lunedì 19 settembre 2016

DILEMMA DEI PORTI - 6 CONCLUSIONI

 Conclusioni

Ovviamente se fossi in grado di sciogliere il dilemma, come si dice, non sarei qui. Queste note vogliono solo essere un ragionamento aperto in un dibattito che spesso diventa fuorviante fra chi propone grandi scenari futuri e chi, invece, appare rinunciatario e sostanzialmente “ conservatore”. 

Per non rischiare soltanto la “descrizione” di fenomeni, peraltro ampiamente conosciuti dagli addetti ai lavori, voglio sbilanciarmi nell’individuare alcuni temi che ritengo prioritari nella fase attuale, avvertendo che non si tratta di novità o di conigli usciti dal cappello ma semplicemente alcune considerazioni di “ buon senso”, all’interno del complesso scenario generale che ho provato a tratteggiare. 

Di seguito dunque alcune parole chiave che io riterrei comunque utili:

Programmazione: è un metodo che va ritrovato,con urgenza. La sovraccapacità dei terminal è un dato acclarato, nello stesso tempo
vi è il rischio che, senza gli opportuni adeguamenti, le attuali infrastrutture risultino ancora di più sottoutilizzate perché non in grado di tenere testa all’evoluzione “ media” della flotta. 

Diciamo l’opzione 8000 teu, almeno per i porti gateway. Bisogna dunque pensare ad una rete fatta di hub di transhipment, porti gateway e porti feeder. Ciascuna tipologia di porto ha esigenze infrastrutturali diverse. Gli investimenti e le pianificazioni dovrebbero essere pensati in funzione del mantenimento “ efficiente” di tale funzione.  

Non c’è nulla di male ad essere un buon porto feeder. Non dunque un mero ampliamento dell’offerta quanto la capacità di mantenere in efficienza l’offerta esistente. Questo potrà, in alcuni casi, significare anche “ grandi opere” e in altri casi “ piccole opere”. E’necessario cessare di muoversi in ordine sparso e ritrovare un “ centro regolatore “ che non può che essere il Ministero delle Infrastrutture. La scarsità di risorse pubbliche obbliga ad una programmazione seria che faccia i conti con lo scenario di crisi e nel contempo colga tutte le possibilità di sviluppo.

Project financing: nessuno può negare a privati, una volta che una progettazione sia conforme alla pianificazione del porto e del territorio, la facoltà di effettuare investimenti in infrastrutture, anche, come è stato previsto, con opportune agevolazioni fiscali per l’investitore. Il punto è un altro. 

Non è possibile continuare con un sistema per il quale il “ project” lo mette il privato, mentre il “  financing ” lo mette il pubblico. Se c’è un capitale di rischio è anche possibile una scelta di ampliamento dell’offerta di terminal container, se ciò risponde ad una scelta dell’investitore e ad una sua valutazione di mercato. 

Ciò che è inammissibile è che con i soldi pubblici si costruiscano infrastrutture inutili ovvero finalizzate ad alterare la concorrenza. A quel punto ha davvero ragione l’UE a chiedere trasparenza finanziaria nei porti.

Ferrovie: indeciso se indicare come parola “ chiave” “sistema dei trasporti” ovvero “ferrovie”. C’è in Italia un crollo del trasporto merci ferroviario. Occorre che tale aspetto venga assunto come questione strategica. In Italia non c’è un problema di rete. L’Alta Velocità ha rappresentato, indubbiamente un grande balzo in avanti, ma questo va completato con il rilancio del trasporto merci ferroviario a partire dai porti. Il problema è di effettiva liberalizzazione e di “ incentivi “ all’uso del ferro. Le due cose debbono andare insieme. Senza un rilancio della ferrovia, a partire dai porti, ogni altro discorso sulla competizione con l’Europa è semplicemente ridicolo. Trenitalia ha dimostrato di avere a cuore il mercato dei passeggeri. 

