

Abbiamo già scritto in due post precedenti dello studio sull'impatto delle meganavi portacontainer. Nel post di oggi vi proponiamo due pezzi da TrasportoEuropa e del Medi Telegraph che elenca alcuni punti chiave della questione.
Maersk, le rotte container globali in mano di pochi
Martedì 09 Giugno 2015
Il Ceo di A.P. Møller-Mærsk, Nils Andersen, ha dichiarato in
un'intervista che entro pochi anni spariranno le piccole medie compagnie di
navigazione dalle principali rotte dei container, che saranno dominate da pochi
operatori.
L'affermazione non sorprende gli analisti, che da tempo
hanno individuato questa tendenza, ma indubbiamente colpisce se detta dal
dirigente della più grande compagnia mondiale del container. L'intervista di
Andersen al Wall Street Journal arriva in concomitanza con l'annuncio ufficiale
che Maersk Line ha ordinato undici unità da 19.630 teu, per una fattura totale
di 1,8 miliardi di dollari.

Andersen ha spiegato che la medie e piccole compagnie, ossia
quelle che hanno una quota fino al 5% del mercato, stanno lavorando in perdita
negli ultimi anni, una situazione che non potrà continuare per molto tempo.
Aggiungiamo che gli stessi colossi sono in difficoltà, a causa dal collasso dei
noli causato dall'eccesso di offerta, che a sua volta deriva dall'introduzione
di navi sempre più grandi. Quindi, le principali compagnie si stanno aggregando
in consorzi, che rendono ancora più difficile la vita alle società più piccole.
Alla domanda su quanto continuerà questa condizione di
offerta di stiva superiore alla domanda, Andersen risponde che proseguirà per
almeno i prossimi cinque anni. Nei prossimi dodici mesi, il Ceo di Maersk
prevede che la crescita dei volumi sarà "relativamente lenta", ossia
compresa fra il tre ed il cinque percento.
Comunque, egli ritiene che gli
enormi investimenti attuati in mega-portacontainer renderanno. "Comportano
dei rischi, ma il nostro orizzonte raggiunge i trent'anni", egli spiega.
Le mega-navi ci costano mezzo
miliardo / FOCUS
Genova - Uno studio dell’Ocse (il suo autore, Olaf Merk, sarà a Genova venerdì
in occasione dell’assemblea di Feport, l’associazione europea dei terminalisti)
boccia la corsa degli armatori alle mega-portacontainer.
ALBERTO QUARATI - GIUGNO 06, 2015
Genova - Uno studio dell’Ocse (il suo autore, Olaf Merk,
sarà a Genova venerdì in occasione dell’assemblea Feport, l’associazione
europea dei terminalisti) boccia la corsa degli armatori alle
mega-portacontainer.
Navi più grandi, più economie di scala. Ma anche più
possibilità di controllare il trasporto dei container via acqua, un terzo dei
traffici marittimi mondiali, il 90% di tutto ciò che è veicolato dentro
contenitore. Nemmeno negli anni Settanta, ai tempi delle super-petroliere, era
così evidente che in mare vale solo la legge del più forte. Costruire mega-navi
comporta rischi economici, affrontati dai big del settore per mettere
all’angolo i concorrenti più deboli.
Ma - primo problema rilevato dall’Ocse - le economie di
scala prodotte dalle mega-portacontainer si stanno esaurendo. Il passaggio da
una capacità da 9.000 a 15 mila teu ha ridotto di un terzo i costi di gestione
in 10 anni, mentre il passaggio da 19 mila a 24 mila teu darà agli armatori
risparmi da quattro a sei volte inferiori, e già oggi - rispetto alle navi del
passato - il 60% delle ridotte spese è dato dalla maggiore efficienza dei
motori associata alle tecniche di slow steaming.
Due: le economie di scala sono esclusivamente a favore degli
armatori. Il consumatore finale anzi rischia di pagare di più: la corsa dei
porti a intercettare il traffico delle mega-navi è pagata per buona parte con i
soldi dei contribuenti. Secondo le stime dell’Ocse, nella spesa generale annuale
dei trasporti, le mega-navi incidono per circa 400 milioni di dollari: un terzo
per nuove gru, un terzo per dragaggi, un terzo per nuove banchine e retroporti.
Inoltre in molti Stati non esiste pianificazione territoriale.
Tre : I costi a carico
della collettività si duplicano in per rivalità di campanile o distribuzione di
fondi a pioggia. Problema italiano? No, europeo: l’Ue ha razionalizzato i porti
con l’istituzione degli scali “core” sulle maggiori reti infrastrutturali del
Continente (Ten-T), ma tra una spintarella e l’altra questi porti “core” sono
diventati 104 in luogo di 83.
Quattro: assicurazioni. È stato calcolato che l’affondamento
di una nave da 19 mila teu costa un miliardo di dollari, e questo incide in
termini di costi di P&I. Senza contare che oggi non esistono al mondo mezzi
in grado di poter rimuovere i relitti, e sono pochissimi i bacini di carenaggio
dove riparare queste navi.
Infine, l’armonizzazione del lavoro: le mega-portacontainer
sin qui ordinate e saranno immesse sul mercato nei prossimi cinque anni
ignorando non solo il ciclo economico attuale (assestamento di consumi e
trasporti) ma più banalmente l’organizzazione dei porti, benché molti armatori
siano anche terminalisti.
Le maggiori dimensioni aumentano i movimenti-ora
progressivamente ridotti in questi anni dagli investimenti dei terminalisti. I
maggiori tempi di carico e scarico non tengono conto delle rigidità degli
uffici pubblici, delle pause riposto degli autotrasportatori, della chiusura
della dogana nel week end (anche in Nord Europa). Il braccio di ferro tra
realtà e ambizioni dei super-armatori è insomma appena cominciato.
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