presidente del Global Shipping Forum
" Sono in corso enormi
investimenti in nuova capacità di trasporto navale, per cui la grande
maggioranza di navi oltre i 10mila teu, e anche navi di maggiori dimensioni
stanno ricadendo in segmenti di mercato di mercantili relativamente più
piccoli.
Non c’è dubbio che puntare a
migliori performance finanziarie ha senso per senior executive di società di
navi mercantili concentrati sulla riduzione dei costi; ma ci si chiede se è
stata data sufficiente considerazione all’impatto di questo atteggiamento sulla
supply chain marittima.
Queste nuove navi più grandi hanno
presentato enormi problemi logistici per porti e terminali, quando questi si
sono trovati di fronte alle nuove generazioni di bastimenti sempre più grandi.
Con toccate meno frequenti, l’ammassamento di bastimenti, limiti di spazio nei
terminal, il mero fatto del volume di containers che passano allo stesso tempo
dai terminal ha inevitabilmente prodotto congestioni e ritardi.
I problemi associati alla
dimensioni dei bastimenti hanno inoltre esacerbato i problemi di trasporto
interno in molte regioni, il che aumenta le preoccupazioni degli armatori sulla
predittibilità e l’affidabilità della supply chain marittima.
Cosa ci aspetta? Molti
osservatori concordano sul fatto che le nuove mega-navi e le nuove
mega-alleanze contribuiranno insieme a peggiorare i problemi. I carrier (compagnie come Maersk, MSC,...) stanno
tagliando i costi, come devono, ma l’impatto lato-terra richiederà maggiori
attenzioni. "
Da LA GAZZETTA MARITTIMA
Maxi-navi: un rischio sottovalutato
Maxi-navi: un rischio sottovalutato
22 novembre 2014 |
Gian Enzo Duci
GENOVA – Il rischio non è nuovo: puntiamo il dito sulla
Luna, ma lo sguardo non va oltre al dito.
Traduzione: in Italia ci si scanna
nella guerra fratricida tra porti guardando con priorità agli assetti politici
(o peggio ancora, partitici) mentre nel mondo cresce la preoccupazione – ma
crescono anche le strategie per farvi fronte – sul gigantismo navale che
rivoluzionerà rotte, classifiche dei porti e anche tecnologie di sbarco e
imbarco delle merci.
Sulla costa Est degli Usa – quella più impegnata nei traffici
containers con il Far East dove oggi si concentrano le meganavi da oltre 12
mila teu – si sta arrivando al blocco delle banchine sia per le minacce di un
devastante sciopero dei portuali, sia perché i grandi terminal di Los Angeles e
Long Beach si trovano in carenza di strutture adeguate alle navi più grandi.
In compenso all’altra sponda del Pacifico, Cina ed economie
emergenti del far East sviluppano porti nuovissimi dove l’adeguamento alle
meganavi è previsto già in partenza: con un gap tecnologico ed operativo che
rischia d’essere devastante per l’Occidente.
Il problema non è certo soltanto Usa. Si stanno preoccupando
anche i grandi porti del Nord Europa, dove la saturazione è un rischio
concreto. E un recente studio dell’Autorità portuale di Genova (vedi Il Sole-24
Ore di martedì scorso) conferma che nei prossimi anni gli armatori
intensificheranno l’utilizzo di navi sempre più grandi, tagliando fuori i porti
italiani che non hanno fondali ed attrezzature di banchina adatte.
“Nei prossimi tre anni – sottolinea lo studio – la classe
più grande delle fullcontainers, quella delle unità da 13.300 a 19 mila teu,
triplicherà sia il numero delle unità sia le disponibilità di stiva passando
dall’attuale 5% della flotta mondiale al 15%”. Secondo il presidente degli
agenti marittimi genovesi Gian Enzo Duci il lavoro sui porti rischia di
cambiare radicalmente, mettendo in crisi molti scali medi. “Con una sola nave
da 12 mila teu – ha detto Duci anche nel recente “Forum Shipping &
Intermodal Transport” a Palazzo San Giorgio – i picchi di lavoro diventano ben
maggiori che con due navi da 6 mila”.
Le criticità aumentano anche dove sono
disponibili fondali e portainer di banchina adatti, il che non è di tutti i
porti. Il preclearing sta dando alcuni vantaggi operativi indubbi e lo stesso
Duci l’ha ammesso: ma se non si adegueranno le infrastrutture portuali
(fondali, gru e movimenti di banchina) e specialmente se non ci sarà davvero
una razionalizzazione dell’intermodalità con ferrovie, treni dedicati, tempi di
permanenze dei teu nei terminal ridotti all’osso, molti porti rischieranno
presto una marginalizzazione. Compresi quelli che oggi in Italia stanno
guidando le classiche.
A Roma ci si gingilla, a quanto pare, con i tempi lunghi
della riforma portuale. Aspettando Godot, è ormai il commento degli
imprenditori. Ma rischiando davvero grosso.
Antonio Fulvi


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