«Il Mose danneggerà il Porto
L’offshore? Inutile e assurdo»
IL MATTINO LA
NUOVA
Eleonora Vallin 8 gennaio 2017
Classe 1936, origini dalmate, una
matrice politica socialista - fu consigliere comunale Psi a Trieste - e un
glorioso passato sportivo: in bacheca c’è il titolo di campione italiano
Juniores di Pallacanestro. Claudio Boniciolli vanta quasi 50 anni di curriculum
legati al settore portuale, di cui otto (dal 1996 al 2004) maturati alla guida
dell'Authority di Venezia e quattro (dal 2006 al 2010) all’autorità portuale di
Trieste.
Il suo ingresso nella portualità data
1959, quando entra al Lloyd triestino. Nel 1981 Boniciolli lascia Trieste per
la Laguna di Venezia e diventa amministratore delegato di Adriatica
Navigazione. Un incarico preludio agli otto anni di presidenza del Porto di
Venezia.
«La portualità italiana può competere
solo facendo sistema» ha sempre affermato, prima ancora che la crisi facesse
calare i volumi di traffico.
Venezia e Trieste, per
Boniciolli, non sono mai stati porti concorrenti ma i perfetti candidati per
sperimentare sinergie: Trieste ha i fondali profondi ma è battuta dalla bora,
Venezia è il crocevia verso Ovest ma lotta con la nebbia. Questa liaison non è mai nata e oggi Boniciolli assiste,
nel suo riposo, alle nuove schermaglie tra i due scali. Fermamente convinto
che: il progetto dell’offshore in Laguna, così tanto voluto dall’ormai ex presidente
Paolo Costa, sia inutile e finanziariamente non sostenibile. E che il Mose
porterà seri problemi al Porto, senza tutelare la città più bella del mondo.
Dottor Boniciolli,
conosce il nuovo presidente designato del Porto veneziano Pino Musolino? Il sindaco
Brugnaro ha già dato il suo giudizio e dice che il nuovo e giovane manager
sosterrà le ragioni del porto di Trieste....
«Ho conosciuto, indirettamente, Pino Musolino quando ero a Venezia. Il mio
segretario generale lo aveva aiutato a compilare la sua tesi di laurea. Ricordo
che mi raccontava di questo giovane studioso di diritto marittimo. Mi pare che
abbia le credenziali giuste per operare bene. Il mio augurio è di buona fortuna
e che cominci presto: c'è molto da fare».
Molte le eredità
lasciate dal presidente uscente Paolo Costa, prima tra tutte il Porto offshore.
Secondo lei, il progetto è plausibile dal punto di vista logistico e
finanziario?
«Secondo me l'opera è superflua e inutile e, dato che richiederebbe ingenti
investimenti, può essere anche dannosa non solo per il porto me per il
Triveneto e l'Italia. A Venezia se ne parla da tempo ma chi apre bocca sono i
pochi favorevoli, mentre il gran numero dei non favorevoli tace per fondati
timori. Il progetto e la sua enormità sono fuori da ogni tipo di logica e
regola, anche perché si sta contraendo il mondo dei container e le previsioni
fatte da Costa di uno sviluppo infinito si stanno rivelando non fondate. La
realtà le sta smentendo».
Quindi l'offshore non
va fatto?
«Costruire un'isola artificiale è assurdo per la mole di investimenti e per
la manutenzione, ordinaria e straordinaria, che richiederebbe nel collegarla
alla terraferma, con ovvio intasamento della laguna».
Qual è, dunque, il
futuro del Porto di Venezia? Come può Venezia crescere in un sempre più
competitivo contesto globale di traffici che, lei conferma, sono in calo?
«Bisogna sfruttare la posizione formidabile e le caratteristiche naturali
del porto di Venezia tra la pianura padana e la costa dell'Adriatico. La
necessità, non solo di Venezia, è oggi quella di aumentare e perfezionare i
collegamenti ferroviari con il retroterra verso la Svizzera e la Francia e quei
bacini che possono gravitare sulla pianura padana e, in parte, su Genova e La
Spezia».
E Trieste?
«Trieste ha un altro retroterra di sapore asburgico e guarda al centro
Europa; c'è una linea non scritta di demarcazione tra Venezia e Trieste e i
loro mercati di riferimento. Venezia ne ha uno, Trieste un altro, poi ci
possono essere intese e collaborazioni».
Su quale asset può
giocare la “sua” partita mondiale il porto di Venezia?
«L'appeal di ogni porto è rappresentato dai servizi che esso esprime e c'è
una lunga e grande tradizione di efficienza nel lavoro portuale veneziano, per
merito delle compagnie e dei lavoratori; ma c'è la necessità di migliorare i
collegamenti con il fronte mare: strade, autostrade, ferrovie e anche aerei su
cui viaggiano traffici di nicchia molto interessanti. È fondamentale oggi,
anche l'apporto dei servizi informativi. E qui bisogna lavorare intensamente».
Il sistema Mose, e in
particolare la conca di navigazione oltre alle paratoie, inibirà a suo avviso
l’attività portuale?
«Io dico di sì, l'ho sempre detto e sostenuto, ma hanno deciso di farlo
comunque: i tempi si sono allungati, i costi dilatati e le paratoie non sono
ancora in posizione e quest'anno la marea è salita tre volte. Non è sufficiente
a tutelare Venezia. Il Mose assorbirà un numero sterminato di miliardi in
manutenzione con benefici tutti da vedere, e che il porto ne risenta è
assolutamente certo perché i fondali per l'accesso anche alla Marittima si sono
alzati in rapporto all'installazione delle paratoie. E proprio per ovviare a
questo, che si è pensato all'isola offshore che è un'assurdità».
