mercoledì 28 agosto 2019

L'ARTICOLO DI MINELLA A CUI E' APPESA LA MAPPA

Questo articolo di Minella l'abbiamo citato tante volte per parlare della mappa da noi criticata ma è ora che lo leggiate comodamente senza i nostri commenti.



MILIARDI E APPALTI MA LA VIA DELLA SETA PARLA SOLO CINESE


25 Agosto 2019


Per l’Italia il progetto vale sulla carta 45 miliardi e può dare lavoro a 900mila persone solo nel comparto del trasporto marittimo. Ma saranno le imprese di Pechino ad avere i vantaggi maggiori. E gli armatori nazionali lanciano l’allarme

di MASSIMO MINELLA


Che sia sempre più vicina, non ci sono dubbi. Ma è sul tipo di vicinanza fra Italia e Cina che è ancora necessario fermarsi a riflettere, soprattutto se il tema è quello del trasporto via mare delle merci dall’Asia al Mediterraneo. Soprattutto adesso che comincia a prendere forma il grande disegno strategico della “Belt and Road” lanciata dal presidente cinese Xi Jinping, la moderna Via della Seta che punta a governare il flusso delle merci da Oriente a Occidente. Solo per l’Italia è una partita che vale 45 miliardi di euro e lavoro per 900mila persone, se si guarda al complesso dei trasporti marittimi e dell’industria del mare. Ma se si considera l’effetto indotto generato dalla blue economy sul resto dell’economia, allora il fatturato triplica e vola a 130 miliardi.


65 nazioni e 50 miliardi
Numeri eclatanti che rischiano comunque di sparire nella valutazione complessiva di un progetto, quale appunto quello della Via della Seta, che coinvolge 65 nazioni e stima oltre 50 miliardi di dollari di investimenti previsti, oltre a 10 miliardi di prestiti ai paesi africani in cambio della realizzazione e della gestione delle infrastrutture.

Un oceano di denaro che molti colgono come una grande opportunità, a cominciare dal governo Conte che con la Cina ha firmato una lunga serie di accordi sul tema, e altri vedono in modo più critico. Il punto di partenza comune a tutti non può non essere il presente, con un interscambio tutto sommato contenuto. La movimentazione di container con destinazione finale Far East fra Italia e Cina, garantita da una quindicina di compagnie armatoriali, è di circa 800mila teu (unità di misura del container pari a un pezzo di 20 piedi) in export (grandi quantità di rifiuti da riciclare che via via la Cina sta bloccando e pochi prodotti di qualità) e circa 1,1 milioni di teu in import (prodotti tecnologici e di ogni genere).

Tanta Cina, poca Italia
Insomma, finora i vantaggi sono oggettivamente maggiori per l’industria cinese rispetto a quella italiana. Adesso si tratta di gestire e governare il futuro del traffico merci via mare che potrebbe garantire oggettivamente qualche soddisfazione in più. La “Shangai International Shipping” prevede infatti che nel 2030 il traffico commerciale dei porti cinesi possa raddoppiare, salendo a 24 miliardi di tonnellate. In gioco non c’è solo una questione di peso, ovviamente, ma anche di qualità del prodotto. Nel solo distretto di Chongqing, ad esempio, si produce il 40 per cento dei computer portatili di tutto il mondo. Anche per il Mediterraneo e l’Italia, quindi, le opportunità di business possono crescere. E non solo per la modalità marittima, visto che il progetto della Via della Seta corre anche su un treno che punta alle lunghe distanze, tenuto conto che la distanza ferroviaria tra Italia e Cina è di 11mila chilometri.

La via italiana
Il tema di fondo è come gestire questo interscambio, evitando se possibile ruoli subalterni e arrivando, in ipotesi, a proporre addirittura una “Via italiana” alla Via della Seta. Sarebbe un’opportunità unica per spostare verso Sud l’asse degli scambi in Europa, rilanciando i porti italiani. Per farlo, però, è necessario far crescere i porti, trasformandoli da banchine per il carico e lo scarico delle merci in piattaforme logistiche in cui concentrare le varie modalità di trasporto, mare, gomma, ferro, cielo. “Ciò significa che i porti vanno dragati, connessi a una rete ferroviaria moderna che trasporti contenitori di ultima generazione e che gli investimenti in infrastrutture vanno sbloccati subito – spiega il presidente di AssArmatori Stefano Messina - La Cina è sicuramente una grande opportunità, ma vorrei ricordare ai nostri amici cinesi che qui in Europa vigono le regole dell’economia di mercato. Sia il Governo nazionale che le istituzioni europee esercitino dunque le loro prerogative per proteggere gli operatori già attivi in questo mercato da quelle iniziative che non rispettano le regole che ben conosciamo, a partire da quelle che vietano gli aiuti di Stato ovvero pregiudicano gli interessi del Paese nell’esercizio delle proprie infrastrutture strategiche”.

Gli operatori
Ancor più netta la posizione di Federlogistica (Conftrasporto-Confcommercio), che riunisce alcuni fra i principali attori del segmento logistico nazionale e annovera tra gli associati interporti, gestori di magazzini interportuali, portuali e retroportuali, operatori di spedizioni e trasporti multimodali e fornitori di servizi portuali e tecnico-nautici.

“Non siamo ovviamente contrari all’incremento degli scambi con la Cina e il Far East - commenta il presidente Luigi Merlo, già al vertice dell’autorità portuale di Genova e poi consulente del ministero dei Trasporti - Ciò che ci preoccupa è l’assenza di reciprocità, il fatto che la Cina trattando con i singoli paesi europei, potrebbe potenzialmente nell’arco di pochi anni governare le principali reti di comunicazione, determinando condizioni, tariffe e il successo economico di una nazione a discapito di un’altra”.

Serve l’Europa
Soluzioni? Merlo chiede di lasciar perdere i confini italiani e allargare la riflessione all’Europa. “Solo un’azione unitaria dell’Europa, oggi già in ritardo, può evitare una politica egemonica cinese – chiude Merlo - Gli Usa se ne sono accorti seppure in ritardo e stanno agendo di conseguenza. Penso sarebbe utile un accordo doganale con la Cina anche per limitare la grande quantità di prodotti contraffatti, dalla moda ai prodotti di bellezza, dai giocattoli fino ai medicinali, che invadono il nostro paese. Con l’illusorio sogno di vedere moltiplicati i traffici, che dipendono dalla crescita economica interna e non certo dal fatto che le infrastrutture italiane siano di proprietà cinese, rischiamo di cedere sovranità su asset strategici fondamentali. La verità è che in Italia la discussione sulla Via della Seta è stata affrontata con troppa enfasi e provincialismo senza considerare i gravi rischi nel medio e lungo periodo”.

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