
Io mi domando: ma è possibile che il cluster
marittimo-portuale triestino non sia capace di imporre un livello di discussione decente, sensato, che tratti i
problemi veri del porto, che dica come stanno le cose sul mercato
internazionale, che produca numeri e non chiacchere?
E’ possibile che tutto sia
subordinato alla necessità de “Il Piccolo” di riempire le sue pagine con
qualunque bla bla bla, pur di riempirle?
Non credo di essere stato tenero nei
giudizi che ho espresso pubblicamente sul libro di Costa e Maresca, ma oggi non
vedo proprio la ragione di stracciarsi le vesti di fronte a dichiarazioni ovvie
e scontate. ( recensione del libro di Costa e Maresca del prof. Bologna )
Maresca dice che Venezia è meglio posizionata di Trieste sull’asse
del Brennero.
E’ vero, basta guardare la carta geografica.
Maresca dice che
Trieste senza Capodistria non va da nessuna parte, formulazione infelice se
vogliamo, ma se avesse detto che il principale competitor di Trieste è
Capodistria, avremmo potuto dargli torto?
Allora, perché non entriamo nel
merito di un’affermazione ovvia come questa?
Perché non diciamo che la maggiore
attrattività di Capodistria rispetto a Trieste è data anche – o forse
soprattutto - al sistematico dumping sociale che certi Paesi di recente
adesione all’UE esercitano nei confronti dei Paesi fondatori dell’Unione?
Vogliamo
dire o no che il principale ostacolo agli investimenti stranieri in Italia, nei
porti e non solo, è la mancanza di certezza nel diritto?
E che quindi quanto
più si prolunga l’incertezza sul futuro della governance portuale, tanto più si
allontanano gli investitori stranieri?
Il governo si rende conto dell’effetto
devastante che hanno i rinvii ed i tentennamenti delle decisioni in merito alla
natura delle Autorità portuali, in merito al regime delle concessioni e via
dicendo?
Come può un investitore trattare con un commissario quando non sa se
tra sei mesi è ancora in carica?
Si rendono conto quelli che propongono con
tanta leggerezza nuovi assetti di governance che non fanno altro che aumentare
la confusione?
Trieste
non potrà mai essere un porto regionale, è per sua natura un porto europeo. Ha
il cuore sulle banchine ma i polmoni sono le sue articolazioni marittime e
terrestri, senza ferrovia di lunga distanza Trieste non respira e senza
ossigeno il cuore non batte.
Le strade che percorrono i suoi traffici le
traccia il mercato, non i burocrati di Bruxelles, che si divertono a disegnare
corridoi senza senso cosparsi di soldi, in modo che le comunità si azzuffino
per impadronirsene – come i disperati di Napoli un tempo che si azzuffavano a
morte per conquistare il prosciutto che pendeva dall’albero della cuccagna.
Qualcuno mi dovrà spiegare un giorno la ratio trasportistica e logistica dei
corridoi europei, perché ancora non riesco a
capirla. Invece di correre dietro alle fumisterie adriatico-baltiche,
diamo magari un’occhiata a quello che combinano i cinesi in Grecia, perché,
dovessero veramente realizzare una linea che dal Pireo va al cuore dell’Europa,
per il Nord Adriatico è davvero il momento di andare in pensione.
Sergio
Bologna
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