Servono ferie ?
Evidentemente non riesco a
vedere le meraviglie di simili progetti. Non bisognerebbe incaponirsi sul
nominalismo ma il fatto che il Punto Franco Vecchio di Trieste venga chiamato
una volta ‘Portovecchio’ e qualche altra
volta ‘Porto Antico’ dà la misura delle acrobazie verbali di certuni che danno
per morto il Punto Franco Vecchio.
Ma gli esperti sanno – così dicono - quello
che propongono e quello che farebbero. E gli esperti, si sa, sono come quei
tali che Shakespeare fa nominare a Antonio al discorso funebre di Cesare:
“uomini d’onore!”.
Gli esperti prendono alcuni dati, li elaborano in proiezione
e sulla base di scelte che escludono altre opzioni, portano a conclusioni di
convenienza.
Parlano di megayacht come di una futura ‘bonanza’ per Trieste. Ma
senza andare a contestare, sarebbe bene che gli stessi calcoli di prospettiva
venissero fatti anche per altre tipologie di investimento e procedere quindi a
un raffronto sinottico di opportunità.
Perchè parlare di soli di Megayacht e
non p.e. di feeder intermodali, di traghetti merci e passeggeri, di navi da
carico generale (quelle poche che ancora operano e che comunque
fisiologicamente difficilmente spariranno del tutto), portacontenitori sino ad
un determinato pescaggio e dimensione e soprattutto di magazzini che
vivifichino la funzione emporiale di Trieste permettendo la negoziazione, al
meglio del mercato, dei titoli di credito su commodities depositate?
Perché
fare questa scissione tra Porto Commerciale (PFN) e il PFV ?
Il PFV e già morto ed è sedime per l’edilizia?
Parlare di Megayacht significa avviare uno studio precostituito su una idea che
esclude automaticamente le altre relative alla navigazione marittima
tradizionale ( qualche spazio, per navi passeggeri, ma di dimensioni
relativamente contenute) quando i megayacht avrebbero già la loro collocazione
: per il raddobbo e il carenaggio in un Navalgiuliano allo stato dell’arte e
per la dimora – ammesso che zone più amene non attraggano di più – Muggia,
Sistiana, Monfalcone.
Usare aree e magazzini per attività non strategiche
significa eliminare opportunità di lungo respiro per frivolezze transeunti
nella loro efficacia (ammesso che ci sia) ma che producono un irreversibile uso
NON portuale delle aree.
Dobbiamo usare aree preziose che se modificate sarebbero
irrecuperabili all’attività portuale, per una materia la cui remuneratività sia
basata su dati che non tengono conto di possibili mutazioni del quadro
geopolitico e economico generale? Si pensa che p.e. in una situazione di
conflittualità politica e normativa europea e mondiale (e mi pare che ci stiamo
avvicinando a grandi passi) i megayacht sarebbero una scelta opportuna davanti
a un impoverimento generale?
Oppure meglio sarebbe invece assicurarsi spazi di
banchina per accogliere navi nel regime di Porto Franco Internazionale che-
questo sì- dovrebbe essere riaffermato con convinzione?
Se una entità,
chiamiamola pure come ci pare: entità politica, parapolitica, di convergenza di
interessi quali una coesione tra la Baviera e l’Austria- sia essa un generico
Alpengebiet o con maggior fortuna Alpenstaat o Alpenrepublik – venisse ad
esistere alle spalle dell’Adriatico (potrebbe essere una remota eventualità ma
se ne comincia a parlare) dovremmo puntare ad avere un collegamento funzionale
con essa oppure lasciare tutta l’iniziativa a Capodistria?
O ancora, usare di
dismesse aree preziose di porto per le baracche di zucchero filato, castagnere,
mussolere, barche barchette e cotillon, cinema e la fiera della frìtola tesa a
tutto ma soprattutto a metter cappello su aree portuali ?
Ma le aree portuali
vanno salvaguardate anche pro futuro e Trieste che non ne ha molte ( Genova ne
ha più di tre volte tanto e un Porto del Nord ha sviluppo ancora più generoso)
non può permettersi uno spreco irreversibile.
Cosa si fa del parco binari del
PFV? Viene mantenuto oppure è in corso di sradicazione? Non credo ci sia al
mondo una città così autolesionista come è ora Trieste quando la grande classe
dirigente di un tempo ha lasciato il posto a equilibristi dell’ideuzza e a
piccoli bottegai vocianti che trattano e maltrattano istituti di cui in
sostanza non ne capiscono e non ne amano la funzione.
C’è un parallelo tra lo
spreco di aree portuali e la scellerata gestione del territorio che ha
consentito costruzioni a ridosso di impianti strategici impedendone lo
sviluppo.
Come il grande Eduardo ne il
‘Natale in casa Cupiello’:
’Nun me piace o’ presepe!’.
Non rinunciamo alle questioni poste da Adriano Verani che sono un vero caleidoscopio di domande e di punti di vista.
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