venerdì 15 luglio 2016

MA E' PROPRIO DI UN PORTO OFFSHORE CHE HA BISOGNO IL NORD ADRIATICO ?

Alla base della proposta della piattaforma d'altura ( offshore o VOOPS come preferite definirla ) ci sono due condizioni che i proponenti danno per indiscutibili. Un aumento esponenziale dei traffici e un conseguente aumento dell'impiego delle mega navi portacontainer. Abbiamo già in altre occasioni citato il libro di Paolo Costa e Maurizio Maresca sulla portualità italiana.





MA E' PROPRIO DI UN PORTO OFFSHORE CHE HA BISOGNO IL NORD ADRIATICO ?

L'export non tira più

La de-globalizzazione alle 

porte?

di Giancarlo Corò

Dal Rapporto ICE 2016, L'Italia nell'economia internazionale, presentato oggi a Milano, arrivano segnali di allarme sullo stato degli scambi commerciali. Nel 2015 il volume del commercio mondiale si è infatti contratto rispetto all'anno precedente (-13% in dollari correnti), riducendo perciò l'ammontare di quella componente di domanda alla quale negli ultimi anni si era aggrappata l'economia italiana e, più in generale, quella europea. Le esportazioni italiane
sono andare leggermente meglio della media mondiale, stabilizzando la quota nazionale sul commercio globale sul 2,8% (era il 4% negli anni '90).

Le importazioni sono comunque calate più delle esportazioni, migliorando perciò il nostro saldo commerciale: 45 miliardi di euro nel 2015, che diventano 80 escludendo dal calcolo la componente energetica. Tuttavia, anche questo dato va interpretato senza eccessivi entusiasmi. Innanzitutto perché già nei primi mesi del 2016 gli effetti del rallentamento globale si sono fatti sentire nelle nostre esportazioni, calate rispetto allo stesso mese di un anno fa. Ma anche perché non dobbiamo mai dimenticare che l'attivo commerciale comporta una contropartita in termini di perdita di investimenti interni, in quanto una componente del risparmio nazionale è costretta a finanziare i paesi in deficit di parte corrente.

In ogni caso, il calo dell'interscambio mondiale deve fare riflettere, in quanto colpisce fatalmente le aree più aperte agli scambi, fra cui il Nord Est, da cui origina un terzo dell'export italiano. Questo calo non arriva del tutto inaspettato. Da anni il rapporto fra variazioni del commercio e dinamica del Pil mondiale andava diminuendo: mentre negli anni '90 il Pil mondiale cresceva attorno al 3% all'anno, l'interscambio di beni e servizi cresceva invece su valori prossimi al 7%. Negli ultimi anni entrambe le variazioni si sono allineate sul valore di 2,5% e le tendenze non sembrano destinate a migliorare questo rapporto.

Siamo dunque di fronte ad un processo di de-globalizzazione? In realtà ci sono quattro fenomeni che hanno concorso a questo risultato. Innanzitutto alcune crisi geo-politiche – le sanzioni alla Russia, la guerra civile in Siria, i focolai di instabilità nel Medio oriente, in Africa e nel bacino mediterraneo – che hanno ostacolato lo sviluppo delle relazioni economiche internazionali. Poi il deprezzamento delle commodity energetiche e delle materie prime, che hanno avuto un effetto deflazionistico sugli scambi. 

Ma ci sono anche fenomeni di natura più strutturale, in particolare le politiche di sostituzione delle importazioni praticate dalle principali economie emergenti, a partire dalla Cina, e un modo sempre più integrato di produzione internazionale organizzato in catene globali del valore. Le imprese più internazionalizzate tendono infatti a segmentare la produzione in fasi distinte del processo produttivo, localizzando parte delle operations manifatturiere ma anche di servizio nei mercati di destinazione per rispondere sia a criteri di efficienza logistica, sia di vicinanza tecnica e culturale con gli utilizzatori, siano essi business o consumer.

Questi processi tendono dunque a ridurre gli scambi di merci fra Paesi, ma non rappresentano necessariamente una de-globalizzazione. Semmai, costituiscono un nuovo modo di essere nell'economia globale, con meno interscambio e più investimenti esteri. Un ruolo che per molte Pmi è tuttavia difficile da interpretare. Gli investimenti esteri sono infatti un costo fisso che richiede dimensioni adeguate e, in particolare, dotazioni di capitale umano e capacità manageriali che non si improvvisano. 

L'Italia, e anche il Nord Est, hanno molta strada da fare in questa direzione. Infatti, nel 2015 sia gli investimenti diretti esteri in uscita, sia quelli in entrata, si sono ridotti in termini relativi. Far crescere numero e dimensione multinazionale delle nostre imprese, assieme ad una più convinta ed efficace politica di attrazione delle multinazionali estere, dovrebbe dunque diventare una strategia fondamentale per adeguare la nostra economia alle nuove tendenze globali.

Tra i fattori di attrattività che il Rapporto ICE mette quest'anno in evidenza c'è in particolare il ruolo delle aree metropolitane. Diversamente da come si è sempre pensato, sono queste aree, più che i sistemi-paese, a svolgere una funzione chiave nelle strategie localizzative delle multinazionali. Vale anche per l'Italia, considerato che Milano e Roma concentrano da sole oltre metà di tutti gli addetti delle imprese estere presenti nel Paese. Anche questo, dunque, è un tema sul quale nel Nord Est sarebbe utile agire con più convinzione.


martedì 12 luglio 2016

Nel mese di giugno, le esportazioni sono diminuite del 4,8 per cento su anno, mentre le importazioni sono diminuite dell'8,4 per cento in termini di dollari statunitensi.












LE MEGANAVI E IL NORD 

EUROPA

Secondo dati Dynamar, presentati dall’analista senior e consulente nello shipping Dirk Visser all’ultimo evento TOC Container Supply Chain ad Amburgo, nel 2015 c’erano 21 servizi settimanali fra Asia e Nord Europa che impiegavano 229 nav con una capacità totale di 2,9m TEU, equivalent ad una misura media di nave pari a 12.700 TEU, offrendo 96 toccate, 10 delle quali sono doppie toccate.



Il confronto con quest’anno, ha detto Visser, riporta 17 partenze settimanali con 188 navi. La capacità totale è 2,73m TEU, il che fa schizzare la capacità media a 14.500 TEU per nave, mentre le toccate si sono ridotte a 82 a settimana, 9 delle quali sono doppie toccate.

Con volumi sostanzialmente piatti, questa transizione fa capire che la merce si sta concentrando su navi più grandi; questa tendenza viene descritta da Filip De Groote, responsabile trasporti Black & Decker per la regione EMEA (Europa, Middle East, Africa ndr.) come “un effetto che disturba i nostri approvvigionamenti a destinazione, dato che notiamo un maggiori numero di lotti in arrivo (allo stesso tempo ndr.)”.


Aggiunge: “Per noi Anversa è un porto molto importante; navi più grandi stanno creando congestione sulle banchine, ai varchi portuali e sulle strade attorno alla città – in prospettiva la situazione di Anversa è terribile”.

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