sabato 15 luglio 2017

LO SPETTRO DELLE ZONE FRANCHE SI AGGIRA PER I PORTI ITALIANI



Zone franche uno spettro tutto da ridere


ROMA – Si potrebbe esordire, visto che un pò di brividi con questo caldo infame sarebbero benedetti, che c’è uno spettro che si aggira intorno ai sistemi portuali italiani: lo spettro delle “zone franche”, che improvvisamente tutti tornano ad evocare. E a pretendere.

Nei tempi andati, ci sono state “campagne” simili, addirittura più dirompenti, ricordo quelle per l’autonomia funzionale, ai tempi del ministro Prandini ma non solo. Adesso le zone “franche” – o punti franchi come qualcuno li chiama – sono tornate ad agitare i sonni di grandezza di svariati porti perché Trieste s’è vista “riaprire” la sua, benedetta dal ministro Delrio e dalla “governatora” Serracchiani. Perché dunque Trieste si e tutti gli altri no?



La risposta naturalmente c’è ed ha radici nella storia. Mi faceva notare qualche giorno fa un amico che se ne intende come a Trieste sia stato semplicemente riattivato uno “Status” che era stato istituito subito dopo la restituzione della zona triestina all’Italia, finita la seconda guerra mondiale e scongiurata la minaccia di Tito. Alle ragioni storiche, si sono aggiunte una politica intelligente dell’abbinata Zeno D’Agostino – Mario Sommariva: che puntando tutto sull’internazionalizzazione del porto, sul sostegno di operatori che hanno investito e continuano a farlo, e sullo sviluppo della “cura del ferro”, hanno dimostrato come la “zona franca” non rappresenti per Trieste un privilegio, bensì una chance per l’intero sistema portuale nazionale.

Qualcuno potrebbe obiettare – e me l’aspetto – che anche altri porti nel lontano passato avevano un “Status” di area franca: la Livorno dei Medici per esempio, quando il granducato di Toscana ne aveva fatto un “porto aperto”, dove saraceni e cavalieri di Santo Stefano ormeggiavano fianco a fianco salvo poi prendersi a cannonate fuori dalla Meloria. Altre storie, che non serve rievocare. Livorno, con il suo “sistema” portuale allargato a Piombino e con l’Interporto Vespucci alle spalle, ha ben altre chances da coltivare: prima di tutte quella di completare i collegamenti ferroviari veloci cargo tra i due porti e il nodo di Firenze, per fiondare i treni blocco verso il nord e il Brennero assai prima che sia realizzato il passante di Genova. E da quello che filtra attraverso palazzo Rosciano – di rimbalzo dal tavolo romano di Ivano Russo – sembra logico che Livorno e Piombino puntino sull’Interporto Vespucci non tanto come retroporto puro – che rischia di configurare rotture di carico – quanto come area da insediamenti manufatturieri legati all’export. Ci sono gli spazi, ci sono – o ci saranno presto – i servizi, vanno sviluppati i raccordi ferroviari più rapidi: ma la destinazione, anche solo orecchiando la cabina di regìa romana che Stefano Corsini segue passo per passo, sembra decisa. Forse se ne parlerà già nel “tavolo” fissato per il 27 a Roma con Regione, sistema portuale, armatori e imprenditori. Aspettiamo di sapere.

Antonio Fulvi

1 commento:

  1. "restituita" ma quando mai? in amministrazione dal 1954.
    "riattivato" ma se la politica italiana e locale ha dall'immediato dopoguerra sempre lavorato e propagandato contro Trieste, il Porto Libero di Trieste e il suo Territorio.
    Tra l'altro Agenzia delle entrate e gdf cosa ci vanno a fare in un Punto Franco Internazionale in violazione di quanto previsto dall'art 3 punto 2 dell'Allegato VIII "The establishment of special zones in the Free Port under the exclusive jurisdiction of any
    State is incompatible with the status of the Free Territory and of the Free Port."?
    ultima domanda "Territorio politico" è una finzione, perché la prendete per vera?

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