SHIPOWNERS
«Fondi nello
shipping?
Sì, ma senza speculazioni» /
INTERVISTA
Genova - «Abbiamo
presentato uno studio all’Abi - ricorda Fabrizio Vettosi, vice-presidente della
commissione Finanze di Confitarma - in cui dimostriamo che la cessione del
credito shipping comporta per le banche un assorbimento patrimoniale, e costi,
anche impliciti, maggiori della cessione cash»
Abbiamo segnato alcuni punti da dipanare :
Genova - Pochi giorni fa
Dea Capital Alternative Funds ha annunciato l’avvio di un comparto, nell’ambito
del fondo Ccr 2, interamente dedicato all’industria marittima.
L’operazione, da 200
milioni di dollari, è l’ultima di una lunga serie che ha portato
progressivamente all’ingresso di numerosi fondi nelle società di armamento
italiane, attraverso l’acquisto dei loro crediti deteriorati presso le banche.
Un processo sul quale però
Confitarma, l’associazione degli armatori italiani ha chiesto all’Associazione
bancaria italiana un percorso «per tutelare know how e continuità delle imprese
associate».
«Nello studio presentato
all’Abi - ricorda Fabrizio Vettosi, vice-presidente della commissione Finanze
di Confitarma - dimostriamo che la cessione del credito shipping in cambio di
altri strumenti finanziari comporta per le banche un assorbimento patrimoniale,
e costi, anche impliciti, maggiori della cessione cash degli stessi crediti».
Scusi, ma lei da anni
ripete che lo shipping ha bisogno di finanza alternativa. Ha cambiato idea?
«Assolutamente no. Ho
grande stima dei colleghi che stanno implementando questi progetti, ma non ho
ancora una visione chiara su strutture e obiettivi. Il presidente di
Confitarma, Mario Mattioli, dovrebbe convocare a breve una riunione invitando i
principali attori, presumo proprio per comprendere meglio la loro reale
strategia sottostante».
Cosa non la convince?
«Ripeto, la stima
professionale è indiscutibile, ma non vedo team specializzati nella gestione
del credito shipping in queste iniziative, mentre vedo all’interno delle banche
eccellenti professionalità in grado di gestire questi crediti oggetto di
cessione, tra l’altro senza oneri aggiuntivi. Il personale è già lì».
I fondi puntano a
migliorare l’efficienza e far crescere la dimensione media di imprese e flotte.
Che male c’è?
«Senta, ma cosa significa?
Potremmo avere evidenza concreta e non filosofica di questi concetti?
Lavoro
nella finanza allo shipping da oltre 30 anni e non ho mai visto economie di
scala da aggregazioni. Invece ho visto pastrocchi giganteschi quando si sono
assemblate aziende o flotte di natura totalmente disomogenea.
Inoltre, non è
mai stato possibile per nessun armatore al mondo avere dimensioni talmente
rilevanti da poter incidere su ricavi e costi operativi».
E allora la Maersk come si
spiega?
«Crociere, container,
passeggeri, trasporto gas o auto: sono settori con dinamiche specifiche e
industriali non replicabili.
Poi la nostra flotta è relativamente piccola in
senso assoluto, 16 milioni di tonnellate di stazza lorda. La forza dello
shipping italiano sta proprio nelle grandi competenze a terra che andrebbero
salvaguardate, anzi sviluppate in settori di nicchia, più che nella dimensione
delle flotte».
Un fondo entra in una
società e ne rileva gli Utp che cosa sono gli UTP ?. Qual è l’obiettivo secondo lei?
«Mi pare contraddittorio
sentir parlare di efficientamento da soggetti che non dovrebbero avere un ruolo
attivo da azionisti, ma che invece, salvo prova contraria, dovrebbero essere
meri creditori cessionari del credito.
Mi chiedo se sia giusto parlare di
de-risking quando una banca scambia carta con carta, sostenendo oneri maggiori
rispetto alla gestione interna e autonoma dei crediti deteriorati, e tutto
questo attraverso una finzione che a mio parere ha il solo scopo di annichilire
competenze industriali stratificatesi in secoli a vantaggio di atteggiamenti
speculativi».
Però le banche hanno la
necessità di liberarsi dai crediti deteriorati: lei ha presente che ci sono dei
requisiti patrimoniali da rispettare?
«Vede, si dice ogni giorno
con molta enfasi di una tendenza da parte delle banche a soggiacere agli input
della Bce in materia di de-risking. eliminazione, contenimento o riduzione del rischio A mio avviso questo sta diventando un
pretesto mediatico per alimentare una progressiva distruzione del nostro
tessuto industriale; e ovviamente mi riferisco anche allo shipping.
Mi chiedo se sia davvero
efficiente un sistema bancario in cui la capacità dei banchieri si misura dalla
velocità di dismissione dei crediti deteriorati, e se non sarebbe più normale
misurare la capacità dei banchieri sulla base di metriche reddituali e della
loro capacità di remunerare il capitale degli azionisti, che in buona sostanza
poi siamo noi cittadini, costretti poi a subire anche le conseguenze dei
salvataggi delle banche».
Nessun commento:
Posta un commento