"Se dovessi dare un giudizio sul ballottaggio in base all'attuale
legge che disciplina la governance dei porti, direi che per la gestione del
porto vecchio e nuovo non fa un'enorme differenza se vince uno o l'altro
candidato.
Infatti attualmente l'organo di gestione dell'Autorità Portuale è il
comitato portuale in cui sono rappresentati la Capitaneria di Porto, tutti gli
enti locali, le rappresentanze sindacali e le associazioni di categoria; gli
atti che vengono sottoposti all'approvazione del comitato portuale devono
quindi avere un'ampia condivisione e ciascuna componente del mondo portuale può
portare il proprio contributo alla discussione.
Il voto del Sindaco o di un suo
delegato non conta di più di quelli degli altri consiglieri, pur essendo
politicamente molto pesante.
Ma la governance dei porti sta per essere
completamente riformata e l'attuale Governo vorrebbe concludere l'iter della
riforma entro metà luglio.

Con un comitato di gestione costituito da 5-7 membri, il voto del Sindaco di
Trieste è quindi infinitamente più pesante di quanto lo sia stato negli ultimi
22 anni.
E' fondamentale quindi che il Sindaco o il suo delegato siano molto informati
delle materie portuali e che non abbiano alcun interesse personale o politico
nel creare intralcio all'attività di gestione dell'Autorità Portuale.
In
tal senso, la conflittualità che ha contrassegnato - anche a causa della storia
infinita del Porto Vecchio - la coesistenza del porto e della città (un porto
ideato per un grande mercato centroeuropeo e una città di dimensioni sempre più
modeste e di vedute sempre più locali) potrebbe effettivamente paralizzare la
gestione dell'Autorità Portuale e frenare gli investimenti privati che
sono stati sbloccati dell'approvazione del Piano Regolatore
Portuale.
Servono persone esperte, equilibrate e disposte all'ascolto, non lunatiche, umorali e scollegate dalla comunità
portuale.
Abbiamo il grosso vantaggio di poter scegliere tra due sindaci,
dei quali abbiamo già potuto valutare l'operato in passato:
Cosolini
dà - a giudizio dello scrivente - una maggior garanzia di giunzione
fra gli interessi del porto e gli interessi della città, che non si è potuta
riscontrare né nei dieci anni di governo cittadino di Di Piazza, né nelle sue
dichiarazioni programmatiche nel corso dell'attuale campagna elettorale.
A voler documentare con lucidità le vicende del recente passato può
essere utile l’articolo “ Un intesa per il porto “ che riportiamo di seguito . L'articolo * è del 2008 e mette sul
tappeto - va dato atto al redattore prof. Gabriele Pastrello - tutte le dinamiche
sottostanti ad una città-porto imballata, che sembra essersi rimessa
in moto solo dopo l' "emendamento Russo" nella legge di
stabilità 2015: alleanze fra i porti di Trieste, Venezia e Capodistria;
governance ed uso del regime di porto franco; funzione retroportuale del
terminal di Fernetti; rapporto con l'Agenzia delle Dogane.
Chi dei due sfidanti
alla poltrona di sindaco può dire realmente di aver sbloccato questa situazione
?"
Un'intesa per il porto
di Gabriele
Pastrello
Ma Trieste vuole davvero
il rilancio del porto?
Per più di cinquant’anni questo è stato, più che un progetto, un miraggio. Ne ostacolavano la realizzazione, innanzitutto, le condizioni geopolitiche. Poi, la rivoluzione dei trasporti mondiali aveva deviato il traffico verso i porti del Nord. I porti italiani, appesantiti dalle rigidità, avevano perso terreno, e Trieste più degli altri. E, come si è visto nell’ultimo decennio, non basta ridurre il costo del lavoro per far tornare i traffici.
Per più di cinquant’anni questo è stato, più che un progetto, un miraggio. Ne ostacolavano la realizzazione, innanzitutto, le condizioni geopolitiche. Poi, la rivoluzione dei trasporti mondiali aveva deviato il traffico verso i porti del Nord. I porti italiani, appesantiti dalle rigidità, avevano perso terreno, e Trieste più degli altri. E, come si è visto nell’ultimo decennio, non basta ridurre il costo del lavoro per far tornare i traffici.

L'Expo avrebbe potuto
esserla, ma non è arrivata. Ogni progetto urbanistico in Portovecchio deve fare
i conti con questo limite di finanziamento ultimo. Quest’idea era stata energicamente
contrastata dai fautori del rilancio portuale integrale di Portovecchio. Ma
anche quel recupero dell’area incontrava, allora, molti limiti. Alcuni,
generali, sono stati già menzionati. Lo stesso asserito vantaggio competitivo
del regime di Punti franchi era in realtà più aleatorio di quanto si
sostenesse, come dimostra il fatto che solo adesso una prima intesa tra
Autorità portuale e Dogane apre la strada ad una sua regolamentazione, a
disposizione degli operatori.
