FAQTRIESTE Abbiamo letto sulla Newsletter di Handelsblatt di qualche giorno fa: “Con il trasferimento di circa un miliardo di euro ai suoi proprietari, il Land di Amburgo e il Land dello Schleswig-Holstein, HSH Nordbank è passata ai nuovi proprietari, i fondi d’investimento Cerberus e J.C. Flowers”. Secondo Lei si conclude così la vicenda tormentata della prima banca al mondo per crediti allo shipping, travolta dalla crisi dei noli e tenuta in piedi con un salasso di soldi pubblici ancora non quantificato?
R. C’è da dubitarne. Si è
concluso il primo capitolo di questa storia e si apre quello della Hamburg Commercial Bank, come dovrebbe
chiamarsi in futuro l’Istituto. Sembra che sia già stato depositato il nuovo
logo. Lo sconquasso che HSH Nordbank e la sua analoga Norddeutsche Landesbank,
controllata dai Länder della Bassa Sassonia e
di Sachsen-Anhalt, hanno creato con i loro crediti deteriorati allo shipping,
non solo colpisce la finanza pubblica di ben quattro Länder tedeschi ma anche quella parte del sistema bancario tedesco
rappresentato dalle Casse di risparmio, che detengono un’importante quota di
capitale delle due banche.
La NordLB, come viene chiamato l’Istituto di Hannover, sottoposta allo stress test delle autorità monetarie europee, ha dato i peggiori risultati tra le banche tedesche esaminate. Da tempo cerca dei soci di capitale, si sono fatti anche i nomi di Cerberus, di Apollo e di altri fondi americani, per un certo tempo si è parlato della sua acquisizione da parte della Commerzbank, ma ogni volta sono arrivate le smentite dai diretti interessati. Si ritiene che per raddrizzarsi l’istituto ha bisogno di tre miliardi di euro. I suoi crediti deteriorati allo shipping sono valutati 6,5 miliardi.
La NordLB, come viene chiamato l’Istituto di Hannover, sottoposta allo stress test delle autorità monetarie europee, ha dato i peggiori risultati tra le banche tedesche esaminate. Da tempo cerca dei soci di capitale, si sono fatti anche i nomi di Cerberus, di Apollo e di altri fondi americani, per un certo tempo si è parlato della sua acquisizione da parte della Commerzbank, ma ogni volta sono arrivate le smentite dai diretti interessati. Si ritiene che per raddrizzarsi l’istituto ha bisogno di tre miliardi di euro. I suoi crediti deteriorati allo shipping sono valutati 6,5 miliardi.
FAQTRIESTE Abbiamo letto che anche
Commerzbank era molto esposta nei crediti allo shipping, è riuscita nel
frattempo a cederne una buona parte. Poi Lei, nei suoi scritti, aveva parlato
di centinaia di fallimenti di società in accomandita che avevano raccolto
risparmi d’investitori e li avevano messi nell’acquisto di navi portacontainer
che venivano poi noleggiate alle grandi compagnie. Aveva parlato anche di
parecchi fallimenti di società di noleggio, alcune molto grosse con centinaia
di navi di proprietà, i cosiddetti non
operating owner. Lì lo tsunami è finito?
R. Tutt’altro. Quest’anno, a
marzo, il mondo degli investitori del trasporto marittimo in Germania ha subito
un altro trauma. E’ fallito il fondo P&R, 54 mila investitori rischiano di
perdere i loro soldi, 3.5 miliardi di euro. Il titolare del fondo, Heinz Roth,
75 anni, è finito in galera.
Cosa proponeva P&R? Di acquistare container. Il
fondo li noleggiava, trasferiva il ricavato all’investitore dopo aver prelevato
la sua commissione, alla fine del ciclo di vita il container veniva venduto e
2/3 del ricavato andavano all’investitore che in tal modo guadagnava due volte.
Con la crisi del 2008 le cose hanno cominciato ad andar male, i container non
trovavano più mercato e si accumulavano nei depositi, P&R è riuscito
tuttavia ancora nel 2013 ad acquisire nuovi investitori e sono questi, ultimi
arrivati, che ora stanno pagando il prezzo più alto perché il fondo, coi soldi
che raggranellava, pagava prima i vecchi investitori, ovviamente. Ma come
raccoglieva questi soldi? In parte col ricavato, sempre più magro, del noleggio
ma soprattutto….vendendo i container. Sicché, alla fine, del milione e 600 mila
container acquistati non ne restavano che 600 mila. Quindi gli ultimi
investitori avevano acquistato container che esistevano solo sulla carta. Il
meccanismo è ben spiegato in un video curato da Handelsblatt
La stampa tedesca ha parlato
di questo episodio come della più grande frode del dopoguerra.
FAQTRIESTE Peggio di quanto è successo in Italia con Veneto
Banca, MPS, Popolare di Vicenza, Banca Etruria?
