giovedì 6 aprile 2017

1. IL MODELLO DI INVESTIMENTO CINESE ALL'ESTERO

1. IL MODELLO DI INVESTIMENTO CINESE ALL'ESTERO 




Innanzitutto ricordando che sono tre le esigenze del sistema Cina verso l’estero nell’ultimo ventennio sono state tre: l’esportazione della costruzione di infrastrutture, di merci e di capitali, nelle dimensioni tali da soddisfare soggetti che crescevano in un contesto di gigantismo economico e finanziario. Naturalmente, l’elemento indispensabile per le prime due necessità, espresse dal sistema Cina, era la movimentazione di capitali.  Potremmo dire che il modello espresso nel mondo infrastrutturale è stato “vendere merci cinesi tramite capitali o intermediari cinesi” e tra le merci qui ci stanno anche i servizi finanziari oltre che fornitura di infrastrutture. 

Mentre per le merci fisiche la logica è sempre stata quella di tenere bassa la moneta nazionale (anche a costo di creare bolle finanziarie). Una logica comunque di sistema che, dal dopoguerra, ha fatto ad esempio la fortuna di paesi come la Germania (senza le bolle esportate però, intelligentemente, altrove dalla Spagna alla Grecia agli stessi Usa). Una logica, quella della penetrazione delle infrastrutture cinesi con capitali di Pechino, che si è espressa in Africa come negli Stati Uniti. In questo schema c’è però una novità. E quando si parla di costruzione di infrastrutture e di sinergie portuali non è una novità da poco. Riguarda proprio la movimentazione di capitali, la precondizione di ogni movimento infrastrutturale. 
Negli ultimi mesi si è infatti materializzata la restrizione, da parte del governo di Pechino dei movimenti di capitali verso l’estero visto anche, ma non solo, il timore che anche il timido rialzo dei tassi di interesse Usa possa far fuggire i capitali americani in luogo, aumentare l’indebitamento del paese (espresso in dollari) e provocare una fuga generalizzata dei capitali cinesi verso gli Stati Uniti o l’Europa. Le misure prese dal governo cinese devono esser ben chiare a chi si occupa di infrastrutture: in base alle nuove regole introdotte a partire dall’inizio del 2017, sono previsti controlli più ferrei sui movimenti di capitali da parte delle banche, in particolare, gli istituti di credito di Shanghai devono importare renminbi, la valuta cinese, in eguale misura all’ammontare delle esportazioni. Ancora più vincolanti i limiti per le banche di Pechino, che dovranno, a quanto si apprende da stampa specializzata, fare rientrare cento renminbi per ogni ottanta che i clienti intendono portare all’estero, garantendo un forte afflusso netto di capitali. 
Non è quindi in caso che il rappresentante di China Railway si è presentato non tanto con la banca cinese dell’Export-import, il colosso bancario che solo nel 2010 ha firmato e finanziato progetti fuori dalla Cina per oltre cento miliardi di euro, ma con un attore finanziario che opera con fondi offshore (come da descrizione di stampa locale). Significa che eventualmente la sinergia, per l’operazione Darsena Europa, è tra China Railway e un attore di fund-raising viste le restrizioni finanziarie presenti per l’investimento diretto da Pechino. Ma, anche qui, si fa presto a dire un attore quando si tratta di fund-raising. Prima di tutto perché vanno raccolti fondi fuori dalla Cina e trasferiti verso l’Italia con un veicolo finanziario adatto (la vicenda Milan è un esempio di quanto siano difficili operazioni del genere e quanto possano lievitare i costi finanziari del fund-raising). 
Poi perché l’eventuale presenza di un attore cinese nel finanziamento deve seguire una procedura politica (è la parla giusta) riassumibile in questo schema http://www.lexology.com/library/detail.aspx?g=8e5dfc40-ba4d-4975-bfff-68cc14414306  (redatto tra l’altro poche settimane prima del periodo delle restrizioni) .

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