giovedì 7 maggio 2020

PUNTI FRANCHI PER LE EMERGENZE E PER RIDISEGNARE LA LOGISTICA


Stefano Visintin, Presidente degli spedizionieri di Trieste, in un’intervista a TriesteallNews ha avanzato l’idea di utilizzare i punti franchi di Trieste per fare delle lavorazioni che in questa congiuntura si sono rivelate necessarie per far fronte a delle emergenze (link).


Ha portato l’esempio delle mascherine protettive, delle quali l’Italia deve rifornirsi esclusivamente dall’estero, in particolare da Romania, Cina e India, aggiungendo: “L’esportazione da quei Paesi è stata bloccata o fortemente limitata, creando enormi problemi di reperimento e dimostrando che non possiamo dipendere esclusivamente dalle importazioni per prodotti importanti come questi. Ma se i paesi produttori hanno limitato o proibito le esportazioni di questi prodotti, non sono state invece bloccate le esportazioni delle materie prime necessarie per realizzarli: la materia prima fondamentale è il tessuto non tessuto, che viene prodotto in Cina a un costo che si aggira sui 35.000 euro a tonnellata o in Turchia a un costo quasi doppio. Se dovessimo importare le materie prime e realizzare le mascherine in Italia, il costo di produzione sarebbe probabilmente superiore al prezzo di 0,50 euro per pezzo imposto dal Governo italiano. Se immaginassimo invece di lavorare il tessuto non tessuto nel porto franco di Trieste, non avremmo bisogno di pagare il dazio e l’IVA d’importazione sulle materie prime. Impiegando personale italiano e macchinario italiano, realizzeremmo con materie prime estere un prodotto omologabile in Italia. Inoltre, essendo al momento previsto che sulle mascherine non vengano pagati né dazio, né IVA alla Dogana, otterremmo probabilmente un prodotto buono ad un costo contenuto e saremmo relativamente autonomi dall’importazione dello stesso da Paesi esteri”. Inoltre, aggiungiamo noi, poiché il porto di Trieste è ben collegato sia con la Cina che con la Turchia, il vantaggio di utilizzare i punti franchi risulterebbe ancora maggiore. 

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Era un ragionamento, come ci ha confermato Visintin, in buona parte ipotetico ma non per questo, a noi sembra, meno interessante. FAQ Trieste ha sempre preso spunto da fatti o idee con un limitato raggio d’azione, soprattutto locale, per chiedersi: che problema d’ordine generale sollevano questi fatti, queste idee? Perché non cogliamo questo spunto per alzare lo sguardo e magari trovare opportunità a cui non avevamo pensato? Visintin ha sollevato un problema ineludibile per i paesi europei nei prossimi mesi, quello di tornare all’idea di “sicurezza delle scorte strategiche” e quindi, inevitabilmente, della riduzione della dipendenza dall’estero. Significa riportare certe produzioni all’interno dopo averle trasferite in paesi in via di sviluppo? Questa è un’idea tradizionale di re-shoring. Invece l’idea su cui, magari inconsapevolmente, anche Visintin ha ragionato, è molto simile a quella che vediamo essere l’idea di fondo su cui si muove l’Associazione di logistica tedesca, ma non solo. Qual’è questa idea? Che l’effetto re-shoring può essere in parte ottenuto ridisegnando la catena di fornitura, la supply chain. Il re-shoring tradizionale è un problema di politica 2 industriale, quello a cui pensiamo noi è un problema di logistica. Infatti Visintin parla non solo della possibilità di creare lavorazioni industriali ma di costituire un hub logistico nel porto di Trieste, in grado di servire tutta l’Europa. “E in più Trieste” prosegue Visintin, “possiede uno scudo che protegge i commerci nel pieno della guerra dei dazi, ottimizzando i differenziali di dazio fra materie prime e prodotti finiti: il regime doganale di porto franco”. Un hub logistico. Qualcosa di analogo si ritrova nell’iniziativa di cui il segretario dell’AdSP MAO, Sommariva, ha parlato ampiamente nella stampa di settore e che ha avuto un notevole riscontro, la creazione di un hub per l’esportazione dei nostri vini tipici verso il mercato cinese - in questo caso si tratta di qualcosa di reale non di qualcosa d’ipotetico. (link). Qui entriamo in un campo che sarà decisivo i prossimi anni, basta guardare a quello che succede nell’industria automobilistica tedesca, che si è accorta con sgomento cosa significa essere dipendente dalle forniture delle nostre fabbriche di componenti (link). Durante il lockdown (se ne è parlato poco sui giornali) le nostre fabbriche del ciclo dell’automotive sono state sommerse di ordini e molte non hanno mai chiuso malgrado i decreti. Che cosa faranno adesso i tedeschi? Riporteranno tutto in casa e ci lasceranno senza lavoro? Non sembra proprio, cominceranno a ragionare con i nostri produttori di componenti per organizzare in maniera diversa la supply chain (hanno già cominciato a farlo). Si dovrà ragionare probabilmente rinunciando a certi principi della lean production e del just in time. Senza andare tanto lontano, l’erede che ha preso in mano CMA CGM, Rodolphe Saadé ha espresso chiaramente la convinzione che “questa crisi avrà un impatto sui flussi economici mondiali e richiederà che tutti noi ripensiamo i nostri modelli di supply-chain” (link). E ancora: nello stesso articolo di Nicola Capuzzo che riporta le parole di Saadé si cita un articolo del “Wall Street Journal” che critica la scelta degli armatori di puntare tutto sulle navi giganti: esse permettono una riduzione di costi nei periodi di domanda alta ma nei periodi in cui si possono riempire al massimo al 50% o addirittura si debbono tenere ferme, producono perdite devastanti. Noi, che abbiamo sempre avanzato grandi dubbi sulla corsa al gigantismo navale, mai ci saremmo aspettati di vederci dare ragione un giorno dal “Wall Street Journal”!! L’industria più dinamica, l’opinione capitalistica più attenta, non dicono “tutto deve tornare come prima, basta che lo stato ci tappi i buchi nei nostri bilanci”, dicono “dobbiamo imparare dove abbiamo sbagliato e ripartire con una nuova prospettiva d’innovazione”. Modestamente, noi vorremmo che il nostro mondo industriale potesse dialogare meglio con chi di logistica e trasporti un po’ se ne intende. Per ridisegnare le catene di fornitura, come dice Saadé, lo si può fare solo assieme.

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