lunedì 5 febbraio 2018

FRANKOPAN E' IL CUGINO DI PARAG KHANNA ?


Ipotesi di un nuovo mondo. Di solito le vicende dell’Asia centrale, «dalle coste orientali del Mediterraneo e dal Mar Nero sino all’Himalaya, viene liquidata in due righe nei testi scolastici», avverte Frankopan. «Eppure in quell’area sono ascesi e caduti imperi, si è praticata la tolleranza, ci si è scambiati merci e idee».

Nelle oltre 700 pagine di Le Vie della Seta (Mondadori) il docente di Studi Bizantini e advisor politico (più volte ospite a Davos) sostiene che una nuova Via della Seta, finanziata da petrodollari e risorse energetiche,
sta già rinascendo, mentre l’occidente è prossimo al collasso. Siamo all’inizio di una rivoluzione culturale. Quanto peseranno stavolta le religioni nello scontro di civiltà fra oriente e occidente?

Abbiamo sbagliato tutto. La civiltà giudaico-cristiana non è il centro della terra. Il progresso dell’Occidente non discende dagli antichi romani. Marco Polo non ha scoperto la Cina. E l’asse dello sviluppo umano è situato all’incirca in Persia, nell’odierno Iran. Come rifare le carte geografiche: potrebbe essere un titolo alternativo per Le vie della seta, il bestseller del 46enne storico di Oxford Peter Frankopan, in traduzione in 50 paesi (in Italia è uscito per Mondadori).



Una sfida a riflettere, in quello che sembra il secolo cinese, dopo quelli americano (il XX) e britannico (il XIX). L’autore, soprannominato “la rockstar della storia” dal Times, talvolta si presenta come principe, in quanto erede di un’aristocratica famiglia di origine croata (non priva di controversie, avendo assunto il cognome attuale, derivato dall’italiano Frangipane, solo nel 2000). Non è tutto: vanta una sorella imparentata con i Windsor (ha sposato il figlio del duca del Kent, cugino della regina Elisabetta), ed è proprietario insieme alla moglie di una catena di boutique hotel di lusso. Insomma: il personaggio è straordinario. Vale la pena ascoltarlo.
Da dove ha preso l’idea per il libro? 

«Da bambino, tutte le sere sentivo dalla tv notizie sulla minaccia dell’Urss, le guerre in Medio Oriente, la rivoluzione in Iran, il genocidio in Cambogia, il conflitto del Vietnam. E non capivo perché a scuola non mi insegnassero niente su questi paesi, ma parlassero solo di re e regine inglesi e di quello che era importante per il nostro continente. Quando studiai Alessandro il Grande rimasi scioccato: non voleva conquistare l’Europa, voleva andare a est. Così iniziai a interessarmi alle relazioni fra cristianità, Islam, mondo slavo, nomadi dell’Asia centrale. Ebbi una cattedra in Studi bizantini a Oxford. Per cui scrivere Le vie della seta è stato il culmine di decenni di studio e ricerca».
Facciamo un passo indietro nel tempo: fu Marco Polo a scoprire la Cina? 

«Molti ne sono convinti. Ma sappiamo di ambasciate tra Roma e Cina di mille anni prima. Scrittori dell’impero e della dinastia Han erano consapevoli gli uni degli altri due millenni or sono. Il ruolo di Marco Polo è stato romanticizzato. Da duemila anni merci e genti attraversano l’Asia dal Pacifico al Mediterraneo».
Un passo avanti, ora: il libro trascura l’era dei grandi navigatori, da Cristoforo Colombo a Sir Francis Drake… 

«Non sono d’accordo. Do molta importanza all’età delle navigazioni, ma dal punto di vista geografico e scientifico. Mi sforzo di spiegare quanto imprese e progressi fossero collegati alle vie della seta e agli scambi fra Europa e Oriente. Non a caso Colombo attraversò l’Atlantico cercando una via verso i mercati di Cina e India. E i più grandi medici e scienziati erano a Samarcanda e Damasco».
Secondo la storia che ci insegnano a scuola, il potere del mondo viaggia temporalmente da est a ovest: l’Egitto dei faraoni, l’impero romano, quello britannico, l’America, ora la Cina. Prossima fermata, l’Iran? 

«Non sono un indovino. Mi limito a interpretare il presente. Certo, oggi assistiamo a un’enorme crescita economica e di ambizioni geopolitiche in Cina, India, Arabia Saudita, Iran e Turchia. Dimostrano un dinamismo che pare mancare a Europa e Usa, potenze in declino che dominarono i due secoli precedenti».
È l’ora dell’Asia. E l’ovest? 

«La lezione del libro è che, nei periodi di crescita, non ci sono mai stati muri invalicabili: le potenze occidentali hanno guardato sempre a est e a sud. L’effetto deleterio è stato la colonizzazione, ma anche quella segnalava la necessità di dialogo con altre culture. Qualcosa di simile accadrà oggi. I grandi cinesi e indiani che investono a Londra, in Europa, in America, come facevano i giapponesi già negli anni ’80 del XX secolo, lo confermano».
Da colonizzatori a colonizzati? 

«Il potere economico gira. Ma in un mondo globalizzato, non è più possibile che una regione sfrutti e impoverisca un’altra, si deve puntare a vantaggi reciproci. Le vie della seta non sono a senso unico, ma doppio: qualcosa viaggia in una direzione, qualcosa nell’opposta».
Obiezione alla sua tesi è che le vie della seta hanno avuto lunghi secoli bui. 

«Hanno creato imperi. Inclusa Roma: Plinio si lamentava dei soldi spesi per finanziare i commerci con Persia e India. Più recentemente, Olanda e Portogallo hanno costruito molto in Africa e Asia, l’India era il gioiello britannico, la Russia si è ingrandita espandendosi nell’Asia centrale. Le vie della seta non hanno mai smesso di essere importanti».
Le mappe del mondo a cui siamo abituati, con Europa e Usa al centro della parte superiore, e il resto di lato o di sotto, sono da rifare? 

«Se avesse posto la domanda ai cartografi medievali, la risposta sarebbe stata sì. Per loro, il centro delle carte era sempre Gerusalemme. Ma dipende spesso dal paese in cui vengono disegnate: in Asia centrale, una delle mie preferite pone al centro Balasahgun, una città oscura alla maggior parte del mondo. Comunque, le mappe cambiano. Cent’anni fa Strasburgo era in Germania, non in Francia; Kaliningrad in Germania, non in Russia; Slovenia, Croazia e Bielorussia facevano parte di altre nazioni. Da rifare non sono le mappe, ma il modo di interpretarle».
Lei è davvero aristocratico? 

«Sono orgoglioso della storia della mia famiglia. Ma ho più interesse per la mia vita che per i miei antenati».
E cosa c’entra il mestiere di albergatore con quello di docente a Oxford? 

«Non ci sono confini tra le diverse parti di me: mi diverto in tutti i ruoli. Dirigere un business mi ha insegnato a ottenere il meglio dalle persone, affrontare il bene e il male, individuare talenti e opportunità. A vedere le cose in un contesto più ampio. Questioni importanti ovunque e sempre, dalle tribù nomadi della Mongolia fino all’impero persiano».


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