lunedì 6 febbraio 2017

OFFSHORE VENEZIA IN TRE POST: TERZA MOSSA ...

IL COMMENTO DI MIGLIORINI ...

I cinesi e l’off shore.  Opportunità e rischio dipendenza

L’aggiudicazione a una cordata italo-cinese del porto off-shore apre una partita che si presenta a doppio taglio: gli investimenti rappresentano la opportunità, mentre il rischio è la dipendenza da un sistema che ha fatto del dumping sociale ed economico il veicolo di penetrazione nei mercati mondiali. Quando i cinesi investono in infrastrutture arrivano anche uomini e materiali propri. Se dopo la gara sul progetto anche la gara sull’appalto finisse ai cinesi sarà questo lo scenario di riferimento


  
A gruppo italo-cinese 4C3 il progetto offshore del Porto di 

Venezia

Proprio nel giorno in cui la Camera approva il nome del nuovo presidente del porto di Venezia, Giuseppe Musolino, un gruppo italo cinese si vede assegnata la progettazione del terminal off shore di Venezia, messo a gara dal presidente uscente Paolo Costa.

Un’opera stimata vicina ai due miliardi di euro che nasce in continuità con le opere del Mose e comporta l’affondamento in un fondale marino di 20 metri, antistante il litorale veneziano, di una intera collina di massi provenienti dalla vicina Istria. Qui dovrebbero poggiare le maxi gru destinate a scaricare la nuova generazione di navi giganti provenienti dalla Cina e dal Sud Est asiatico che si candida a rimanere ancora a lungo la “fabbrica del mondo”, sperimentando la nuova strategia di risalire i mercati europei dal versante sud del corridoio Adriatico.


Sul tema gigantismo-portualità si gioca infatti una grossa sfida che le compagnie navali e le banche che ne finanziano le flotte lanciano ai porti del mondo. Chi adegua fondali, terminal e collegamenti interni farà parte del grande gioco, gli altri ne saranno esclusi. In pratica: mettiamo i porti in competizione tra loro e poi decideremo dove sarà più redditizio sbarcare.
Una sfida giocata sul filo di rendimenti decrescenti nei noli marittimi e dei costi unitari per container (Teu) manipolato, che finora ha fatto vittime illustri tra le compagnie – la coreana Hanjin fallita – e alcune banche finanziatrici tedesche da salvare.

Su questo scenario va letta la tensione creatasi tra Venezia e Trieste nel candidarsi a divenire il terminal adriatico della “Via della seta”, uno slogan creato dalla nuova leadership cinese per sviluppare una strategia euro-asiatica dello sviluppo, dopo che gli USA hanno posto i paletti sul lato del Pacifico all’espansionismo cinese che manifesta chiare mire egemoniche di lungo periodo sulla leadership economica mondiale.

Trieste dispone di fondali a 18 metri che Venezia non avrà mai per il fatto che le opere del Mose hanno fissato a 12 metri la soglia di accesso per la difesa della laguna. Di qui la idea di fuoriuscita del terminal in mare con un sistema di navette che fanno spola con gli accosti lagunari di Porto Marghera, di cui si dice che non graveranno sui costi di trasbordo con oneri aggiuntivi.

Volendo quantificare, la sfida adriatica ai porti dell’Europa del Nord consiste nel portare da 3 a 6 milioni i Teu dell’intero Adriatico che corrispondono con la stessa percentuale ai 100 milioni/anno di Teu manipolati dai porti di tuttaEuropa. Una proposta che stimola le aspettative complessive dei porti adriatici, assieme a Fiume, Koper e Ravenna, tranne per il fatto che nessuno intende delegare all’off shore veneziano il compito di provvedere agli sbarchi. Ognuno intende provvedere in proprio.

Sullo sfondo una riforma nazionale dei porti che non è riuscita a collocare la competizione Venezia-Trieste nel quadro di cooperazione italiana nell’Alto Adriatico.

Se la questione riguardasse solo la rivalità tra i porti potremmo alla fine anche dire che si resta nel solco della tradizione. Ma il tutto si inserisce in una logica geopolitica assai più vasta.