Inoltre, se gli
investimenti di recupero urbanistico sono ingenti, lo sarebbero stati anche
quelli per il recupero portuale e, nei decenni passati, è arduo sostenere che
ci fosse una folla di investitori con progetti seri, e mezzi pronti. Poi è
successo il miracolo del ritorno delle rondini. I traffici sono tornati nel
Mediterraneo perché lo sviluppo nel Lontano Oriente è esploso, perché i porti
del Nord si sono intasati, e perché Europa dell’Est e Russia si sono rimesse in
moto, e possono assorbire merci, e venderci beni ed energia.
Si è aperta una storia
nuova, anche se le discussioni sembrano quelle vecchie. È parso che la città ne
prendesse atto, e volesse cogliere questa opportunità.
Ma, come capita in
questi casi, l’avvicinarsi della realizzazione fa venire i nodi al pettine. I nodi
sono il rapporto, competitivo o cooperativo, con Capodistria, la scelta tra usi
alternativi di Portovecchio e il, connesso, stato giuridico dei Punti franchi.
Il sindaco Dipiazza prima, il neo-presidente della Regione Tondo poi, sono
andati a Lubiana.
Questo dà il segno del
cambiamento da quando un primo tentativo di cooperazione con Luka Koper si
interruppe, anni fa. Oggi, imprese italiane lavorano a Capodistria, e imprese
slovene a Monfalcone. La Slovenia ha accettato di entrare nell’Euroregione, spingendo
per la realizzazione della cruciale ferrovia Trieste-Capodistria, che prima
frenava. È vero che ci sono preoccupazioni per l’intraprendenza slovena. Ma la
risposta, in un campo come quello dei traffici, mondiale, dovrebbe essere
innalzare la propria efficienza.
Il rischio che si corre,
alla lunga, è di essere comunque condannati alla marginalità. La prospettiva
della cooperazione è alla base anche dell’idea di trasformare l’autoporto di
Fernetti in retroporto integrato, insieme a quello di Sesana, di ambedue i
porti. Il progetto è collegato con gli altri due nodi: l’uso di Porto vecchio e
il suo stato giuridico. Il trasferimento di parte del Punto franco dal Porto
vecchio, infatti, dovrebbe coordinarsi con i diversi usi dell’area previsti
nella Variante al piano regolatore di Porto vecchio, approvata dalle
istituzioni competenti.
Resta un problema: come
dare agli investitori nel retroporto l’assicurazione di una stabilità di lungo
periodo delle decisioni. Una proposta, osteggiata da membri dell’attuale
proprietà, è il trasferimento di parte della proprietà dell’autoporto
all’Autorità portuale. Resta comunque vero che, se ci sarà la volontà di dare
quella garanzia, una soluzione giuridica si troverà. Analogamente si può dire
della discussione sull’uso, o riuso, di Porto vecchio. La variante menzionata
delinea un compromesso.
Ovviamente le difficoltà
giuridiche ci sono, e notevoli, anche se voci autorevoli hanno suggerito
possibilità di superamento. Finora, però, non si è riusciti a imboccare il
percorso nazionale di soluzione. Ma alla fin fine, non credo possa sfuggire ai
difensori dell’esclusività portuale di Porto vecchio che le difficoltà
giuridiche sono solo uno schermo, e che il vero problema sono la volontà e la
possibilità di giungere ad un’intesa. Un maggior accordo in città forse
accelererebbe anche il superamento di ostacoli romani.
Altrimenti, la storia
rischia di finire non con un maggiore, bensì con nessun rilancio del porto, e
della città. Ognuno ha le sue buone ragioni per opporsi a questo o a
quell’aspetto del faticoso processo di rilancio. Alcune di queste vanno, certo,
ascoltate per apportare le correzioni possibili. Ma, dev’essere chiara una
cosa: che le buone ragioni di ognuno rischiano di finire inevitabilmente nel
torto di tutti, se non si riuscirà a temperarle con le ragioni degli altri. Il
miracolo del ritorno dei traffici nel Mediterraneo non aspetterà il nostro
tormentato processo decisionale.
Se questo processo si
ferma oggi, non ci sarà tempo per una ripartenza, chissà quando. C’è bisogno di
dare, non domani ma ieri, un quadro certo agli investitori per decisioni di
indirizzamento di traffico, e di impegni finanziari. Altrimenti, gli operatori
mondiali si orienteranno, domani e non dopodomani, sul Tirreno, sulla Grecia o
sul Mar Nero. E a Trieste non rimarrà che rimpiangere, oltre al grande passato,
anche il futuro dietro le spalle.
* nel 2008 Roberto Dipiazza era sindaco di Trieste e Claudio Boniciolli presidente dell'APT.
VAI ALL'ARTICOLO ORIGINALE SUL SITO IL PICCOLO
* nel 2008 Roberto Dipiazza era sindaco di Trieste e Claudio Boniciolli presidente dell'APT.
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