Trieste divisa tra Cina e Stati Uniti
Città e operatori giuliani reagiscono in
maniera scomposta al dubbio amletico: con Pechino o con Washington?
Un emblematico manifesto pubblicitario
affisso nelle strade di Trieste in questi giorni la dice tutta sui dubbi che
inquietano, quasi amleticamente, cittadinanza e istituzioni ‘tergestee’ su una
questione vitale.
Malgrado sia sponsorizzato da ForzaItalia – e dunque fazioso per
definizione – accanto ad alcune frasi pubblicamente dichiarate da componenti
della coalizione politica di centro-destra, il cartellone propagandistico ne
porta anche una della diretta oppositrice politica, seppure datata agosto 2018,
ma già per certi versi ‘lungimirante’. “Quali garanzie reciproche, No Trieste
come Pireo” affermava l’ex Presidente della Regione Debora Serracchiani
su Il Piccolo.
Allineate fra loro – e non poteva essere diversamente, fra
partner politici – le citazioni di tre alleati, tutte fatte ad inizio 2019.
Berlusconi: “Se Europa debole, Cina guiderà il mondo” (Il Giornale).
Salvini: “Cinesi in porto. Preoccupazioni fondate…” (Telequattro).
Meloni: “Investimenti cinesi: enorme punto di domanda” (Telequattro).
La fede politica di Zeno D’Agostino è fuori discussione, ma
chissà se e quali dubbi attanagliano il manager pubblico in questi giorni,
tormentati dal dilemma: Cina Sì, Cina No?
Un dubbio che il numero uno della Torre Lloyd sembra avere
agilmente risolto con un ragionamento che, alla lettera, non fa una grinza: ben
vengano i soldi cinesi in porto e nei dintorni, purchè permanga saldamente il
controllo pubblico italiano.
Ma sarà così facile avere “la moglie ubriaca e la botte piena?”.
Più d’un osservatore ne dubita.
Sulle pagine del quotidiano locale, il presidente dell’AdSP – il
cui coraggio viene romanticamente e prosaicamente definito “l’incoscienza di
Zeno”, a parafrasare il noto romanzo psicologico o di Italo Svevo, datato quasi
un secolo fa (1923) – sembra potere rassicurare l’agitata piazza triestina.
“Avevamo previsto quello che sarebbe successo nel 2019 così come
anche nel 2020 e nel 2021. Qualcuno sarebbe venuto a comprare qualche parte di
sistema. Ma le zone franche sono gestite totalmente dalla mano pubblica. Nessun
elemento verrà svenduto. Si può venire qui e usufruire dei vantaggi ma tutto
viene gestito dall'autorità pubblica” si è così espresso D’Agostino
sull'affaire-querelle italo - cinese della Nuova Via della Seta, definita
alternativamente una vera e propria “telenovela che rischia di fiaccare
pazienza e attenzione dei triestini, ancora una volta al crocevia di qualcosa:
di così grande e impegnativo da un lato; di così poco compreso da tanti, che
citano con altri fini e interessi Trieste insieme al suo porto”.
E come dare torto all’articolista?
Che si affretta a rammentare la base più elementare di tutti i
ragionamenti in pista, vista la ridda di ‘castronerie’ che alcuni farneticano
bellamente.
“Il porto è demanio dello Stato, unico che lo può volere
vendere, come ha fatto la Grecia, in grave difficoltà economica, cedendo ai
cinesi l’intero porto del Pireo.
Gli accordi commerciali, compreso il Memorandum che Roma e
Pechino stanno per firmare, sono altra partita.
D’altronde, come nascondersi dietro a un dito? Senza gli
investimenti stranieri, quanti porti - non solo Trieste - oggi sarebbero privi
o quasi di attività, stante che spesso l’imprenditoria italiana latita o si
maschera?
Anzi, considerando come quello che hanno messo su molte aziende
italiane, adesso lo stanno vendendo – immaginiamo con buon margine – ai
famelici investitori stranieri, più interessati che mai agli asset, spesso
strategici, dello Stivale, cosa faremmo senza capitali esteri che fanno girare denaro
e occupazione?
Una rassicurazione nel senso che non sarà ‘Saldi’ viene proprio
dal documento, per ora ufficialmente secretato, del Memorandum d’intesa
italo-cinese.
Lo stesso Il
Piccolo, che pare avervi potuto gettare un occhio sopra in
anteprima, ne cita alcuni contenuti salienti. Il testo conterrebbe esplicite
garanzie sulla cornice giuridica, poiché tutte le attività dovranno essere
coerenti e compatibili con la normativa UE.
Di certo oggi Trieste è un nome di città noto anche a Donald
Trump, che pare essere in grado di indicarne l’esatta posizione sulla mappa,
sovvertendo il noto luogo comune dell’allergia statunitense per le pur minime
basilari nozioni di geografia extra-nazionale; si sa che nell’immaginario
collettivo a stelle e strisce, l’Europa è un solo paese ecc.”.
Intanto le associazioni degli industriali di Udine, Pordenone e
della Venezia Giulia paventano la loro preoccupazione, preparando un dossier
sulla Via della Seta da sottoporre all'AdSP, a seguito di un incontro ecumenico
promosso dall'Assessorato Regionale alle Attività produttive.
