Taranto termina container TCT
Le speranze di un piccolo grande passo
LA GAZZETTA MARITTIMA 16 maggio 2015
TARANTO – Potremmo metterla così: il governo questa volta ci
ha messo tutte le buone intenzioni di mantenere gli impegni che nel passato
sono stati traditi. Ma potremmo anche ricordare, come credo facciano gli
azionisti del TCT cui bruciano ancora i suddetti tradimenti, che le strade
dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Proverbio antico e purtroppo
sempre attuale.
Quando poi la bruciatura è costata oltre 160 milioni di
perdite, ed ha trasformato il progetto di un grande “hub” in una specie di
voragine di chiacchiere e di burocrazia autoreferente, c’è da comprendere se
gli azionisti volessero tagliare il nodo gordiano con un definitivo colpo di
spada; oppure, nell’ipotesi più buonista, rifugiarsi anch’essi dietro il
vecchio scudo levantino del “pagare baschish e vedere cammello”. Dalla prossima
assemblea c’è da aspettarsi il peggio o il meglio, ma in ogni caso non basterà
una pre-intesa: “vedere il cammello” potrebbe legittimamente essere il minimo
della richiesta.
Alla base di tutto non ci sono soltanto gli accordi del
2012, quando fu solennemente firmato un documento che prevedeva l’immediato
inizio dei tanto attesi lavori di riqualificazione del terminal e il loro
completamento nel 2015 (lavori che ad oggi non sono nemmeno cominciati).
Alla
base di tutto c’è stato un impegno nato almeno due lustri or sono, che aveva
ipotizzato per Taranto un futuro da grande “hub” dei containers, coinvolgendo i
cinesi di Evergreen che già si erano impegnati per l’acquisto-salvataggio di
una delle storiche compagnie di bandiera italiane con gruppo Maneschi. Quella
di Taranto è la storia di una delle più grandi speranze della portualità del
meridione d’Italia e nello stesso tempo di una delle più grandi delusioni per
l’incapacità dei governi nazionale e locale.
Per rimediare non bastano,
ovviamente le parole dei protocolli. Spes ultima Dea, ma bisogna prima di tutto
dimostrare che il Paese ha cambiato davvero e sa finalmente guardare alla
portualità e all’economia del mare. Un piccolo passo nel quadro geo-economico
del Mediterraneo, un passo enorme per un’Italietta che ad oggi ha considerato i
porti più che altro come poltronifici. Brutta immagine, ne convengo: ma
l’amarezza di certi fallimenti non può non bruciare.
Antonio Fulvi
Potrebbe essere interessante confrontare gli anni in cui gli stessi soggetti hanno operato a Trieste sul Molo VII e A Taranto nel Terminal Container.
Si tratta di leggere il grafico ricordando che non ci sono stati consistenti trasferimenti di traffico container tra Trieste e Taranto o viceversa. Questo si verifica facilmente sommando il traffico container dei due terminal e verificando quindi una perdita di traffico complessiva negli anni.
Si tratta di leggere il grafico ricordando che non ci sono stati consistenti trasferimenti di traffico container tra Trieste e Taranto o viceversa. Questo si verifica facilmente sommando il traffico container dei due terminal e verificando quindi una perdita di traffico complessiva negli anni.
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