I cinesi e l’off shore. Opportunità e rischio dipendenza
L’aggiudicazione a una
cordata italo-cinese del porto off-shore apre una partita che si presenta a
doppio taglio: gli investimenti rappresentano la opportunità, mentre il rischio
è la dipendenza da un sistema che ha fatto del dumping sociale ed economico il
veicolo di penetrazione nei mercati mondiali. Quando i cinesi investono in
infrastrutture arrivano anche uomini e materiali propri. Se dopo la gara sul
progetto anche la gara sull’appalto finisse ai cinesi sarà questo lo scenario
di riferimento
A gruppo italo-cinese 4C3 il
progetto offshore del Porto di
Venezia
Proprio nel giorno in cui la
Camera approva il nome del nuovo presidente del porto di Venezia, Giuseppe
Musolino, un gruppo italo cinese si vede assegnata la progettazione del
terminal off shore di Venezia, messo a gara dal presidente uscente Paolo Costa.
Un’opera stimata vicina ai
due miliardi di euro che nasce in continuità con le opere del Mose e comporta
l’affondamento in un fondale marino di 20 metri, antistante il litorale
veneziano, di una intera collina di massi provenienti dalla vicina Istria. Qui
dovrebbero poggiare le maxi gru destinate a scaricare la nuova generazione di
navi giganti provenienti dalla Cina e dal Sud Est asiatico che si candida a
rimanere ancora a lungo la “fabbrica del mondo”, sperimentando la nuova
strategia di risalire i mercati europei dal versante sud del corridoio
Adriatico.
Sul tema
gigantismo-portualità si gioca infatti una grossa sfida che le compagnie navali
e le banche che ne finanziano le flotte lanciano ai porti del mondo. Chi adegua
fondali, terminal e collegamenti interni farà parte del grande gioco, gli altri
ne saranno esclusi. In pratica: mettiamo i porti in competizione tra loro e poi
decideremo dove sarà più redditizio sbarcare.
Una sfida giocata sul filo
di rendimenti decrescenti nei noli marittimi e dei costi unitari per container
(Teu) manipolato, che finora ha fatto vittime illustri tra le compagnie – la
coreana Hanjin fallita – e alcune banche finanziatrici tedesche da salvare.
Su questo scenario va letta
la tensione creatasi tra Venezia e Trieste nel candidarsi a divenire il
terminal adriatico della “Via della seta”, uno slogan creato dalla nuova
leadership cinese per sviluppare una strategia euro-asiatica dello sviluppo,
dopo che gli USA hanno posto i paletti sul lato del Pacifico all’espansionismo
cinese che manifesta chiare mire egemoniche di lungo periodo sulla leadership
economica mondiale.
Trieste dispone di fondali a
18 metri che Venezia non avrà mai per il fatto che le opere del Mose hanno
fissato a 12 metri la soglia di accesso per la difesa della laguna. Di qui la
idea di fuoriuscita del terminal in mare con un sistema di navette che fanno
spola con gli accosti lagunari di Porto Marghera, di cui si dice che non
graveranno sui costi di trasbordo con oneri aggiuntivi.
Volendo quantificare, la
sfida adriatica ai porti dell’Europa del Nord consiste nel portare da 3 a 6
milioni i Teu dell’intero Adriatico che corrispondono con la stessa percentuale
ai 100 milioni/anno di Teu manipolati dai porti di tuttaEuropa. Una proposta
che stimola le aspettative complessive dei porti adriatici, assieme a Fiume,
Koper e Ravenna, tranne per il fatto che nessuno intende delegare all’off shore
veneziano il compito di provvedere agli sbarchi. Ognuno intende provvedere in
proprio.
Sullo sfondo una riforma
nazionale dei porti che non è riuscita a collocare la competizione
Venezia-Trieste nel quadro di cooperazione italiana nell’Alto Adriatico.

Ai cinesi interessa stabilire
partnership oltremare che aiutino a smaltire la sovra capacità produttiva
domestica avviando, con la strategia del cofinanziamento di infrastrutture,
legami permanenti, se non egemoni, con i sistemi industriali dei paesi
coinvolti, nella fattispecie l’Italia e l’Europa.
