Genova.
Il porto di Capodistria ha lanciato la
sfida agli scali italiani. Lo scorso 25 luglio è stato dato il via ai lavori
per l’ampliamento del terminal container, che porterà la capacità dello scalo a
raggiungere 1,5 milioni di teu, il 50 per cento in più di oggi. Si tratta della
somma del traffico dei tre grandi porti italiani dell’Alto Adriatico nel 2018:
Trieste (724 mila), Venezia (632 mila) e Ravenna (216 mila), a cui vanno
aggiunti 260 mila teu dello scalo croato di Fiume. Complessivamente, quest’area
nel 2018 ha movimentato circa 2,8 milioni di teu.
Quando venne progettata la piattaforma
offshore di Venezia, poi congelata dall’Authority nel 2017, si prevedeva che
avrebbe movimentato 2-3 milioni di teu su un traffico complessivo dell’area che
sarebbe arrivato a 6 milioni di teu. Quelle previsioni sono state poi
contestate e la piattaforma congelata per timore di creare un eccesso di
offerta portuale che non avrebbe consentito di ripagare i costi. Come vedono
oggi gli operatori italiani la crescita di capacità di uno scalo concorrente al
di là dell’Adriatico? «Temo - afferma Luca Becce, presidente di Assiterminal -
che si tratti dell’ennesima iniziativa locale che non tiene conto del contesto
generale e che sarà un boomerang per tutti. Più si ha eccesso di offerta, più
la domanda ne approfitta».
Secondo Becce servirebbe invece «una
regia sovranazionale sul mercato che serve la costiera adriatica e che è
rivolto principalmente all’Europa centrale e orientale. Il rischio è che si crei
ulteriore offerta dove la domanda è già forte. In Italia l’offerta di spazio è
già più che sufficiente per il mercato attuale e per quello dei prossimi anni».
Il terminalista punta anche il dito contro il governo italiano e la sua assenza
di politica portuale, che rischia di aggravare gli squilibri esistenti: «Il
ministro dei Trasporti non capisce la portualità ed è totalmente fermo e
assente. Si dice che la riforma Delrio non funziona.
E’ vero che in alcuni punti suscita
perplessità, ma come facciamo a giudicarla se non viene neanche applicata? Alla
conferenza delle Authority la riforma attribuisce almeno alcuni poteri, ma non
viene mai riunita. L’impasse è totale». Critico verso la mancanza di una
visione unitaria per l’Alto Adriatico è anche Paolo Costa, il padre del
progetto del terminal offshore che varò quando era presidente dell’Autorità
portuale di Venezia. «Il problema - dice Costa - non è il singolo porto, che
sia Capodistria o Trieste, ma che questo progetto di ampliare il terminal
sloveno diventa uno dei tanti. Non c’è il salto di scala. Nel 2013 abbiamo
avuto una grandissima occasione per un progetto da 6 milioni di teu, quando il
presidente cinese Xi Jinping ha messo l’Alto Adriatico sulla mappa della Nuova
via della seta. Invece l’Italia ha detto no al terminal offshore, che avrebbe
appunto consentito il salto di scala. Adesso Capodistria gioca la propria
partita, che non è la partita che avremmo potuto giocare tutti insieme».
L’espansione del terminal (238 milioni di euro finanziati anche dall’Ue) è
cominciata prove di carotaggio del Molo I, a cui seguirà la realizzazione di
100 metri di banchina e di un piazzale di 25 mila metri quadrati. la lunghezza
complessiva della banchina sarà di circa 700 metri.
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