Si continua a discutere se all’uscita dell’emergenza ci aspetterà una ripresa a V, la cosiddetta V shaped recovery, tanto rapida quanto rapida è stata la caduta dei consumi oppure se la ripresa sarà molto più lenta.
I commentatori più seri non si pronunciano, condizionano le loro previsioni all’eventualità che ci sia o meno una seconda ondata dell’epidemia. Questo vale per tutto il mondo. E per l’Italia?
I commentatori più seri non si pronunciano, condizionano le loro previsioni all’eventualità che ci sia o meno una seconda ondata dell’epidemia. Questo vale per tutto il mondo. E per l’Italia?
Il “Financial Times” di venerdì 22 maggio riporta l’opinione di un economista italiano di Oxford Economics: “La storia recente c’insegna che l’Italia fa molta fatica a riguadagnare il terreno perduto durante le crisi”, il prodotto interno lordo è al livello del 1995 in termini reali dopo la botta del Covid 19. Italy is facing a lost quarter of a century (“l’Italia rischia di perdere un quarto di secolo”) è la conclusione del quotidiano britannico.
Leggiamo la valanga di opinioni che il web ci scarica addosso ogni giorno ma restiamo sempre con un dubbio. Si possono fare previsioni sulla scorta di come sono andate le cose nelle recenti crisi economico-finanziarie? Questa non è una crisi economico-finanziaria, è qualcosa che non era ancora mai avvenuto nel mondo moderno. Nemmeno ai tempi della Spagnola, perché è vero che anche allora si portavano le mascherine ma non c’era stato nessun lockdown. Perciò quello che è accaduto nella testa, nella psicologia della gente in questi mesi, dobbiamo ancora scoprirlo. Possiamo fare tutti i calcoli aritmetici di cosa è andato perduto in termini materiali, ma l’incognita vera sta in quello che non è quantificabile, sta nell’oscurità dell’animo umano.
Lo scrive in maniera chiara uno scienziato italiano, Guido Silvestri
Questa pandemia ed il modo in cui si è cercato di contenerla, il lockdown, hanno lasciato dei segni invisibili dentro di noi, chissà quanto tempo ci metteremo a riconoscerli.
La prima domanda che viene in mente e che a noi del settore trasporti interessa: la gente avrà ancora voglia di viaggiare? Gli anziani, che sono una parte consistente del mercato, avranno ancora voglia di andare in crociera? Di solito, dopo le crisi recenti, il turismo ha avuto più o meno una ripesa a V. La voglia, il bisogno di mobilità, aveva raggiunto secondo alcuni studiosi dei livelli di nevrosi. Le compagnie aeree low cost, le linee ferroviarie ad alta velocità, la crocieristica, il fenomeno degli airb&b, Uber, hanno indotto una frenesia di spostamenti che sicuramente non corrisponde a nessun bisogno né primario né secondario.
Questa esperienza ci ha fatto capire che sarà necessario dedicare maggiore attenzione ai bisogni essenziali, che prima di parlare di turismo, sarà necessario parlare di scuole e di ospedali e che prima di parlare di scuole occorrerà parlare di sistemi d’apprendimento (c’è bisogno dell’insegnante in classe o no?), mentre prima di parlare di ospedali sarà necessario parlare d’igiene pubblica.
Abbiamo scelto modelli di sviluppo e specializzazioni produttive che ci renderanno più difficile la ripresa. Pensiamo all’impatto che una crisi prolungata della cantieristica può avere sull’economia, sulla manifattura del FVG, noi che ci eravamo specializzati in navi da crociera.
Ma possiamo essere smentiti, vorremmo essere smentiti. Quello a cui non dobbiamo rinunciare, costi quel che costi, è il tentativo di “cambiare un poco il modo di pensare il modello di sviluppo e la specializzazione produttiva”. Senza fare grandi discorsi e voler cambiare il mondo, ma con pragmatismo. Ne riparleremo andando a vedere come ragionano i colleghi dell’Associazione tedesca di logistica, la BVL (Bundesvereinigung fur Logistik).
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