Genova - «Dobbiamo puntare
su traffici come questi per crescere e creare lavoro. Ma bisogna distinguere
tra chi intende farsi finanziare progetti dai cinesi e chi è pronto a mettersi
in società con i cinesi, cioè siglare intese perché si sostenga un progetto
industriale. Questo è un modello sano».
A sostenerlo è Matteo Parisi, figlio di
Francesco, titolare della casa di spedizioni di Trieste, da sempre operatore
del porto, intervenendo sugli accordi commerciali che potrebbero essere siglati
tra Italia e Cina.
Per Parisi, «la storia di
Trieste è quella di un porto che fornisce servizi a Centro ed Est Europa, e va
rafforzandosi in questo ruolo. Le merci sono di passaggio, ma transitando
creano valore aggiunto».
Secondo l’imprenditore, un eventuale forte sviluppo
dello scalo giuliano potrebbe «preoccupare il Nord Europa» poiché potrebbe
sottrarre volumi ai porti di quell’area.
Non a caso, forte è la presenza di
soggetti economici cinesi in questo come in altri settori in Europa e il volume
di scambi commerciali che molti Stati europei hanno con Pechino per volumi di
gran lunga superiori ai traffici italiani.
Parisi confuta
anche le critiche sull’atteggiamento della Cina al Pireo:
«Da quando c’è Cosco in quello scalo lavorano duemila
greci che prima erano disoccupati». Infine, la discussa attenzione della Cina
sulla costruenda Piattaforma logistica:
«Non è di proprietà dei cinesi
ma per il 46% della Francesco Parisi», e le restanti quote di operatori
italiani. «Ci sono discussioni in corso con diversi soggetti, non solo cinesi;
nel caso di future nuove partecipazioni, altri soggetti saranno benvenuti solo
se porteranno valore aggiunto alla società e nuovi volumi», conclude.
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