Il
linguista che da decenni studia il rapporto fra mente e politica spiega il
metodo di comunicazione del candidato repubblicano: “Non usa parole a caso, sa
quali reazioni provocherà”
BERKELEY - Buco nero della politica o nuova frontiera della comunicazione?
Una scheggia impazzita o un campione costruito in laboratorio? George Lakoff,
che da decenni studia il rapporto tra mente e politica, non ha dubbi: c'è del
metodo nella follia di Donald Trump.
intervista di Luca Landò giovedì 21 luglio 2016 LA REPUBBLICA
Professore, l'astrofisico
Stephen Hawking ha detto che è più facile comprendere l'origine dell'universo
che spiegare la popolarità di Donald Trump.
"Apprezzo la battuta,
ma fermiamoci lì. Il successo di Trump non è affatto un mistero. La sua
popolarità nasce dall'applicazione rigorosa di un metodo di comunicazione che,
piaccia o meno, sta condizionando il dibattito politico e ha profondi effetti
sulle scelte degli elettori. Donald Trump ha un talento innato per le
provocazioni e le iperboli, cosa che gli permette con estrema facilità di
calamitare l'attenzione dei media lasciando in penombra gli avversari. Ma
ridurre tutto a una questione di carattere, per quanto vulcanico e
imprevedibile, sarebbe un grave errore ".
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DIBATTITO TRA CANDIDATI REPUBBLICANI |
Addirittura?
"La comunicazione
politica è da tempo entrata in una dimensione nuova che utilizza gli effetti
che certe parole hanno sulla nostra mente, finendo per condizionare le nostre
opinioni e, ovviamente, le nostre scelte elettorali".
Non è sempre stato così?
"La storia ha sempre
prodotto dei leader il cui carisma e successo erano dovuti alla capacità
naturale di trovare espressioni e frasi in grado di colpire il cuore e le menti
di chi li ascoltava. La differenza è che prima tutto questo avveniva per caso,
mentre oggi sappiamo perché accade. E può essere ottenuto di proposito".
Sta dicendo che il nostro
cervello risponde passivamente alle parole che ascolta?
"No, sto dicendo che
alcune parole, alcune frasi possono innescare dei meccanismi inconsci e
automatici.

Lo stesso avviene nella comunicazione
politica: ci sono parole, frasi, metafore che, più di altre, attirano
l'attenzione della mente suscitando reazioni positive o negative e che, per
questo, lasciano il segno in chi le ascolta".
Qualche esempio?
"Prendiamo la
questione degli immigrati e dei rifugiati.
I termini che più si usano sono
quelli di "invasione" e di "onda" che, se ci pensiamo, sono
delle immagini, delle metafore che spostano, anzi rovesciano i termini del
problema.