Merci e passeggeri nel mercato ferroviario sono totalmente diversi. Per questo si deve promuovere l’apertura del mercato a nuovi soggetti e ciò deve essere oggetto di azioni legislative volte a promuovere il trasporto ferroviario per le merci, magari aiutando le imprese di autotrasporto e di logistica ad affacciarsi in un nuovo mercato. Detto questo esiste anche il tema del “sistema dei trasporti”, riassunto nella ormai abusata locuzione di “collo di bottiglia”. Anche la pianificazione che punti a collegare rete e infrastrutture “ puntuali” ( porti, aeroporti ed interporti ) appare indispensabile.

Riforma : In questo caso la parola chiave poteva essere “ autonomia”. L’autonomia dei porti è un bene strategico. 

Riferita alle Autorità Portuali non vuole affatto sancire, per esse, la possibilità di fare ciò che si vuole. Anzi, come ho detto prima, riferendomi alla pianificazione infrastrutturale, è lo Stato che deve guidare le scelte strategiche e di sistema. Autonomia vuole dire invece capacità e tempestività di agire, flessibilità e autogoverno. Il primo Ente Porto, quello di Genova, costituito nel 1903, era così autonomo da avere addirittura una propria giurisdizione. Questa prerogativa fu giudicata incostituzionale solo nel 1975. 

Ora, tutti ricordiamo l’oscura fase finale della vita del CAP come Ente elefantiaco e produttore di debiti senza fine, dovremmo però ricordare anche come, proprio attraverso la sua autonomia, l’Ente svolse una funzione propulsiva straordinaria, nel pieno della rivoluzione industriale, per dare impulso al porto di Genova nei primi del ‘900. E’quello spirito di autonomia, proprio di tutti gli enti di gestione del mondo, a parte la Grecia, che dovrebbe essere ristabilita. 

Anche in questo contesto penso sia utile un poco di sano buon senso. Ha preso corpo uno strano dibattito tra chi vorrebbe un “ riformetta” e chi invece vuole una “ riformona” o meglio “ una vera riforma”. Questo dibattito ha addirittura spaccato il Parlamento per cui il Senato sarebbe per la riformetta e la Camera per la riformona. La motivazione che ha dato spessore a questo dibattito è stata l’adozione da parte della commissione di un Regolamento, relativo all’accesso al mercato dei servizi portuali ed  alla trasparenza finanziaria che, a detta dei sostenitori della “vera riforma”, sarebbe ostativa ad interventi minimi sulla legge 84/94 in grado tuttavia, di aiutare la soluzione di alcuni problemi contingenti. 

Io resterei francamente ancorato ad un detto popolare che diceva “ piuttosto che niente meglio piuttosto”. E’chiaro che il regolamento propone, sulle materie nelle quali interviene, novità importanti e tuttavia, occorre dire che anche un entrata in vigore, domani mattina  non scioglierebbe alcuni nodi che è comunque necessario affrontare come l’autonomia finanziaria, la definizione del profilo giuridico delle Autorità Portuali, l’assetto delle stesse in un contesto di sistema, il coordinamento dell’attuale legislazione con il Codice della Navigazione, l’ammodernamento delle procedure demaniali, gli aspetti contrattuali del personale e la tenuta del contratto unico dei porti e molti altri ancora. Vi sono almeno due aspetti che rendono particolarmente incomprensibile la posizione di alcuni che, addirittura, vorrebbero anticipare l’applicazione in Italia del Regolamento, prima della conclusione dell’iter del Parlamento Europeo: 1) il fatto che il regolamento è direttamente applicabile nei soli porti della rete TEN-T e questo, per come è fatto materialmente il sistema portuale italiano,comporta seri problemi applicativi. Avremmo porti vicini e simili, con due diverse modalità di accesso al mercato dei servizi e diverse regole di trasparenza finanziaria; 2) in particolare per i servizi tecnico-nautici occorre intervenire sul Codice della Navigazione e sul coordinamento delle competenze fra Autorità portuale e marittima. In questo senso uno strumento di recepimento, ancorché il regolamento si applichi direttamente, si profila indispensabile. Il Regolamento poi, come sappiamo, esclude le attività di movimentazione delle merci ed i servizi ai passeggeri, rimandando il tema all’approvazione della Direttiva concessioni. Si può capire, tuttavia in Italia nemmeno abbiamo il regolamento ex.art.18, per cui sulla materia, che qualche importanza nei porti ce l’ha, continueremo a navigare a vista. In secondo luogo, e capisco che per chi è abituato a volare alto possono sembrare bazzecole, con il regolamento si esclude il deposito delle merci dall’ambito di applicazione. In Italia è operazione portuale con ciò che ne consegue. Che cosa si farà ? Analogamente, i “ servizi di supporto ai passeggeri” sono considerati servizi di interesse generale. Come si deve leggere tale definizione alla luce dell’esclusione dei “ servizi passeggeri” ( tout court ) dal regolamento ? Una novità assoluta, peraltro è l’inserimento dei dragaggi nei servizi portuali, anche in questo caso in Italia ci potrebbero essere novità. Tutte le domande irrisolte e le questioni aperte consiglierebbero da un lato di affrontare le questioni urgenti e dall’altro di impostare una discussione organica sulla riforma alla luce delle novità comunitarie ma anche e soprattutto alla luce dell’esigenza di vedere nei porti e nell’economia marittima una priorità nazionale.

