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SOLE 24 ORE TRIESTE IL PORTO CAMBIA IDENTITA’
Così Trieste rinasce con il suo porto.
«Cambiata l’identità»
l porto è un luogo
bellissimo ma non è quello da cui si trae il maggior valore. Il valore si fa
con l’attività logistica e la manipolazione delle merci. Il mio sogno è portare
lo scalo di Trieste fuori dalla competizione tradizionale, ad esempio quella
sulla movimentazione dei container, alla quale comunque partecipiamo. Stiamo
cercando di crearci un nostro oceano per dare tranquillità sia al porto che ai
lavoratori».
Le parole di Zeno
D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico
orientale (che comprende le banchine di Trieste e Monfalcone e la futura
integrazione di Porto Nogaro), riassumono efficacemente la strada
intrapresa
dal manager ed esperto di logistica per portare lo scalo giuliano a diventare
uno dei porti italiani in maggiore crescita. Un percorso che passa attraverso
lo sviluppo dell’intermodalità, con un sempre maggiore utilizzo della ferrovia,
e dei punti franchi, ovvero zone dell’area portuale triestina dove si può
operare, e fare attività industriali, in regime extradoganale.
Il punto franco
In questo l’Authority è stata favorita dal decreto
attuativo (368/2017) del Governo, che ha riconosciuto alla stessa Adsp il ruolo
di gestore unico del regime di porto franco di Trieste.
Un passo che consente
all’ex scalo asburgico di giostrarsi, tra l’altro, parte dei 700mila metri
quadrati del porto vecchio, che sono stati sdemanializzati ma (grazie a una
norma della Finanziaria 2015) restano, come spazio di zona franca, in capo
all’Adsp e possono essere spostati, purché all’interno della provincia di
Trieste. Ciò in parte sta già avvenendo. Su questo versante, infatti, c’è un
progetto di ampio respiro che sta suscitando molta attenzione a livello
imprenditoriale. Il gruppo Wärtsilä, leader nella costruzione di grandi motori
diesel sia per navi che per centrali, è in procinto di cedere , entro l’anno,
una parte della sua fabbrica triestina (la più grande in Europa del settore)
all’Interporto Trieste Fernetti.
Si tratta di due capannoni per complessivi
76mila metri quadrati coperti più un piazzale da 150mila metri quadrati.
Un’operazione da 20 milioni, spiega Giacomo Borruso, presidente
dell’interporto. «L’area – prosegue - è distante 12 chilometri da Fernetti ma è
collegata con autostrada e ferrovia». Inoltre l’Adsp, che è il deus ex machina
dell’operazione, sposterà in quella zona una parte del punto franco del porto
vecchio sdemanializzato. «Questo consentirà di collocare nell’area – chiarisce
Borruso – lavorazioni industriali». Lo spazio ha suscitato l’interesse
dell’industria siderurgica veneta nonché di aziende del settore del legno,
della chimica e vinicole.
Anche Gianluigi Aponte, patron del gruppo Msc (che
opera con i container al Molo VII di Trieste) ha visitato l’area, interessato
all’handling delle merci. Inoltre il primo cliente del nuovo interporto franco
potrebbe essere lo stesso gruppo finlandese. «Stiamo efficentando la fabbrica e
vendere una parte di capannoni, che non utilizziamo più, all’interporto – dice
Guido Barbazza, al vertice di Wärtsilä Italia – ci è parsa la soluzione
migliore, sia per la città che per noi stessi. Perché è evidente che avere un
punto franco door to door ci rafforza».
TRIESTE NELLA TOP 20 EUROPEA
Dati in migliaia di tonnellate (Fonte: Eurostat 2015)
Le merci
Oggi Trieste è il primo
porto italiano quanto a tonnellaggio (seguito da Genova) con 59,2 milioni di
tonnellate di merci movimentate nel 2016 (+3,7% sul 2015) e 40,2 milioni tra
gennaio e agosto 2017 (+2,8% rispetto allo stesso periodo del 2016). La
previsione è che si raggiungano, entro fine anno, i 61 milioni. Ma è anche il
primo scalo della penisola quanto a traffico ferroviario (tallonato da La
Spezia), con 7.631 treni operati nel 2016 (+27,61%) e 5.537 tra gennaio e
agosto di quest’anno (+14,61%).
Treni, tra l’altro, che sono collegati
direttamente col il centro e l’Est dell’Europa. Per quanto riguarda i
container, nel 2016 ne sono stati spostati 486mila (-2,94% sul 2015) ma a fine
2017 ne sono attesi 610mila. Nel far salire il tonnellaggio triestino, gioca
certamente un ruolo fondamentale il terminal della Siot, che è il porto
petrolifero numero uno del Mediterraneo e immette nelle pipeline verso
l’Austria, la Germania e la Repubblica Ceca 41,2 milioni di tonnellate di
greggio l’anno. Coprendo così il 90% del fabbisogno di petrolio austriaco, il
100% di quello di Baviera e Baden-Württemberg (pari al 40% del fabbisogno
tedesco) nonché il 50% di quello ceco.
