LEGGE REGIONALE 26/2014
RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI
RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI
A quatto anni dall'approvazione della legge
regionale di riforma delle Autonomie Locali, si
incomincia a dibattere sullo stato di attuazione di questa riforma e
delle conseguenze sul territorio regionale, riscontrando che la Regione FVG è
l'unica a in Italia a non avere più il livello amministrativo-territoriale
delle Province, visto che è stato modificato lo Statuto regionale. Nella
campagna elettorale in corso per il rinnovo del Consiglio regionale, i partiti hanno posizioni diverse : il Partito
che l'ha proposta ed approvata ritiene di doverla modificare e i partiti
dell'opposizione parlano di eliminarla, ma non è chiaro cosa entrambi intendano
proporre in alternativa. In un dibattito pubblico, promosso alcuni mesi fa da
un partito della coalizione di governo regionale, la Presidente rivendicava il
merito di averla approvata in un anno e mezzo e di avere sentito tutti. Sembra
quanto mai improprio rivendicare la bontà di una legge citando i tempi “brevi”
di approvazione e non valutare invece che in 4 anni si sono già apportate
modifiche ed integrazioni inserite in 17 diverse leggi; inoltre “il sentire
tutti” può essere un mero adempimento burocratico, posto che la legge incontra
una palese ostilità da parte di alcuni comuni e
difficoltà e poca convinzione nell'applicarla da parte di altri,
dimostrando che la politica, intesa come prassi della mediazione e compromesso
tra visioni diverse, non ha esercitato il suo compito.
Di seguito si
evidenziano alcuni aspetti della legge e delle problematiche che non sono
minimamente affrontate nonché si pongono alcune domande alle quali si auspica
che i politici rispondano.
1) La tematica della riforma
delle autonomie locali è materia molto delicata che presuppone un dibattito non
solo con e tra i soggetti chiamati a decidere nelle sedi istituzionali
ma pure il coinvolgimento delle realtà associative, a vario titolo operanti sul
territorio regionale (perchè non sottoporla ad referendum regionale vista la
sua rilevante importanza per gli assetti regionali). Questo tema riguarda non
solo il ridisegno delle entità territoriali amministrative, ma pure la
ridefinizione delle competenze da ripartire ai vari livelli di governo nel
rispetto del principio di sussidiarietà.
La scelta di procedere con l'abolizione delle Province è stata giustificata dall'esigenza di eliminare i costi della politica, confondendo quelli necessari alla democrazia per garantire rappresentanza, partecipazione, trasparenza, con quelli dell'apparato dei partiti che pesano anche sulla spesa pubblica delle istituzioni. Va notato che questa strategia di eliminare livelli di governo elettivo del territorio si inserisce nella più generale visione politica di semplificazione istituzionale. La recente proposta di modifica della Costituzione con la soppressione del Senato, respinta dall'esito del referendum, rispecchia tale visione perseguendo l'idea che le decisioni in politica devono essere prese in tempi rapidi e vada eliminato tutto quello che ostacola o rallenta tale assunto. Alcuni intendono la globalizzazione come un processo sempre più verticale in cui pochi detengono le leve del potere, perchè così le decisioni sono rapide, e i sostenitori di tale processo oramai si contano anche tra i politici locali, ai quali sono d'ostacolo i confronti, i livelli di governo articolati e distribuiti nel territorio, la partecipazione e il decentramento dei poteri, la presenza di interessi particolari democraticamente rappresentati, la responsabilità non delegata e attiva.
