giovedì 29 dicembre 2016

BOTTO 2016 FERRIERA INTERVENTO DELLA MAGISTRATURA E SITUAZIONE SIDERURGIA

La notizia del nuovo intervento della magistratura sulla questione ferriera l'abbiamo trattata in un post precedente.  (clicca qui)

Quello che vi proponiamo oggi è un articolo di Repubblica sulla siderurgia italiana che fotografa la situazione nazionale.



VAI ALL'ARTICOLO DI REPUBBLICA SULLA SIDERURGIA


Dopo l'Ilva, la seconda puntata del viaggio nell'acciaio italiano. Persa la partita su quantità e costi con Cina e India, Arvedi e Thyssen hanno reagito. Restano invece le incognite su Taranto e Piombino



CREMONA - Emerge all'improvviso come una cattedrale dal grigio indistinto di nebbia, terra e sparuti alberi della campagna cremonese. Una cattedrale nel
deserto si sarebbe detto nel gergo degli anni dell'industrializzazione italiana. Ma quelle guglie e quei capannoni giganteschi, sovrastati da colonne di fumo dello stesso colore del cielo, in realtà sono la frontiera più avanzata della siderurgia europea, la scommessa che l'ottantenne cavalier Arvedi - un uomo che "mangia pane e acciaio" come riconoscono gli stessi sindacati - ha giocato sul tavolo della grande industria. "Vede, quella è la musica della macchina..." dice Andrea Bianchi, capo dei processi tecnologici della fabbrica, indicando sullo schermo la linea delle frequenze del laminatoio.

La "macchina" è al di là del vetro: 180 metri di ingranaggi e nastri trasportatori lungo i quali l'acciaio liquido, un magma ipnotizzante, si trasforma in argentati coils. Un processo che dura appena cinque minuti: "Abbiamo inventato tutto qui a Cremona e i brevetti ora sono in giro per il mondo", spiega ancora Bianchi mentre insieme ad un operaio controlla eventuali difetti della lamina. 

Quei 180 metri sono la misura di una rivoluzione nella siderurgia, considerando che lo stesso processo all'Ilva di Taranto, ad esempio, si sviluppa per oltre un chilometro. Certo, sono impianti non paragonabili: perché Taranto vive di ciclo integrato e grandi altoforni, acciaio più "puro" dunque, mentre Cremona alimenta i suoi forni elettrici con i rottami. E poi le dimensioni produttive: qui 3,5 milioni di tonnellate annue e 1600 addetti tra operai e impiegati, all'Ilva circa 6 milioni di tonnellate (ed erano il doppio negli anni d'oro) e oltre 11mila dipendenti.

Però la sopravvivenza dell'acciaio italiano, quindi dell'anima dell'industria manifatturiera del Paese, dipende ormai dall'innovazione tecnologica più che dal gigantismo. Così come la tenuta ambientale e la sicurezza sul lavoro. E poi la distanza tra Taranto e Cremona tra breve potrebbe essere azzerata, qualora fosse la cordata di Arvedi ad aggiudicarsi la ri-privatizzazione dell'Ilva. Acquisizione che peraltro rappresenterebbe un rafforzamento dello stesso gruppo cremonese, non dotato di una grandissima capacità finanziaria. "Non è solo questione di processi produttivi - spiega Carlo Mapelli, docente di meccanica al Politecnico di Milano - il futuro della siderurgia si gioca anche sull'innovazione dei prodotti. L'acciaio magnetico, per dire, o quello ad elevata resistenza impiegati nello sviluppo dell'auto elettrica, nell'aerospazio, nelle turbine, negli impianti eolici, nelle strutture petrolifere. Fino agli anni Novanta l'Italia era all'avanguardia tecnologica, dopo abbiamo ceduto questa leadership ad altri Paesi. Il ritardo non è incolmabile, ma serve fare presto prima che cinesi e indiani diventino competitivi anche sulla qualità oltre che su quantità e costi".

Una rincorsa possibile se guardata da Cremona. Ma l'acciaio italiano, con i suoi trentamila posti di lavoro complessivi, è anche il silenzio inquietante della ex-Lucchini di Piombino, con oltre duemila operai in attesa di conoscere il proprio destino: lo stabilimento è praticamente fermo, gli addetti svolgono il poco lavoro in regime di solidarietà, e tutto è nelle mani dell'imprenditore algerino Issad Rebrab, un impero nell'agroindustria e negli elettrodomestici ma esperienza quasi nulla nella siderurgia. Si presentò a Piombino, nel 2014, annunciando un piano industriale da un miliardo di euro, con il rilancio dell'acciaieria e una diversificazione nell'agroindustriale e nella logistica: il progetto, fin qui sostenuto anche dal governo italiano, è rimasto però al palo e se Rebrab non metterà soldi sul tavolo in breve tempo, guadagnandosi così il sostegno delle banche, per Piombino si spalancherà una stagione drammatica. Questione di settimane. Fase complicata anche per le aziende del bresciano, la patria del tondino e un tempo "impero" Lucchini. Le imprese del territorio sono sane, ma c'è una sovrapproduzione del tondo per cemento armato dovuta alla crisi dell'edilizia nazionale, senza che la contropartita delle esportazioni (soprattutto quelle verso i Paesi africani) garantisca in prospettiva una tenuta.

Più a sud, alla Thyssen di Terni, la "capitale" siderurgica degli acciai speciali, sembrerebbe finalmente ritrovato un certo equilibrio dopo gli anni delle tensioni sociali. Addirittura si ricomincia a parlare di assunzioni, ma resta l'incognita delle strategie del gruppo tedesco che, non è escluso, potrebbero allontanarlo dall'acciaio. "Negli anni più difficili della crisi - avverte Rosario Rappa, della segreteria generale Fiom - il lavoro nella siderurgia italiana ha tenuto grazie agli ammortizzatori sociali. Da gennaio finirà l'epoca della mobilità e anche l'accesso alla cassa integrazione sarà più complicato. Insomma, resteremo senza rete di protezione davanti a casi come l'Ilva, che rappresenta il 50% dell'intero settore, o Piombino ".


Un allarme che il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, ridimensiona. Ma non troppo: "Ci sono segnali di tenuta e anche per il nuovo anno prevediamo una cauta ripresa della produzione. Siamo comunque a 24 milioni di tonnellate complessive, ben lontani dagli oltre 30 del 2007, ultimo anno prima di questa infinita recessione. Molto dipenderà dalle misure europee antidumping contro la Cina e, naturalmente, dal destino dell'Ilva. 

Se noi produttori europei vogliamo ancora uno spazio sul mercato, dobbiamo spostarci da un concetto di acciaio come commodity alla frontiera dei prodotti con più know how". "Le difficoltà aziendali e occupazionali di questi anni - spiega Mapelli - hanno ritagliato sulla siderurgia italiana un'immagine di crisi perenne. Ma in realtà siamo ancora i secondi produttori europei dopo la Germania e abbiamo davanti margini di crescita. Un esempio? L'industria agroalimentare consuma 800mila tonnellate all'anno di latta stagnata, ma le acciaierie nazionali ne forniscono soltanto 90mila tonnellate". L'ennesima contraddizione di un Paese in perenne attesa di una vera politica industriale.

NOTA DI FAQ TRIESTE : Sono uscite due puntate del viaggio nella siderurgia italiana su La Repubblica in cui Trieste e la sua Ferriera di Servola non sono state menzionate. Ci sarà Trieste nella terza puntata ?

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