Uno dei punti di forza del
porto di Trieste, peraltro, è il traffico merci provenienti dalle navi Ro-ro.
Questo è distribuito in due aree: quella occupata da Samer, che comprende anche
il Molo V col suo terminal frutta, e il Molo VI, gestito dalla Emt. Entrambe le
realtà si sono sviluppate negli ultimi anni, grazie ai commerci con la Turchia.
Samer Seaports è partecipata al 40% dal gruppo Samer e al 60% dalla turca Ro-ro
Istanbul; Emt è per il 65% dell’operatore turco Ekol, per il 18,3% della
storica famiglia di spedizionieri Parisi, e per il 16,7% di Friulia, finanziaria
della Regione. Samer movimenta circa il 4 0% del traffico che arriva in
banchina sutreno e il resto su treno, mentre Emt muove il 75% del traffico via
ferro.
La Parisi, poi, con la
società Plt (partecipata anche da Interporto Bologna), ha vinto la gara
d’appalto per la realizzazione della nuova piattaforma multipurpose del porto
di Trieste. Un’opera da 132 milioni, 30 dei quali investiti dai privati, che è
un punto focale dello sviluppo futuro del porto. La consegna è prevista nel
2019 e il terminal potrà giovarsi anche della sinergia con l’adiacente scalo
legnami che gli assicurerà un secondo ormeggio. La Parisi infatti (insieme alla
famiglia Petrucco) ha acquisito la maggioranza di Gtp, che gestisce la banchina
legnami.
Le ferrovie
«Il problema di un porto –
afferma Francesco Parisi, alla guida del gruppo omonimo – non sono le banchine
ma le connessioni. Trieste ne ha di buone ma è partito con lentezza per una
ritardata individuazione di una gestione competitiva delle ferrovie. Ora stiamo
recuperando».
E proprio su un sempre maggiore sviluppo della ferrovia punta
l’Adsp. «I binari che servono il porto – afferma Giuseppe Casini, alla guida di
Adriafer, la società di manovre ferroviarie dello scalo - sono sufficientemente
lunghi per i treni di oggi ma c’è un progetto di investimenti da 80 milioni,
nel piano regolatore ferroviario condiviso tra Rfi (che partecipa con 50
milioni) e l’Adsp (che impegna 30 milioni), che permetterà di ottimizzare la
rete anche con tecnologie innovative». Attualmente Trieste opera con treni
blocco da 550 metri di lunghezza. Ma l’obiettivo è di arrivare allo standard
europeo, che prevede treni da 750 metri.
NOTA DI FAQTRIESTE : Il SOLE 24 ORE ha dedicato una intera pagina al Porto di Trieste e il ritratto del porto risulta ben delineato se letto nell'ottica esposta all'inizio dell'articolo dalle parole del presidente D'Agostino.
Ben sapendo che si tratta di un articolo e non di un saggio breve non possiamo pretendere che venga ricostruita con completezza di notizie tutta l'evoluzione della vicenda che parte dal lontano dopoguerra.
Certo che un riferimento alla specialità del Porto franco Internazionale di Trieste poteva essere inserita all'interno dell'articolo. La città di Trieste non è stata favorita dal decreto attuativo per un caso fortuito, il provvedimento era dovuto da almeno trentacinque anni di ritardo. Ritardo che lungo tutti questi anni è stato alimentato dall'opposizione di diversi soggetti tra i quali sicuramente i porti italiani concorrenti.
Ci rendiamo conto che ricostruire i vari passaggi non può essere facile per il SOLE 24 ORE se neanche a Trieste è stata prodotta una versione univoca e condivisa. Ad esempio nell'articolo il giornalista cita una norma della Finanziaria del 2015 che altro non è che l'emendamento Russo. Ora continuano ad coesistere almeno due scuole di pensiero in città su questo passaggio burocratico. I sostenitori dell'emendamento affermano che grazie allo stesso è ora possibile uno sviluppo e un insediamento in quelle aree del " Portovecchio". L'altra versione sostiene che da sempre era possibile allargare i Punti Franchi del Porto e che quindi sono state scelte politiche e di smantellamento ( vedi binari ) a determinare l'abbandono delle aree. E aggiungono che la sdemanializzazione di una parte delle aree con conseguente passaggio della proprietà al Comune comporterà un aggravio dei costi e si risolverà in un nuovo periodo di immobilismo.
NOTA DI FAQTRIESTE : Nella ricostruzione del SOLE 24 ORE sono assenti due protagonisti della rivoluzione portuale a Trieste : i lavoratori portuali e il rinnovato indipendentismo triestino.
Non è in discussione il ruolo importante svolto dai portuali triestini nell'intera vicenda se lo verifichiamo alla luce dei fatti che possiamo riassumere nella costituzione della Agenzia del Lavoro Portuale.
Le diverse interpretazioni politiche e partitiche non hanno ancora permesso una reale valutazione dell'impatto di alcune manifestazioni indipendentiste triestine nell'accelerazione di provvedimenti "discutibili" come l'emendamento Russo e "fondamentali" come il decreto attuativo dell'Allegato VIII.
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