Zone franche uno spettro tutto da ridere
ROMA – Si potrebbe esordire, visto che un pò di brividi
con questo caldo infame sarebbero benedetti, che c’è uno spettro che si aggira
intorno ai sistemi portuali italiani: lo spettro delle “zone franche”, che
improvvisamente tutti tornano ad evocare. E a pretendere.
Nei tempi andati, ci sono state “campagne” simili,
addirittura più dirompenti, ricordo quelle per l’autonomia funzionale, ai tempi
del ministro Prandini ma non solo. Adesso le zone “franche” – o punti franchi
come qualcuno li chiama – sono tornate ad agitare i sonni di grandezza di svariati
porti perché Trieste s’è vista “riaprire” la sua, benedetta dal ministro Delrio
e dalla “governatora” Serracchiani. Perché dunque Trieste si e tutti gli altri
no?
La risposta naturalmente c’è ed ha radici nella storia.
Mi faceva notare qualche giorno fa un amico che se ne intende come a Trieste
sia stato semplicemente riattivato uno “Status” che era stato istituito subito
dopo la restituzione della zona triestina all’Italia, finita la seconda guerra
mondiale e scongiurata la minaccia di Tito. Alle ragioni storiche, si sono
aggiunte una politica intelligente dell’abbinata Zeno D’Agostino – Mario
Sommariva: che puntando tutto sull’internazionalizzazione del porto, sul
sostegno di operatori che hanno investito e continuano a farlo, e sullo
sviluppo della “cura del ferro”, hanno dimostrato come la “zona franca” non
rappresenti per Trieste un privilegio, bensì una chance per l’intero sistema
portuale nazionale.
Qualcuno potrebbe obiettare – e me l’aspetto – che anche
altri porti nel lontano passato avevano un “Status” di area franca: la Livorno
dei Medici per esempio, quando il granducato di Toscana ne aveva fatto un
“porto aperto”, dove saraceni e cavalieri di Santo Stefano ormeggiavano fianco
a fianco salvo poi prendersi a cannonate fuori dalla Meloria. Altre storie, che
non serve rievocare. Livorno, con il suo “sistema” portuale allargato a
Piombino e con l’Interporto Vespucci alle spalle, ha ben altre chances da
coltivare: prima di tutte quella di completare i collegamenti ferroviari veloci
cargo tra i due porti e il nodo di Firenze, per fiondare i treni blocco verso
il nord e il Brennero assai prima che sia realizzato il passante di Genova. E
da quello che filtra attraverso palazzo Rosciano – di rimbalzo dal tavolo
romano di Ivano Russo – sembra logico che Livorno e Piombino puntino
sull’Interporto Vespucci non tanto come retroporto puro – che rischia di
configurare rotture di carico – quanto come area da insediamenti manufatturieri
legati all’export. Ci sono gli spazi, ci sono – o ci saranno presto – i servizi,
vanno sviluppati i raccordi ferroviari più rapidi: ma la destinazione, anche
solo orecchiando la cabina di regìa romana che Stefano Corsini segue passo per
passo, sembra decisa. Forse se ne parlerà già nel “tavolo” fissato per il 27 a
Roma con Regione, sistema portuale, armatori e imprenditori. Aspettiamo di
sapere.
Antonio Fulvi
"restituita" ma quando mai? in amministrazione dal 1954.
RispondiElimina"riattivato" ma se la politica italiana e locale ha dall'immediato dopoguerra sempre lavorato e propagandato contro Trieste, il Porto Libero di Trieste e il suo Territorio.
Tra l'altro Agenzia delle entrate e gdf cosa ci vanno a fare in un Punto Franco Internazionale in violazione di quanto previsto dall'art 3 punto 2 dell'Allegato VIII "The establishment of special zones in the Free Port under the exclusive jurisdiction of any
State is incompatible with the status of the Free Territory and of the Free Port."?
ultima domanda "Territorio politico" è una finzione, perché la prendete per vera?