La partita si presenta a doppio taglio: gli
investimenti rappresentano la opportunità, mentre il rischio è la dipendenza da
un sistema che ha fatto del dumping sociale ed economico il veicolo di
penetrazione nei mercati mondiali.
Quando i cinesi investono in
infrastrutture, al seguito dei finanziamenti arrivano anche uomini e materiali
propri. Se dopo la gara sul progetto anche la gara sull’appalto finisse ai
cinesi sarà questo lo scenario di riferimento.
All’atto del suo
insediamento il futuro presidente del porto di Venezia si troverà dunque
l’eredità di uno scenario che include la rielaborazione di un Piano regolatore
obsoleto, con oltre mezzo secolo di vita, un progetto di off shore in cantiere,
il nuovo approdo atteso della croceristica Grandi navi. Il tutto nel contesto
di una laguna su cui l’Unesco ha aperto una verifica di congruità delle misure
di tutela di un sito protetto.
Questa è quanto l’agenda
portuale veneziana presenta al nuovo presidente che dovrà usare esperienza ed energia
per tenere insieme i pezzi manifestando autonomia.
Franco Migliorini
Giovedì 2 Febbraio 2017
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaVenezia e Trieste due distinte vocazioni Emporiali.
RispondiEliminaPurtroppo ormai da troppo tempo nel nostro Paese in merito a vocazioni Emporiali dei singoli Territori e finanziamenti da elargire per realizzare le opere, si ha la netta sensazione che questi non sono temi tenuti i debita considerazione dai nostri Politici, poiché sembra interessi più la tutela del consenso Elettorale, uno degli esempi eclatanti forse potrebbe essere anche l'operazione "Offshore Veneziano" ed a tal proposito penso che per contrastare la realizzazione dell'opinabile opera ci sia soltanto una soluzione realmente percorribile, bisogna finalmente ed umilmente rendersi conto che l'attuale assetto infrastrutturale della Portualità dell'Alto Adriatico non ci consente di poter sfruttare appieno, le 4.000 miglia di vantaggio nei confronti degli Scali Nordici, la Strategicità della Regione F.V.G., i profondi fondali presenti sulle Banchine dello Scalo Triestino, e tantomeno le notevoli potenzialità del Corridoi Baltico Adriatico, e che quindi per captare una significativa quota dei Traffici in transito nel Mediterraneo bisogna pianificare una serie di corposi investimenti non più a pioggia come avveniva in passato e che non risolvevano i problemi di nessuno, ma mirati per realizzare alcune infrastrutture che per dimensioni e potenzialità possano almeno in parte realmente assomigliare a quanto hanno fatto e stanno facendo gli Amministratori delle Portualità del Nord Europa.
In tema di esigenza di rilancio della Portualità Adriatica, credo che la razionalità suggerebbe che per incrementare alcune tipologie di Traffici che richiedono fondali elevati come le merci containerizzate, sarebbe il caso di puntare esclusivamente "sul Golfo di Trieste" dove i profondi fondali e peraltro anche opportunamente protetti da tre Dighe Foranee ci sono già, ma se gli Amministratori della Regione F.V.G. e dello Scalo per varie ragioni non saranno in grado di generare adeguati consensi o di stipulare accordi sia a livello Nazionali che Internazionali con Armatori Terminalisti Investitori, per poter attrarre sufficienti risorse che ci consentano di pianificare e cantierizzare un corposo ammodernamento delle Infrastrutture dello Scalo Triestino, per adeguarle a quelle che sono le attuali notevoli esigenze dei flussi merceologici, sarà molto arduo poter vanificare o bloccare la pur discutibile iniziativa Veneziana e per noi rimarrà pure soltanto un semplice miraggio anche l'eventualità di poter assumere in futuro un significativo ruolo tra i Hub Mediterranei di riferimento per "le Future Vie della Seta".
Brunello Zanitti Giuliano http://sceltemancate.trieste.it