R. Molto peggio. Basti pensare a Deutsche Bank. Il
valore delle sue azioni si sta evaporando, i cambi ai vertici non sembrano aver
ottenuto alcun effetto positivo, la gestione del britannico John Cryan è stata
disastrosa. Il suo successore, Christian Sewing, 48 anni, non sa da che parte
voltarsi. Di recente la polizia ha fatto irruzione negli uffici della banca
alla ricerca di prove che possano convalidare l’ipotesi che la banca abbia
partecipato alla colossale operazione di riciclaggio di denaro sporco che
faceva capo alla filiale estone di Danske Bank, la prima banca danese (detto
tra parentesi, Danske Bank è un polmone finanziario di Maersk). E’ di oggi (30
novembre) la notizia che la polizia ha fatto nuovamente irruzione negli uffici
dell’Istituto di Francoforte accusato di aver aiutato un migliaio e passa di
grandi evasori ad aprire conti e società nelle Isole Vergini. Sono elementi
emersi, pare, dalla famosa inchiesta Panama Papers. Se cade Deutsche Bank il
rischio è sistemico, ci va di mezzo l’euro.
FAQTRIESTE E la politica tedesca come reagisce? I risultati
delle ultime elezioni regionali hanno segnato la fine della carriera politica
di Angela Merkel, sembra che anche in Germania come in Italia la politica dei
grandi partiti tradizionali sia in crisi.
R. La prima cosa che va detta è che le autorità di
regolazione e vigilanza – la cosiddetta Bafin, (Bundesanstalt
für Finanzdienstleistungsaufsicht) - non abbiano funzionato a dovere. E’ contro questa istituzione che si è
indirizzata la rabbia dei creditori di P&R. Che la Bafin fosse un guardiano
assente lo avevano già messo in luce le inchieste dell’associazione dei
giornalisti investigativi a proposito di HNA, cioè della conglomerata cinese
che era entrata nel capitale di Deutsche Bank con il 9,9% diventandone il primo
azionista. E’ ben vero che solo chi entra con una quota dal 10% in su finisce
sotto la lente della Bafin ma comunque se io fossi l’autorità di regolazione in
qualche modo aprirei gli occhi se vedo che qualcuno entra nel principale
Istituto sottoposto alla mia vigilanza con una quota esattamente inferiore di
quel tanto che gli permette di agire al riparo dai miei sguardi. E qui comincia
il bello. Prima l’inchiesta giornalistica, riportata dal “Financial Times”,
rivela che questa HNA è una compagnia aerea regionale attorno alla quale si è
formata una galassia di almeno 60 società. Capire in quale di queste società
sia nascosta la partecipazione in Deutsche Bank è un’impresa, ma alla fine i
giornalisti ci riescono e salta fuori il nome di uno strano uomo d’affari
austriaco come l’intermediario delle operazioni poco trasparenti di questi
cinesi. Agli inizi di quest’anno la notizia bomba: HNA è in pessime acque e
vende asset a più non posso, tra cui una parte della partecipazione in Deutsche
Bank, che la fa scendere al 7,6% (notizie di stampa di settembre). Il 1
novembre, un mese fa, il fondo americano Hudson Executive annuncia di aver
acquistato il 3,1% del capitale della banca, diventandone così uno dei maggiori
azionisti. Forse una nuova storia, con enormi conseguenze sul futuro politico
della Germania e dell’Europa, è già cominciata?
FAQTRIESTE Si spieghi meglio
R. Mi riferisco al nuovo tipo di rapporti tra
Germania e Stati Uniti. Se Angela Merkel ha rappresentato il simbolo di
un’Europa unita e potenza mondiale alla pari di Russia, Stati Uniti e Cina,
l’uomo che si candida alla sua successione e ha buone probabilità di successo,
Friedrich Merz, rappresenta in un certo senso l’esatto contrario, perché è
figlio della finanza internazionale senza bandiera e senza regole. Anche Macron
viene da quel mondo ma, rispetto a Merz, non è più che un travet. Friedrich
Merz è a capo del consiglio di sorveglianza della filiale tedesca di Blackrock,
uno dei più potenti fondi mondiali di gestione dei patrimoni. Non solo, è anche
il direttore di Atlantik Brücke (Atlantic Bridge), un think thank
tedesco-americano che tiene in piedi una diplomazia parallela a quella delle
cancellerie, una specie di secondo livello della Casa Bianca, come lui stesso
ha ammesso in un’intervista televisiva facilmente rintracciabile su You Tube. Angela
Merkel è una democristiana cresciuta nella DDR, con una particolare visione
“sociale” della politica, che si riallaccia al pensiero di Erhard, il famoso
ministro dell’economia di Adenauer, il cui motto era: benessere per tutti. La
parola d’ordine del mondo della finanza cui Merz appartiene è: diseguaglianza,
ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Il modello tedesco di
cogestione, che ha assicurato parte del successo al sistema manifatturiero, lo
stesso ambientalismo radicale fortemente presente nella mentalità del popolo tedesco,
come possono andare d’accordo con la cultura rapace di un fondo d’investimento?
