Ogni settimana quasi trecento treni merci affollano la
rete ferroviaria che collega il porto di Rotterdam all’Europa. Si spostano
soprattutto lungo la Betuweroute, la «strada ferrata» che in meno di tre ore consente
ai treni di raggiungere la Germania. Ma possono arrivare anche a Chengdu, in
Cina, toccando Mosca, e attraversare il Kazakistan: il viaggio è lungo ottomila
chilometri e dura quindici giorni, la metà rispetto al tempo di percorrenza di
una nave portacontainer.
Rotterdam è una città che vive in simbiosi col suo porto,
che è anche una delle principali fonti di ricchezza dell’Olanda, Paese povero
di industria ma capacissimo di ricavare oro dal business dei servizi.
Compresi quelli legati alla logistica, al trasporto della
merce. Ne sanno qualcosa i porti liguri, Genova in particolare, che ogni anno
assistono alla fuga verso Rotterdam di seicentomila container destinati o
provenienti dai propri bacini di riferimento: le regioni del Nord Italia, la
Svizzera, la Germania del Sud. Un non-senso, dal punto di vista geografico, un
danno che si può quantificare in un miliardo di fatturato e almeno diecimila
posti di lavoro.
E la situazione è destinata a complicarsi dopo
l’apertura, sei mesi fa, del tunnel del Gottardo, il più lungo del mondo con i
suoi 57 chilometri. La galleria fa parte del corridoio Ue Genova-Rotterdam, ed
è considerata dalla Svizzera un’opera fondamentale per lo scambio merci con
l’Italia. Al momento, però, al corridoio manca la tratta finale: quella che da
Piemonte e Lombardia arriva a Genova, che sarà completata solo nel 2021.
E così
a beneficiare del Gottardo sarà proprio Rotterdam, che disporrà di
un’infrastruttura in più per rubare traffico in casa dei porti liguri. Del
resto, come si può leggere sul numero della rivista delle Ferrovie svizzere
dedicato al Gottardo, «il vantaggio di cinque giorni di navigazione offerto dai
porti liguri rispetto al Nord Europa viene vanificato dalle carenti capacità di
trasbordo. Di conseguenza oggi una parte cospicua delle merci destinate al Sud
Europa viene scaricata nei porti del Nord e spedita al Sud via terra». Come se
ne esce?
«E’ un problema che parte da lontano - spiega
l’economista Emilio Rossi, partner di Oxford Economics - Rotterdam, e più in
generale i grandi porti del Nord Europa, nel corso degli anni hanno saputo fare
sistema contro i concorrenti del Sud: hanno sviluppato infrastrutture di mare e
di terra straordinarie, creando un gap che solo adesso l’Italia, per esempio,
sta cercando di colmare. La lezione, dovendo riassumere, è questa: loro non
hanno disperso risorse, noi abbiamo fatto esattamente il contrario». Come
l’Italia sia riuscita a buttare via mezzo secolo di competitività, Rossi lo ha
messo nero su bianco in uno studio dal titolo «Milano riscopre il suo porto.
Perché Genova è la scelta più conveniente per le imprese lombarde».
FAQ TRIESTE : Accanto all'articolo ci sono anche alcune illustrazioni a completamento dell'inchiesta che commentiamo con altre immagini:
I 40 KM del porto di ROTTERDAM |
I 40 KM dei porti di TRIESTE KOPER E MONFALCONE |
Dice Rossi:
«In Italia abbiamo 46 terminal intermodali, venti interporti, 220.000 case di
spedizione di cui il 60% con un solo camion. Il sistema logistico frammentato e
la mancanza di adeguate tracce ferroviarie è il vero limite del Paese. Basti
pensare che i collegamenti su rotaia sono talmente inefficienti che il 95%
della merce sull’asse Genova-Lombardia viaggia su gomma». Eppure le potenzialità
del sistema portuale ligure ci sono, i servizi sono migliorati rispetto ai
tumultuosi Anni Novanta, gli scioperi selvaggi che tanto spaventavano
importatori ed esportatori sono un ricordo sbiadito. «E infatti il porto di
Genova, dal 2011 in poi, è cresciuto più rapidamente rispetto ai colossi
nordeuropei. E la quantità di merce da e per la Lombardia è aumentata. Ma è
evidente che la vera svolta ci sarà quando la componente ferroviaria sarà
realmente competitiva».
Aspettando il Terzo Valico
«Noi su Genova abbiamo appena investito 250 milioni di
euro, 100 solo per l’acquisto di otto gru di banchina: oggi possiamo accogliere
contemporaneamente due mega-navi da 20.000 teu (misura standard di volume nel
trasporto dei container che corrisponde a circa quaranta metri cubi) e una da
15.000 con performance analoghe a quelle dei porti del Nord. Abbiamo raggiunto
un livello di efficienza inimmaginabile solo qualche anno fa». Gilberto Danesi
è amministratore delegato del terminal container Vte di Genova Pra’, gestito
dal colosso di Singapore Psa. Proprio qui, qualche giorno prima di Natale
duemila Tir sono rimasti intrappolati per il troppo vento: l’autostrada si è
bloccata e il porto è tornato a fare parlare di sé per i disagi che crea alla
città, più che per i benefici per l’economia e i ventimila posti di lavoro
garantiti a un territorio che dalla crisi non si è ancora rialzato. Il
paradosso del Vte, uno dei più grandi terminal del Mediterraneo, è anche
questo: la merce da qui entra ed esce prevalentemente via camion. Mancano reti
ferroviarie interne, ma manca soprattutto una corsia preferenziale che consenta
ai container di raggiungere o partire dalla Pianura Padana. E’ così che molte
aziende piemontesi, lombarde e venete scelgono la via di Rotterdam anziché quella
ligure. «Il Terzo valico, ovvero l’alta capacità Genova-Milano, è un’opera
fondamentale per consentire alle merci di arrivare con velocità a destinazione
- spiega Danesi -. Per noi, come per gli altri operatori del Mar Ligure e del
Tirreno, è fondamentale raggiungere la Pianura Padana in fretta. Se per
arrivare al di là dell’Appennino ci mettiamo tre giorni, mentre ai concorrenti
olandesi e belgi bastano 24 ore, il risultato lo possiamo immaginare tutti...