La riforma delle Autonomie Locali persegue in pieno questa visione, eliminando l'Ente elettivo Provincia, concentrando funzioni importanti al livello regionale, per poi trasferirle ad Agenzie costituite appositamente e sottraendo così la loro gestione ad un organismo elettivo, e altresì i Comuni sono sottoposti ad un ridimensionamento della loro autonomia decisionale posto che i servizi prima gestiti in primis da ogni singolo Ente, ora con le UTI, devono sottostare ad una collegialità decisionale che non è detto interpreti le volontà dei cittadini rappresentati dal sindaco cooptato nell'organismo nuovo.. La vera sfida che la Regione dovrebbe invece sostenere sulla riforma delle Autonomie locali è come conciliare l'esigenza della trasparenza amministrativa, la rappresentanza dei territori, il decentramento dei poteri sulla base del principio di sussidiarietà, la crescita della responsabilità dei cittadini sui beni pubblici e in particolare dei loro rappresentanti negli Enti elettivi e di secondo grado, un ridimensionamento del numero dei Comuni, promuovendo l'accorpamento degli stessi su una soglia minima di 5000 abitanti, una nuova governance dell'Area Vasta che consenta di strutturare i territori sulla base socioeconomica degli stessi, sull'identità e vocazione storica, ponendo fine ad un disequilibrio che la Regione ha scontato fin dalla sua formazione.
L'accorpamento di più Comuni per originare uno nuovo, operazione che si scontra con il senso di appartenenza dei singoli abitanti, può essere affrontato non solo con l'incentivo finanziario ma soprattutto con opportune garanzie rappresentative e di partecipazione democratica e quindi con il necessario trasferimento di poteri reali alle comunità, riconoscendo ulteriori margini di autonomia e responsabilità decisionale.
La scelta di procedere con l'abolizione delle Province è stata giustificata dall'esigenza di eliminare i costi della politica, confondendo quelli necessari alla democrazia per garantire rappresentanza, partecipazione, trasparenza, con quelli dell'apparato dei partiti che pesano anche sulla spesa pubblica delle istituzioni. Va notato che questa strategia di eliminare livelli di governo elettivo del territorio si inserisce nella più generale visione politica di semplificazione istituzionale. La recente proposta di modifica della Costituzione con la soppressione del Senato, respinta dall'esito del referendum, rispecchia tale visione perseguendo l'idea che le decisioni in politica devono essere prese in tempi rapidi e vada eliminato tutto quello che ostacola o rallenta tale assunto. Alcuni intendono la globalizzazione come un processo sempre più verticale in cui pochi detengono le leve del potere, perchè così le decisioni sono rapide, e i sostenitori di tale processo oramai si contano anche tra i politici locali, ai quali sono d'ostacolo i confronti, i livelli di governo articolati e distribuiti nel territorio, la partecipazione e il decentramento dei poteri, la presenza di interessi particolari democraticamente rappresentati, la responsabilità non delegata e attiva.
La riforma delle Autonomie Locali persegue in pieno questa visione, eliminando l'Ente elettivo Provincia, concentrando funzioni importanti al livello regionale, per poi trasferirle ad Agenzie costituite appositamente e sottraendo così la loro gestione ad un organismo elettivo, e altresì i Comuni sono sottoposti ad un ridimensionamento della loro autonomia decisionale posto che i servizi prima gestiti in primis da ogni singolo Ente, ora con le UTI, devono sottostare ad una collegialità decisionale che non è detto interpreti le volontà dei cittadini rappresentati dal sindaco cooptato nell'organismo nuovo.. La vera sfida che la Regione dovrebbe invece sostenere sulla riforma delle Autonomie locali è come conciliare l'esigenza della trasparenza amministrativa, la rappresentanza dei territori, il decentramento dei poteri sulla base del principio di sussidiarietà, la crescita della responsabilità dei cittadini sui beni pubblici e in particolare dei loro rappresentanti negli Enti elettivi e di secondo grado, un ridimensionamento del numero dei Comuni, promuovendo l'accorpamento degli stessi su una soglia minima di 5000 abitanti, una nuova governance dell'Area Vasta che consenta di strutturare i territori sulla base socioeconomica degli stessi, sull'identità e vocazione storica, ponendo fine ad un disequilibrio che la Regione ha scontato fin dalla sua formazione.
L'accorpamento di più Comuni per originare uno nuovo, operazione che si scontra con il senso di appartenenza dei singoli abitanti, può essere affrontato non solo con l'incentivo finanziario ma soprattutto con opportune garanzie rappresentative e di partecipazione democratica e quindi con il necessario trasferimento di poteri reali alle comunità, riconoscendo ulteriori margini di autonomia e responsabilità decisionale.
utilissimo l'accorpamento di comuni con soglia di popolazione minima 3-5000
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