Ai cinesi interessa stabilire partnership oltremare che aiutino a smaltire la sovra capacità produttiva domestica avviando, con la strategia del cofinanziamento di infrastrutture, legami permanenti, se non egemoni, con i sistemi industriali dei paesi coinvolti, nella fattispecie l’Italia e l’Europa.

La partita si presenta a doppio taglio: gli investimenti rappresentano la opportunità, mentre il rischio è la dipendenza da un sistema che ha fatto del dumping sociale ed economico il veicolo di penetrazione nei mercati mondiali.
Quando i cinesi investono in infrastrutture, al seguito dei finanziamenti arrivano anche uomini e materiali propri. Se dopo la gara sul progetto anche la gara sull’appalto finisse ai cinesi sarà questo lo scenario di riferimento.

All’atto del suo insediamento il futuro presidente del porto di Venezia si troverà dunque l’eredità di uno scenario che include la rielaborazione di un Piano regolatore obsoleto, con oltre mezzo secolo di vita, un progetto di off shore in cantiere, il nuovo approdo atteso della croceristica Grandi navi. Il tutto nel contesto di una laguna su cui l’Unesco ha aperto una verifica di congruità delle misure di tutela di un sito protetto.


Questa è quanto l’agenda portuale veneziana presenta al nuovo presidente che dovrà usare esperienza ed energia per tenere insieme i pezzi manifestando autonomia.

Franco Migliorini
Giovedì 2 Febbraio 2017  

2 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  2. Venezia e Trieste due distinte vocazioni Emporiali.

    Purtroppo ormai da troppo tempo nel nostro Paese in merito a vocazioni Emporiali dei singoli Territori e finanziamenti da elargire per realizzare le opere, si ha la netta sensazione che questi non sono temi tenuti i debita considerazione dai nostri Politici, poiché sembra interessi più la tutela del consenso Elettorale, uno degli esempi eclatanti forse potrebbe essere anche l'operazione "Offshore Veneziano" ed a tal proposito penso che per contrastare la realizzazione dell'opinabile opera ci sia soltanto una soluzione realmente percorribile, bisogna finalmente ed umilmente rendersi conto che l'attuale assetto infrastrutturale della Portualità dell'Alto Adriatico non ci consente di poter sfruttare appieno, le 4.000 miglia di vantaggio nei confronti degli Scali Nordici, la Strategicità della Regione F.V.G., i profondi fondali presenti sulle Banchine dello Scalo Triestino, e tantomeno le notevoli potenzialità del Corridoi Baltico Adriatico, e che quindi per captare una significativa quota dei Traffici in transito nel Mediterraneo bisogna pianificare una serie di corposi investimenti non più a pioggia come avveniva in passato e che non risolvevano i problemi di nessuno, ma mirati per realizzare alcune infrastrutture che per dimensioni e potenzialità possano almeno in parte realmente assomigliare a quanto hanno fatto e stanno facendo gli Amministratori delle Portualità del Nord Europa.

    In tema di esigenza di rilancio della Portualità Adriatica, credo che la razionalità suggerebbe che per incrementare alcune tipologie di Traffici che richiedono fondali elevati come le merci containerizzate, sarebbe il caso di puntare esclusivamente "sul Golfo di Trieste" dove i profondi fondali e peraltro anche opportunamente protetti da tre Dighe Foranee ci sono già, ma se gli Amministratori della Regione F.V.G. e dello Scalo per varie ragioni non saranno in grado di generare adeguati consensi o di stipulare accordi sia a livello Nazionali che Internazionali con Armatori Terminalisti Investitori, per poter attrarre sufficienti risorse che ci consentano di pianificare e cantierizzare un corposo ammodernamento delle Infrastrutture dello Scalo Triestino, per adeguarle a quelle che sono le attuali notevoli esigenze dei flussi merceologici, sarà molto arduo poter vanificare o bloccare la pur discutibile iniziativa Veneziana e per noi rimarrà pure soltanto un semplice miraggio anche l'eventualità di poter assumere in futuro un significativo ruolo tra i Hub Mediterranei di riferimento per "le Future Vie della Seta".

    Brunello Zanitti Giuliano http://sceltemancate.trieste.it

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