giovedì 18 ottobre 2018

L'ARTE DEL LAVORO PORTUALE




L’ARTE DEL 


LAVORO 


PORTUALE




In occasione della Barcolana è stata costruita un’opera artistica /industriale in Piazza della Borsa a Trieste dedicata alla Nuova Via della Seta e al collegamento tra i porti di Shanghai e Trieste.



Il reportage fotografico realizzato da Elisabetta Lattanzio Illy ricerca le analogie e non le differenze tra il porto giuliano e quello cinese. Attraverso le immagini ricerca le somiglianze tra i due scali.

“ Io sono andata in porto alle sei della mattina per la prima volta in vita mia. Gli uomini hanno aperto il loro cuore sono stati meravigliosi con me e mi hanno dato vivere quello che è effettivamente la loro giornata “ racconta l’autrice delle foto. (vedi il video)




“ Io in porto alle sei di mattina ci vado da anni e continuerò ad andarci “ ci racconta uno dei portuali che ci hanno reso partecipi del loro sfogo.

Si sa che ogni persona guarda, comprende e si emoziona in modo diverso di fronte all’opera di un artista. Container accatastati in piazza della Borsa non sono proprio la stessa cosa di quelli impilati in quinta fila sul molo di un terminal. 

La mostra fotografica Shanghai Trieste ha avuto il merito di richiamare la Nuova Via della Seta e suscita curiosità ed attenzione nei cittadini.

Ma quali sentimenti produce la stessa mostra in quei lavoratori che operano con gru, ralle e spostano container dalle navi ai treni e ai TIR ?

“ Non devo essere tanto furbo se all’artista basta una mattina per capire il lavoro portuale. Io ci ho messo anni. Per anni a fine turno, quando buttavo sacchi, ho sentito la battuta:” Ecco quello che cercavo ! “ “Cosa ?” “ L’ultimo sacco di oggi!”

Qualche volta la battuta la accetti con un sorriso, qualche volta con una risata e in giornate no con una imprecazione.

“Guarda che qui in porto la sicurezza non è uno scherzo, devi stare attento e lavorare con attenzione” dicevano i più vecchi, insegnando il mestiere. “Da qui non esci con il – gomito del tennista – a fine turno o vai fuori con le tue gambe o puoi andarci in carrozzella, è un lavoro dove non ci sono mezze misure “.
“Ma non era una mostra – gemellaggio tra Trieste e Shanghai ? Cosa c’entrano i livornesi ? “

Sono foto e ritratti che il cittadino non coglie ma che non sfuggono all’occhio attento di chi ci lavora. 



Come definire i livornesi ? Istruttori ? Supervisore con scritta sulla maglietta ? Portuali pensionati ?
Cosa hanno portato sul terminal ? Poca istruzione e incapacità, poche procedure e qualcosa nel coordinamento lavori, ma il danno rilevante lo hanno fatto sui diritti e sui valori. 

Hanno cercato di spezzare la catena di passaggio di conoscenze tra i vecchi e i nuovi lavoratori. Non per cattiveria o per incapacità, ma deliberatamente e con determinazione. 

In tutti i lavori, ma nel lavoro portuale in particolare, le competenze sul lavoro, la professionalità che si acquisisce negli anni è strettamente legata ai diritti. Un lavoro che è sempre di fretta, che deve garantire rese definite, che si presta a scorciatoie pericolose per risparmiare manovre deve veder riconosciuti i diritti e non la loro messa in discussione continua.

Diritti, nel caso del lavoro portuale, è sinonimo di rispetto per il lavoro e per chi lo svolge. Rispetto necessario nei confronti di tutti i portuali al di la della qualifica, dal generico al lavoratore più specializzato.
Sarà interessante, quando succederà, verificare le esperienze dei portuali cinesi e la nostra storia: un confronto oltre alle immagini.

“I portuali triestini sono il porto di Trieste e non le statistiche o i soldi che lo muovono. Senza i portuali triestini il porto di Trieste non esisterebbe.“










2 commenti:

  1. Solamente alcuni ricordi del passato... nel famoso ventennio il porto di Trieste era denominato "porto veloce" per la alta specializzazione delle sue maestranze...aspetto che nel secondo dopoguerra è stato confermato dal fatto che quasi tutte le linee marittime nazionali allora denominate società di PIN (prevalente interesse nazionale) quali LLoyd TS, Soc. Italia, Tirrenia, facevano ultimo scalo a Trieste prima della prosecuzione sulle rotte oceaniche proprio per risistemare il carico in stiva, a cura dei provetti stivatori triestini...

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  2. verani.adriano@gmail.com19 ottobre 2018 alle ore 11:49

    Le navi da carico della Società Italia facevano scalo a Trieste come ultimo porto del c.d. 'Periplo Italico': i c.d. 'Francesi'(ma anche un vapore di costruzione italiana : il 'Toscanelli') della linea Centro America-Nord Pacifico; altrettanto per la linea Brasile-Plata, allora servita da quattro Liberty assolutamente fuori mercato soprattutto sia per la velocità (intorno alle 11 miglia se andava bene)che per la mancanza di stive frigorifere per la carne congelata (c'era anche il 'Leme' ma da alcuni anni era stato messo fuori servizio). Lo stesso per il Lloyd Triestino ( sempre di navi di carico parliamo, perche le navi miste e le ultimissime passeggeri erano - al solito- di appannaggio genovese (5 su 7).Lo stesso per la Tirrenia con la sua linea italiana e quella del Nord Europa ( Giosuè Borsi, Valdarno ecc.).L'Adriatica aveva una presenza più articolata con le navi miste ( i 'Passi' , i 'Santi' ecc.). Quando i 'Francesi' e i 'Liberty' dell'Italia vennero sostituite da navi da carico più moderne(Da Verazzano, Da Noli ecc. ) dopo qualche saltuaria continuazione della linea fino a Trieste , cessarono completamente di venire in Adriatico fermandosi a Genova/Livorno/Napoli.Del resto le navi da carico tadizionali(in genere a cinque stive) stavano ormai lasciando l passo alle navi modulari ro-ro- e containerizzate.Quanto all'abilità dei nostri portuali che faceva il 'pendant' con il pressapochismo di certi altri porti a costo minore, basti ricordare quella nave della Flotta Lauro della Linea del Golfo Persico, che uscita dal PFV con un camito di legname si ingavonò in prossimità della Stazione Marittima; storia molto interessante!Per i resto, la graziosa composizione floreale di container quale richiamo della 'Via della Seta' ( Seta pura?) molto sommessamente suggerirei di non vendere la pelle dell'orso prima di averlo preso ( i cacciatori sono tanti e con più 'santoli' di noi); e dopo avere tenuto buona nota( ah..il linguaggio burocratico!)di quanto sopra, stare attenti che l'orso non faccia del Porto una sua tana limitando le prerogative dello stesso e facendo guadagnare altri sulla nostra pelle!

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