Il
risultato è che abbiamo un problema enorme, una emergenza umanitaria che
andrebbe gestita con intelligenza e razionalità, mentre quello che accade è
esattamente l'opposto, con atteggiamenti privi di senso dettati da paura e
irrazionalità".
Tutto questo per le parole
che si usano?
"Il nostro cervello è
una macchina complessa che deve gestire una quantità impressionante di
informazioni. Appena può, utilizza schemi che ha già elaborato e che già
conosce.
Quando qualcosa di nuovo attira la sua attenzione, prima di cominciare
da zero guarda se al proprio interno ci sono immagini e concetti che possono
essere utilizzati.
Non ce ne accorgiamo perché il 93 per cento dell'attività
cerebrale avviene a livello inconscio, ma nella nostra testa procediamo per
schemi e metafore: utilizziamo qualcosa di noto e familiare per meglio
comprendere qualcosa di nuovo e insolito.
Il guaio è che se la vecchia immagine
è troppo forte, troppo potente, la metafora ci porta fuori strada. Anziché
conoscere e comprendere qualcosa di nuovo, ripetiamo qualcosa di vecchio. E non
capiamo quel che sta accadendo ".
E questo cosa c'entra con
la comunicazione politica?
"C'entra, perché nei
discorsi di molti politici l'uso delle metafore non è casuale, ma voluto e
cercato. Studiato.
I primi a capirlo sono stati i Repubblicani che ne hanno
quasi fatto una scienza, piegandola ai loro interessi. Frank Luntz, famoso e
bravissimo cognitivista, ha scritto diversi manuali sulle parole e le
espressioni che i Repubblicani dovrebbero usare per vincere le elezioni.
È
stato lui a inventare il famoso "Contratto con gli americani", poi
importato in Italia da Berlusconi.
Lui ha suggerito ai Repubblicani di
abbandonare l'espressione "riscaldamento globale" sostituendola con
la più generica "cambiamento climatico": la prima implica che
qualcuno abbia innescato un processo negativo e che si possa fare qualcosa per
interromperlo, la seconda libera l'uomo, e le aziende petrolifere, da ogni responsabilità
perché rimanda tutto a mutamenti naturali contro cui non possiamo agire. È il
clima che cambia e noi non possiamo farci nulla ".
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RISCALDAMENTO GLOBALE CAMBIAMENTO CLIMATICO |
Glielo chiedo di nuovo:
tutto solo grazie ad alcune parole?
"Non si tratta di
parole ma di " frame", schemi mentali che abbiamo all'interno del
nostro cervello. Le parole che usiamo non fanno altro che attivare schemi che
già esistono. Prima vengono i frame e poi le parole. L'abilità di uno
scienziato cognitivista è riconoscere i frame presenti nella nostra mente, l'abilità
di un politico è usare le parole in grado di attivarli".
Torniamo a Trump.
"È una macchina da
guerra, perché sa esattamente come attivare i frame che riscaldano i cuori e le
menti dei Repubblicani. Con una particolarità in più: che senza perdere il
consenso dei suoi, riesce ad attirare l'attenzione di fasce ancora indecise del
bacino elettorale. Trump non usa un linguaggio moderato, eppure riesce a
richiamare parte di quello che, sbagliando, viene definito il popolo
moderato".
Perché non si può definirlo
così?
"I moderati, da un
punto di vista cognitivo, non esistono. Esistono progressisti e conservatori,
che guardano e interpretano il mondo con schemi mentali, frame appunto, molto
differenti tra loro.
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CONSERVATORE MODERATO PROGRESSISTA |
In mezzo non ci sono moderati, ma persone che hanno nella
mente alcuni schemi tipici dei progressisti e altri propri dei conservatori.
Quelli che chiamiamo moderati sono in realtà dei "biconcettuali",
perché su alcuni argomenti possono rispondere ai richiami di un Bernie Sanders
o di una Hillary Clinton mentre su altri ascoltano con interesse Trump. Secondo
uno studio recente esistono almeno 15 tipi di biconcettuali, che miscelano in
modo diverso i frame conservatori con quello progressisti".
Quindici sfumature di
grigio?
"No, quindici mosaici
diversi composti da un diverso assemblaggio di tasselli bianchi e tasselli
neri. I tasselli grigi non esistono".
Faccia qualche esempio.
"Trump è per la
genitorialità pianificata, per mantenere l'assistenza sociale e quella medica,
anche se in forma privata: non sono posizioni tipiche di un Repubblicano di
origine garantita. In compenso vuole deportare undici milioni di immigrati e
impedire l'ingresso dei musulmani negli Stati Uniti, cosa che lo pone alla
destra estrema del suo stesso partito.

Trump avrebbe dunque
trovato il modo di parlare a molti dei cosiddetti elettori- mosaico senza
perdere contatto con i suoi. E gli altri?
"Sanders parla con
molta efficacia al suo popolo, ma solo a quello. Hillary ha scelto di
conquistare l'attenzione dei biconcettuali, ma a costo di una freddezza da
parte dei democratici duri e puri che infatti le preferiscono Bernie. Trump è
l'unico in grado di riscaldare sia il proprio popolo, quello dei conservatori
convinti, che molti dei biconcettuali".
Sarà lui il futuro
presidente?
"È troppo presto per
dirlo, anche perché quando il confronto entra nella fase finale le dinamiche
cambiano e la comunicazione pure. Dico che il fenomeno Trump ci sta mostrando
una cosa importante o almeno interessante".
Quale?
"Che non è vero che
per vincere bisogna spostarsi al centro: al contrario, se difendi con
convinzione i tuoi valori riuscirai sia a tenere i tuoi elettori che a
conquistare una parte importante dei cosiddetti biconcettuali. Trump lo ha
capito bene. Spero lo comprenda anche Hillary, prima che sia tardi".
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