Crisi, gigantismo navale,
grandi e piccole opere:
crescere senza fare la fine del rospo.
L’economia in crisi senza la
politica
Le riflessioni che seguono,
cercheranno di mettere a fuoco alcuni temi, peraltro non nuovi, con i quali i
porti italiani si devono misurare in questi tempi difficili.
Come sosteneva
acutamente qualche osservatore, segnatamente M. Maresca su un blog di settore,
di fronte alla grave crisi che
attanaglia l’economia mondiale, compreso ovviamente lo shipping, ci si
trova di fronte a due correnti di pensiero:
da un lato i fautori della necessità di crescita infrastrutturale,
spinti soprattutto dalla presa d’atto della perdurante tendenza al gigantismo
navale e dall’altro i sostenitori del mero adeguamento delle
infrastrutture, i “fans” dell’ultimo
miglio e delle piccole opere.
I due corni del dilemma sono dunque, da una parte,
il rischio dell’”overcapacity” e dall’altro quello dell’esclusione dalle rotte
dei giganti del mare. In mezzo, a mio avviso, c’è la latitanza della politica.
Questa crisi vede, a livello “macro”, l’incapacità, in particolare dell’Europa
di imboccare, con una svolta di politica economica, la strada del rilancio dei
consumi e dei mercati interni e dall’altro la totale inadeguatezza delle
istituzioni internazionali a porre regole e freni agli eccessi speculativi dei
mercati finanziari che sono all’origine
della crisi generale e che continuano come e forse peggio di prima.
Altro elemento dal quale si rileva la carenza di un “governo” sovranazionale
dell’economia marittima è l’assenza di una seria politica antitrust, indispensabile,
dati i fenomeni indicibili di concentrazione ai quali stiamo assistendo
impotenti.
A livello nazionale,
l’assenza della politica si manifesta nell’incapacità di affrontare i dilemmi
della crisi con una seria programmazione ed una politica di settore che
individui alcuni interventi anticiclici in grado almeno di contenere gli
effetti più gravi della recessione.
A dire il vero, a mio avviso, c'è anche un terza corrente, forse elitaria (sqquole alte) e minoritaria ma comunque presente, quelli che: no grandi opere perché non servono ma anche no a grandi navi perché troppo impattanti e perchè non c'è più alcun tipo di ROI per gli investimenti pubblici richiesti in ambito portuale e perchè la marginalita' relativa .... Insomma, pipponi terrificanti per dire che se si buttano soldi in opere pubbliche portualigeneral mente INUTILI, poi non ce ne saranno per rimettere in piedi le scuole di Amatrice (anche se in quella tragedia non si è voluto capire che il vero problema sono gli incentivi ai progettisti pubblici, da cessare IMMEDIATAMENTENTE) oppure l'asilo per mio nipote o l'ospizio per il mio nonnino.
RispondiEliminaMa sono anche quelli di, no ultimo miglio perché la ferrovia, specie in Italia (TS ed Alpe Adria escluse, naturalmente, che se non erro costa ai FVG people 5 milioni di euro l'anno, ad es di reddito di cittadinanza in meno) ha perso per KO durante il riscaldamento.
Sono pero' quelli che: gli investimenti vanno fatti DOVE SERVONO.
Ma chi lo decide dove?
Loro, appunto, gli autonominati (non ho voluto abusare, in periodo referendario,del termini ELETTI). Tali figuring, cui mi onore di appartenere in sede di ultima release decisionale come è per loro giusto che sia, si divideranno pure sul dove.
Au revoir
A dire il vero, a mio avviso, c'è anche un terza corrente, forse elitaria (sqquole alte) e minoritaria ma comunque presente, quelli che: no grandi opere perché non servono ma anche no a grandi navi perché troppo impattanti e perchè non c'è più alcun tipo di ROI per gli investimenti pubblici richiesti in ambito portuale e perchè la marginalita' relativa .... Insomma, pipponi terrificanti per dire che se si buttano soldi in opere pubbliche portualigeneral mente INUTILI, poi non ce ne saranno per rimettere in piedi le scuole di Amatrice (anche se in quella tragedia non si è voluto capire che il vero problema sono gli incentivi ai progettisti pubblici, da cessare IMMEDIATAMENTENTE) oppure l'asilo per mio nipote o l'ospizio per il mio nonnino.
RispondiEliminaMa sono anche quelli di, no ultimo miglio perché la ferrovia, specie in Italia (TS ed Alpe Adria escluse, naturalmente, che se non erro costa ai FVG people 5 milioni di euro l'anno, ad es di reddito di cittadinanza in meno) ha perso per KO durante il riscaldamento.
Sono pero' quelli che: gli investimenti vanno fatti DOVE SERVONO.
Ma chi lo decide dove?
Loro, appunto, gli autonominati (non ho voluto abusare, in periodo referendario,del termini ELETTI). Tali figuring, cui mi onore di appartenere in sede di ultima release decisionale come è per loro giusto che sia, si divideranno pure sul dove.
Au revoir