Sviluppare la capacità ferroviaria è una priorità non più rinviabile».
I ritardi di Genova
Qualcosa sul Terzo valico, però, non funziona. E i
tecnici del ministero non ne fanno mistero. Sotto esame non è tanto la grande
striscia di binari lunga 53 chilometri che fra poco più di quattro anni completerà
il corridoio merci tra il Nord Europa e il Mar Ligure. La project review «sarà
fatta a monte e a valle», sui collegamenti dell’opera con Milano e Torino e
verso Sud sulle connessioni con il porto di Genova. La commissaria
all’infrastruttura, Iolanda Romano, vuole vederci chiaro e soprattutto cercare
di disinnescare i problemi prima che scoppino: «Dobbiamo arrivare pronti al
2021 per evitare i tappi», dice. La preoccupazione è che l’opera, una volta
conclusa, serva a ben poco se non si realizzano i collegamenti necessari per
renderla efficiente.
O ancora peggio: che favorisca i porti del Nord Europa,
che potranno così penetrare meglio nel mercato della Pianura Padana. Sarebbe
una beffa, visto che lo spirito dell’opera è esattamente il contrario: aiutare
le banchine italiane a fare concorrenza a quelle olandesi.
FAQ TRIESTE A questo punto va inserita la dichiarazione di D'Agostino dall'articolo dedicato al Modello Trieste : " Trieste sfrutta lo direttrice Nord-Sud da sempre: Arriviamo fino a Colonia, siamo noi i veri concorrenti dei porti del Nord Europa.”
Romano ha deciso di
fare sul serio: con l’aiuto della struttura tecnica di missione del ministero
delle Infrastrutture e trasporti sta rivedendo parte del progetto. «Nulla di
dirompente, ma si tratta di quelle opere che sono fondamentali per il porto
affinché si alimenti il Terzo valico», spiega il neopresidente dell’Autorità di
sistema che racchiude gli scali di Genova e Savona, Paolo Signorini. Cioè
quegli investimenti che sono in ritardo da anni e che non sono mai stati
realizzati: il secondo binario del principale terminal, il Vte; i collegamenti
con la nuova piattaforma container del bacino storico del porto, Calata
Bettolo: da tempo deve essere ultimata, ma quando sarà operativa sulla carta
dovrebbe fornire almeno 600 mila contenitori all’anno. Poi c’è il piano della
«cura del ferro» lanciato qualche anno fa e in parte irrealizzato. Infine il
grande problema, il nodo ferroviario di Genova: forse i lavori riprenderanno
nel 2017, ma di certo non c’è ancora nulla.
Paradossalmente se il Terzo valico
corre verso la realizzazione nei tempi previsti, questa celerità rischia di
penalizzare il principale porto d’Italia che nel 2021 potrebbe non essere
pronto: «Qualche sorpresa potrebbe esserci e noi non vogliamo trovarle, anche
se allo stato attuale non possiamo escluderle» ammette l’uomo della project
review del Valico, Andrea Debernardi. E’ come se ci si fosse concentrati sulla
grande infrastruttura, prestando poca attenzione a quello che serve davvero per
farla funzionare. Il Terzo valico non è in ritardo, «se non di qualche
settimana dovuta all’inchiesta giudiziaria che si è abbattuta su Cociv» ha
detto Romano «e comunque contiamo di recuperare il tempo che abbiamo perso». E
gli operatori? Alla fine sono quelli che rischiano di pagare il prezzo più
alto: «L’opera per noi è strategica - spiega Aldo Spinelli, presidente del
Livorno calcio e numero uno del Terminal Rebora, uno dei principali dello scalo
del capoluogo ligure -. Noi siamo pronti, abbiamo in programma centinaia di
milioni di investimenti e alcuni li stiamo già realizzando: abbiamo comprato da
poco una grande gru per la nostra banchina. Con il Terzo valico, e la nuova
diga di Sampierdarena, potremmo aumentare il nostro traffico e rendere più
efficiente il porto».
Signorini è da poche settimane presidente dei porti di
Genova e Savona, ma sul problema sta già lavorando da tempo, anche con la
commissaria Romano: «Sono ottimista, anche se dobbiamo recuperare il tempo
perso. Questo è un porto che deve iniziare a pensare in grande, ne ha tutte le
potenzialità». E ora Genova prova ad accelerare, sperando che non arrivino
prima i treni dal Nord Europa. Passando attraverso il Gottardo.
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