In esso i nodi e le possibili soluzioni sul tema degli
investimenti cinesi nel porto di Trieste da sottoporre e discutere quanto prima
in un tavolo comune con il presidente D'Agostino.
La summa del documento è lampante: il Friuli Venezia Giulia è
nel bel mezzo di una discussione internazionale importantissima, in gioco
equilibri geopolitici che la politica della BRI rischia di sovvertire andando a
incidere sulle infrastrutture delle telecomunicazioni, col rischio intrinseco
della gestione e manipolazione dei dati strategici nazionali, e l’allarme
lanciato dagli industriali.
Costoro hanno manifestato preoccupazioni partendo dalla non
conoscenza del protocollo che si vuole sottoscrivere sulla parte
ferroviaria, l'area doganale e logistica, affermando di essere certamente
interessati al mercato cinese, ma solo in condizioni di assoluta reciprocità,
per evitare il rischio di una situazione di tipo predatorio. Nessuna
preclusione agli investimenti esteri, ma che siano fatti muovendosi
nell’alveo delle regole di mercato invalse nell'UE.
Insomma, lo spettro di Xi Jinping, che presto calerà in Italia
per firmare non meno – si dice - di 50 contratti, fa davvero paura, e non solo
alle latitudini della regione settentrionale più ad est d’Italia.
E senza arrivare al suggestivo ma sinceramente eccessivo
paradosso paventato da Conftrasporto-Confcommercio, la quale ha suggerito che
tra le due vie (quella della Seta cinese e quella dell’Alta Velocità italiana),
vi sia più di una connessione, le cautele non paiono mai troppe.
Dal suo canto il vicepresidente Paolo Uggè ha elaborato la
teoria dei ‘tappi’ al paese, sostenendo che “mentre l’Italia temporeggia, alla
fine sarà la Cina a premere per la TAV. Se si consente a Pechino una sorta di
‘invasione' e non si rafforzano le vie d’uscita dal Paese, non è difficile
pensare alle conseguenze: i prodotti cinesi resteranno nel nostro
mercato, sostituendo il Made in Italy!”
Dunque secondo Uggè dare spazio alla Cina è altamente pericoloso.
Per Conftrasporto-Confcommercio, ottenute le vie d’accesso ai
mercati europei, la Cina sarà libera di scegliere la strada più conveniente. Le
pressioni incrementeranno e se, per la superficialità della gran parte dei
politici italiani, Pechino otterrà anche il controllo delle infrastrutture
strategiche, in particolare di alcuni porti, per il ‘sistema Italia’ i tempi
saranno ancor più bui.
“Occorre l’azione del Presidente Mattarella a porre rimedio agli
errori di prospettiva di chi non sa vedere oltre il proprio naso; la Cina non
ha alcuna remora a sottoscrivere impegni sull’ambiente, sulle regole sociali e
sulla libertà dei commerci, ma si guarda bene dal darne piena attuazione. I
cinesi sono abili a copiare e realizzare prodotti che poi ci rivendono, ma non
intendono acquistare i nostri” conclude Uggè.
Di tenore diverso il punto espresso dal governatore del Friuli
Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga.
“Nessuna svendita del porto di Trieste, nessuna colonizzazione
cinese, ma una ghiotta opportunità per l’Italia, oltre che per il FVG e
Trieste. Sono comunque legittimi i timori dei settori politici ed economici.
Per questo ogni dettaglio dovrà essere calibrato prima di chiudere l’accordo
per evitare il rischio di svendita della sovranità nazionale. Se il progetto di
intesa con Pechino dovesse essere bocciato a priori, rischieremmo di essere
completamente bypassati a favore di altri Paesi del Nord Europa; tale ipotesi
non farebbe il bene dell’Italia”.
Angelo Scorza
"MALGRADO sia sponsorizzato da Forza Italia-E DUNQUE FAZIOSO PER DEFINIZIONE";se si comincia con queste eleganti affermazioni,gli spazi di discussione sono al minimo.Stanno venendo fuori le prime notizie per cui ci vorranno giorni per elaborarne il loro effettivo impatto.1)Chi ha firmato i Trattati?Il Governo o il Presidente della Repubblica?Nel secondo caso si tratta di una violazione del Memorandum di Intesa che da l'Amministrazione di Trieste solo al Governo italiano.2)Perchè chiedere finaziamenti per infrastrutture (parlo d Trieste) quando avremmo il diritto ai nostri cespiti e finanziarci da soli quello che ci pare? Forse perchè questi cespiti continueranno ad essere incamerati dallo Stato italiano e filtrati da chi non ha alcun diritto alla loro gestione:La Regione!.Come mai il Governo-cui è demandata l'Amministrazione-non ha una contabilità separata su Trieste?3)Sarà da vedere se questa nuova situazione sia in linea con il TdP e i relativi allegati e soprattutto sui disposti che impediscono una concorrenza con deviazione artificiosa di traffico da Trieste.4) C'è da sperare che sia gli USA che l'UK facciano sentire la loro primazia di diritto e intervengano - meglio sarebbe anche insieme agli interessi russi - a metter un po' d'ordine a questo ambaradam del tutto imprevedibile.Le cose sono in evoluzione, staremo a vedere.
RispondiElimina