Forse non è la Gran Bretagna, con la sua stolida Brexit, non è la Francia, con
il suo traballante Presidente, forse nemmeno l’Italia con il suo governo
sovranista, a mettere in pericolo l’esistenza dell’Unione Europea. Forse il
pericolo maggiore viene proprio dal suo principale pilastro: la Germania.
FAQTRIESTE Quindi avremo Merz come
prossimo cancelliere?
R. Non è detto al 100%.
Anche lui comincia ad avere grane. Il 7 novembre la polizia ha fatto irruzione
negli uffici di Blackrock a Monaco. Anche lì ci dev’essere del marcio.
UN PETTEGOLEZZO PER CURIOSI !
FAQTRIESTE L'intervista di oggi ha un precedente in uno scambio di mail del marzo di quest'anno relativo ai contenuti del libro del prof. Bologna : " Tempesta perfetta sui mari " . All'epoca quello scambio di mail di cui vi offriamo un estratto aveva prodotto un testo che doveva finire pubblicato su una rivista dello shipping nazionale ma che poi si deve essere perso cammin facendo. Noi che salviamo in archivio un po' di tutto e abbiamo una buona memoria vi proponiamo quindi questa domanda e risposta secche del marzo di quest'anno che hanno un legame diretto con l'intervista di oggi.
FAQTRIESTE : Professor Bologna, nel suo
libro “Tempesta perfetta sui mari” Lei preconizzava una crisi irreversibile
dello shipping nei traffici container e addirittura diceva di considerare il
gigantismo navale uno dei fattori di questa crisi. Nel 2017 i porti hanno
battuto tutti i record, di navi in disarmo non ce ne sono quasi più, l’economia
mondiale è di nuovo in ascesa, crescono gli
ordinativi per nuove portacontainer. E cresce anche il numero di coloro che ritengono
che Lei abbia “cannato” completamente le previsioni. Come risponde?
SERGIO BOLOGNA : Non
bisogna lasciarsi ipnotizzare dalla crescita dei volumi. Occorre chiedersi
piuttosto se dietro quella crescita c’è qualcosa di solido o siamo alle solite
montagne russe. E’ vero, i volumi sono in crescita e le compagnie hanno ripreso
a guadagnare, ma già a metà 2017 l’atteso GRI (General Rate Increase) non c’è
stato. Dopo un anno di stasi (il 2016) si è ripreso ad ordinare navi
all’impazzata. Secondo i dati di Clarkson nel primo mese del 2018 la flotta
mondiale ha superato già l’aumento che aveva avuto in tutto il 2016. Quindi la
sovraofferta di stiva rimane, anzi potrebbe aggravarsi, con le conseguenze
negative sui noli che ben conosciamo. Le compagnie guadagnano ma hanno
indebitamenti paurosi (Maersk prima di tutte). E poi vengono a scadenza certe
cambiali. L’epicentro è sempre la Germania e la sua HSH Nordbank, che è stata
ripulita delle sofferenze, scaricate sulle spalle dei contribuenti con il
solito sistema della bad bank, ed è stata ceduta per un misero miliardo a un
fondo americano.
Ma ecco
che qualche giorno fa spunta una nuova bancarotta. L’Istituto di servizi
finanziari P&R, che si era specializzato nell’investimento in navi
container, sta vacillando e minaccia di trascinare con sé i soldi, si parla di
3,5 miliardi di euro, di circa 50 mila piccoli investitori (come il pensionato
di Amburgo che si vede nel video). “Il più grande scandalo finanziario della
Repubblica Federale dopo la guerra”, scrive “Handelsblatt”. Con quest’altra
botta la somma che il contribuente/risparmiatore/investitore tedesco si è dovuto
sobbarcare per pagare le spese della bolla dello shipping si avvicina ai 20
miliardi di euro. Secondo Lei a questi poveracci importa tanto che i volumi
siano in crescita? I partiti di governo, CDU e SPD – ma più i socialdemocratici
che i democristiani - hanno pagato un prezzo anche per questo, alle ultime
elezioni.
Purtroppo, da quel che
sembra, la politica non ha imparato niente. Continua a sovvenzionare armatori
senza prospettive che per di più, appena incassate le sovvenzioni, portano le
loro navi sotto bandiere di comodo e buttano sul lastrico centinaia di
marittimi tedeschi.
L’industria dello shipping esce – si fa per dire - da
questa crisi con un grado di concentrazione mai visto. L’oligopolio, dicono la
storia e la dottrina, non ha mai fatto un gran bene ai consumatori o agli
utenti di un servizio. L’industria dello shipping esce – si fa per dire – da
questa crisi con tante belle navi giganti. Ne fanno le spese un sacco di porti
di medio-piccola dimensione e quelli grandi scoppiano di traffico al punto che
non riescono a gestirlo o a smaltirlo. Scioperi di camionisti stufi di fare
code di ore ai gate dei terminal non ci sono solo a Genova.
Ho “cannato” le
previsioni? Non m’interessava fare la Pizia o la Cassandra, m’interessava
allargare lo sguardo, non fermarmi al numero dei TEU, m’interessava guardare ad
un contesto più ampio e così facendo non mi pare proprio di aver “cannato”.
Salve
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