportanti gli ambiti ed i
confini fisici dei punti franchi portuali). La medesima norma sopra richiamata
ribadisce, inoltre, che “restano in
vigore tutte le speciali disposizioni riguardanti lo stato giuridico,
l’esercizio o l’amministrazione dei punti franchi del porto di Trieste”. Si
evidenzia, inoltre, che anche la vigente legge n. 84/1994, recante la riforma
dell’ordinamento portuale, all’art. 6, comma 12, prevede che “è fatta salva la disciplina vigente per i
punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste”. Si è più
sopra accennato come la giurisprudenza abbia costantemente rilevato che la
particolare natura delle fonti che disciplinano il regime giuridico del Porto
Franco di Trieste permetta di affermare che lo Stato italiano è
internazionalmente obbligato a mantenere in vigore il regime giuridico cui sono
assoggettati i punti franchi del porto di Trieste. Con l’ordinanza collegiale
dd. 13.05.1997 (cit.) il Tribunale di Trieste ha, ad esempio, riconosciuto che,
poiché la normativa speciale che disciplina il Porto Franco di Trieste
rappresenta l’attuazione di un obbligo internazionalmente assunto dall’Italia
con il Trattato di Pace del 1947, tali norme sono destinate a prevalere
rispetto alla normativa (anche di carattere comunitario) eventualmente
contrastante. Nel caso specifico il Tribunale ha, conseguentemente, ordinato ex art. 700 c.p.c. al Ministero delle
Finanze di astenersi dall’applicare, nell’ambito del Porto Franco di Trieste,
il regolamento doganale comunitario;
nello specifico, per quanto concerne i contenuti
degli obblighi assunti dall’Italia con le norme in esame, si richiama
l’attenzione sull’art. 5 dell’allegato VIII del Trattato di Pace del 1947, con
il quale si stabilisce che:
“le navi mercantili e le merci di tutti i
paesi godranno di un completo libero accesso nel Porto Franco per carico e
scarico, sia per beni in transito, sia per beni destinati o provenienti dal
Territorio Libero. Le Autorità del Territorio Libero (ora della Repubblica
italiana, a seguito della sottoscrizione del Memorandum di Londra del 1954) non percepiranno sulle merci di
importazione, in esportazione od in transito attraverso il Porto Franco né dazi
doganali, né altri gravami, che non
siano in corrispettivo dei servizi prestati.”;
come
è noto, l’ICI/IMU è un’imposta che grava sugli immobili la cui quantificazione
prescinde da qualsivoglia correlazione fra entità dell’imposta e servizi resi
dal Comune al contribuente (peratro, nell’ambito portuale triestino il Comune
non rende alcun servizio a favore dei concessionari). Dato che nell’ambito del
Porto Franco di Trieste i beni demaniali in concessione sono tutti destinati ad
attività concernenti il transito delle merci in arrivo o partenza dal Porto
Franco stesso, l’introduzione di un’imposta sulle infrastrutture portuali
destinate al transito delle merci verrà necessariamente a riversarsi sui costi
praticati dal concessionario per la movimentazione delle merci e, dunque, si
traduce di fatto in un maggior onere a carico delle merci in transito per il Porto
Franco di Trieste.
Il che è evidentemente in contrasto con la sopra richiamata
normativa speciale, la quale impone che sulle merci in transito per il Porto
Franco di Trieste non siano applicati “né
dazi doganali, né altri gravami,
che non siano in corrispettivo dei servizi prestati”:
se
sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali ulteriori elementi abbia in suo
possesso;
se
non ritenga di intervenire con atti e provvedimenti mirati per chiarire ineludibilmente
l’esatta classificazione catastale nella categoria E/1 “Stazioni per servizi di
trasporto, terrestri, marittimi ed aerei” dei beni demaniali marittimi
portuali assentiti in concessione per lo sviluppo dei traffici marittimi;
quali
azioni urgenti intenda porre in essere per chiarire ed uniformare
definitivamente l’applicazione della normativa in materia di ICI/IMU per i beni
demaniali marittimi portuali costituenti “Stazioni per servizi di trasporto, terrestri,
marittimi ed aerei”;
quali
azioni urgenti intenda porre in essere in proposito, in relazione alla
peculiarità del Porto Franco di Trieste nel rispetto dei principi dettati dall’Allegato
VIII al Trattato di Parigi del 1947, accolti dall’ordinamento dello Stato
Italiano, ed in che modo;
quali
siano i motivi per cui gli Organi statali competenti non siano ancora
intervenuti per dare la giusta interpretazione normativa in merito alla materia
espressa in premessa ed evitare e/o risolvere il prima possibile i
numerosissimi contenziosi già insorti, che recano danno sia agli operatori
portuali che agli Enti interessati, ma soprattutto allo sviluppo della
portualità italiana.
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