Lavoro: l’occupazione è vero problema cruciale della nostra epoca. L’attività portuale è un’attività “labour intesive” ricca di professionalità specifiche includendo in senso più ampio anche le professioni marinare. Il “cluster” marittimo-portuale e le organizzazioni sindacali hanno da tempo proposto misure di sostegno alle imprese ed al lavoro che andrebbero raccolte da parte del Governo. Per i porti la pace sociale, fondata sulla qualità delle relazioni sindacali, sulla regolarità dei rinnovi contrattuali e sul metodo del dialogo e della concertazione è un bene primario. La fase alta dello sviluppo dei porti italiani è stata anche una fase alta di dialogo sociale. Se non si comprende che le risorse umane sono il bene primario da tutelare non solo si farà poca strada ma si aprirà la via ad una involuzione del settore per cui, ogni ricerca di maggior efficienza e di sviluppo sarà destinato al fallimento.

Qualità: in questo caso, la parola chiave poteva essere “ innovazione”. Da tempo mi trovo a dire che ritengo finita la fase “ quantitativa “ dello sviluppo mentre ritengo si debba perseguire l’idea di una fase “qualitativa” della crescita economica. In questo contesto l’innovazione tecnologica, la formazione delle risorse umane, le misure di tutela ambientale,  giocano un ruolo cruciale. Occorre allora mettere molta energia in tutte quelle iniziative: la costruzione dei Port Community System, lo sportello unico doganale, lo sportello unico delle informazioni marittime, tutte le buone pratiche di amministrazione digitale che possono consentire un reale balzo in avanti della qualità organizzativa della nostra portualità. 

L’innovazione è la carta vincente della competitività e può fare recuperare nell’immediato, velocizzando controlli e pratiche amministrative, molti traffici ai nostri porti. Altro elemento chiave è la formazione. La qualità delle risorse umane fa la differenza. Strategico è investire in innovazione e formazione per la sicurezza, del lavoro e del trasporto. 

I fatti di Genova ed ancor prima la vicenda Concordia hanno mostrato un sistema fragile di fronte anche all’errore umano. La fragilità del sistema va combattuta perché genera scarsa competitività e diseconomie oltre a mettere ovviamente in pericolo le vite umane che sono il bene primario. Stessa attenzione deve essere posta alla tutela dell’ambiente ed alla ricerca di tutte le soluzioni che riducono i fattori nocivi, inquinanti e di spreco energetico.

Siamo in una fase politica e sociale molto oscura. Rabbia inconcludente e rassegnazione sono le due facce della stessa medaglia. Sono convinto che questa crisi, se come e quando passerà, ci lascerà  un mondo molto diverso dal passato. Anche noi saremo diversi. Ciò che non a cui non possiamo e dobbiamo rinunciare è a combattere per costruire il futuro, a dare un senso a questo mondo per le future generazioni. Anche noi, sul “fronte del porto”, dobbiamo  combattere questa battaglia.


                                   Mario Sommariva

luglio 2013 all'epoca Segretario Generale Autorità portuale del Levante – Bari, Monopoli e Barletta  

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