E il grande problema
dell'inquinamento? I porti più avanzati privilegiano navi che, all'ingresso in
area portuale, usano il secondo motore alimentato a gas, tanto è vero che le
navi da crociera di nuova generazione vengono dotate di doppio motore. Potrebbe
essere percorribile anche a Venezia?
«Molto relativamente: il problema resta l'accesso del tonnellaggio delle
navi; è quindi oggi inutile ragionare sul secondo motore, prima vanno ridotte
le dimensioni. Mi spiego meglio: vanno difesi i volumi di traffico per i
porta-container e anche le dimensioni del turismo ma con l'uso di navi che
approdino senza sovvertire la Laguna. Bisogna, quindi, dragare costantemente i
canali per farvi accedere le navi ma ridurne la dimensione. Venezia non deve
per forza rincorrere i giganti ma potenziare l'organizzazione: servizi e
infrastrutture».
Quindi, lei dice «no»
alle grandi navi in Marittima?
«Devono arrivare navi più piccole, il gigantismo comporta costruzioni
sempre più costose in funzione della dimensioni delle navi, sia che esse
trasportino persone quindi da crociera, sia merci. Ma Venezia è città unica al
mondo e non ha senso tutto questo».
Ma quanto piccole?
Quando c’era lei al Porto di Venezia che decisioni aveva preso?
«Si tratta di stabilire dei limiti e i miei limiti, al tempo, erano di 100
mila tonnellate che forse vanno ridotte. Posso aver sbagliato anche io. Ci sono
segmenti più piccoli di navi, con un alto livello ospitalità, che sarebbero
adattissime ad arrivare in Marittima o a Marghera. Avevano imboccato la strada
giusta, serve ridurre la dimensione delle navi».
Trieste e Venezia,
continua la sfida tra i due scali sul traffico merci e container. Il 2015 per
la prima volta ha segnato il sorpasso di Trieste sul traffico merci
movimentate, mentre sui passeggeri lo scarto è ancora importante e a favore di
Venezia. E' arrivato il momento di abbandonare una volta per tutte gli
interessi locali per affrontare uniti, senza conflittualità, la sfida globale,
ovvero conquistare nuovi traffici?
«Una volta sorpassa una, l’anno dopo tocca all’altra. Non importa. La
guerra tra i porti è alimentata da politiche dalla veduta corta: non si è in
grado, qui a Nordest, di stabilire delle linee comuni di sviluppo per collegare
i naturali retroterra dei porti. Bisogna poi lavorare per ridurre la burocrazia
e alimentare i servizi tornando alla logica del vecchio Arsenale che per
Venezia e non solo è stata la fabbrica, quella più grande d'Europa».
Quindi l’augurio è che
Musolino per Venezia e Zeno D’Agostino, per Trieste, trovino un dialogo e una
strategia comune?
«Auguro a entrambi
buon lavoro e la migliore fortuna, bisogna fare molto bene soprattutto a
Venezia tra lo scavo dei canali e l’ottimizzazione delle banchine. Si punti sui
collegamenti ferroviari e anche sulla liason con
Trieste perché bisogna aiutarsi l'un l'altro, specie in caso di meteo avverso
perché se una nave, per la nebbia o per la bora, non arriva a un porto potrebbe
attraccare nell’altro. Ma non dobbiamo rincorrere i grandi porti mondiali
perché, come dimensione e struttura, siamo destinati a perdere la partita. E la
perdiamo anche perché non abbiamo capitali disponibili, né li troveremmo da
stranieri disposti a investire qui. Quindi: dobbiamo puntare
sull’efficentamento delle strutture portuali e le parole d’ordine sono due:
tecnologie e infrastrutture».
RispondiEliminaSono trascorsi purtroppo inutilmente già diversi decenni in cui i nostri Politici ed Amministratori si sono illusi ed hanno illuso che sarebbero stati sufficiente dei modesti e raffazzonati ritocchi normativi ed infrastrutturali per recuperare un significativo ruolo sulle scene dei Traffici Internazionali, purtroppo non è andata così poiché bisognava incrementare significativamente le nostre potenzialità poiché con le scarpe strette si può purtroppo soltanto zoppicare.
La nostra scarsa competitività sui mercati è purtroppo figlia del non aver creduto a sufficienza nella strategicità/peculiarità dell'Alto Adriatico in merito "alle enormi potenzialità delle economie del mare" a questa situazione va imputato purtroppo il pluridecennale mancato adeguamento delle nostre infrastrutture, a quelle che erano sia le crescenti esigenze del mercato che per cercare di attenuare il notevole Gap infrastrutturale che abbiamo nei confronti dei nostri super attrezzati e tecnologicamente molto avanzati antagonisti vicini e lontani, antagonisti che invece sono costantemente impegnati nell'ulteriore potenziamento dei loro sbocchi al mare cercando di sfruttare tutte le più moderne tecnologie per incrementare la produttività e velocizzare il sevizio reso alle merci in transito, la citata nostra scarsa competitività sui mercati che ribadisco purtroppo e figlia "della nostra discutibile e deprecabile linea di pensiero" che da almeno un trentennio sta caratterizzando l'operato dei nostri Politici ed Amministratori.
Brunello Zanitti Giuliano
Ulteriori immagini e riflessioni in merito si possono trovare sfogliando il mio Sito http://sceltemancate.trieste.it