lunedì 13 giugno 2016

BALLOTTAGGIO ELETTORALE SU PORTO VECCHIO E NUOVO ? UN NOSTRO ESPERTO AFFERMA CHE ...


"Se dovessi dare un giudizio sul ballottaggio in base all'attuale legge che disciplina la governance dei porti, direi che per la gestione del porto vecchio e nuovo non fa un'enorme differenza se vince uno o l'altro candidato. 

Infatti attualmente l'organo di gestione dell'Autorità Portuale è il comitato portuale in cui sono rappresentati la Capitaneria di Porto, tutti gli enti locali, le rappresentanze sindacali e le associazioni di categoria; gli atti che vengono sottoposti all'approvazione del comitato portuale devono quindi avere un'ampia condivisione e ciascuna componente del mondo portuale può portare il proprio contributo alla discussione. 

Il voto del Sindaco o di un suo delegato non conta di più di quelli degli altri consiglieri, pur essendo politicamente molto pesante. 

Ma la governance dei porti sta per essere completamente riformata e l'attuale Governo vorrebbe concludere l'iter della riforma entro metà luglio. 

Dobbiamo quindi analizzare la rilevanza del Sindaco nella prospettiva della nuova legge, che prevede la sostituzione del comitato portuale con un consiglio di gestione, composto oltre che dal Presidente (o commissario) e dal Segretario Generale dell'Autorità di Sistema Portuale, dal Comandante della Capitaneria di Porto, da un componente designato dalla Regione e da un "componente designato dal Sindaco della città metropolitana il cui territorio è incluso, anche parzialmente, nel sistema portuale e dai sindaci di ciascun comune ex sede di autorità portuale inclusi nell'AdSP". 



Con un comitato di gestione costituito da 5-7 membri, il voto del Sindaco di Trieste è quindi infinitamente più pesante di quanto lo sia stato negli ultimi 22 anni. 

E' fondamentale quindi che il Sindaco o il suo delegato siano molto informati delle materie portuali e che non abbiano alcun interesse personale o politico nel creare intralcio all'attività di gestione dell'Autorità Portuale. 

In tal senso, la conflittualità che ha contrassegnato - anche a causa della storia infinita del Porto Vecchio - la coesistenza del porto e della città (un porto ideato per un grande mercato centroeuropeo e una città di dimensioni sempre più modeste e di vedute sempre più locali) potrebbe effettivamente paralizzare la gestione dell'Autorità Portuale e frenare gli investimenti privati che sono stati sbloccati dell'approvazione del Piano Regolatore Portuale. 


Servono persone esperte, equilibrate e disposte all'ascolto, non lunatiche, umorali e scollegate dalla comunità portuale. 

Abbiamo il grosso vantaggio di poter scegliere tra due sindaci, dei quali abbiamo già potuto valutare l'operato in passato: 

Cosolini dà - a giudizio dello scrivente - una maggior garanzia di giunzione fra gli interessi del porto e gli interessi della città, che non si è potuta riscontrare né nei dieci anni di governo cittadino di Di Piazza, né nelle sue dichiarazioni programmatiche nel corso dell'attuale campagna elettorale.

A voler documentare con lucidità le vicende del recente passato può essere utile l’articolo “ Un intesa per il porto “  che riportiamo di seguito . L'articolo * è del 2008 e mette sul tappeto - va dato atto al redattore prof. Gabriele Pastrello - tutte le dinamiche sottostanti ad una città-porto imballata, che sembra essersi rimessa in moto solo dopo l' "emendamento Russo" nella legge di stabilità 2015: alleanze fra i porti di Trieste, Venezia e Capodistria; governance ed uso del regime di porto franco; funzione retroportuale del terminal di Fernetti; rapporto con l'Agenzia delle Dogane. 

Chi dei due sfidanti alla poltrona di sindaco può dire realmente di aver sbloccato questa situazione ?"


Un'intesa per il porto

di Gabriele Pastrello

Ma Trieste vuole davvero il rilancio del porto? 

Per più di cinquant’anni questo è stato, più che un progetto, un miraggio. Ne ostacolavano la realizzazione, innanzitutto, le condizioni geopolitiche. Poi, la rivoluzione dei trasporti mondiali aveva deviato il traffico verso i porti del Nord. I porti italiani, appesantiti dalle rigidità, avevano perso terreno, e Trieste più degli altri. E, come si è visto nell’ultimo decennio, non basta ridurre il costo del lavoro per far tornare i traffici.

Così si innestò, in Porto vecchio, un circolo vizioso tra diseconomicità, abbandoni e degrado. Ciò aveva fatto sorgere l’idea di un recupero urbano dell’area di Portovecchio, già prima che progetti simili fossero attuati altrove. L’esempio di Londra mostra, però, quale condizione sia necessaria per una ristrutturazione integrale. Ci vuole una fonte di produzione di reddito consistente e dinamica, che permetta l’acquisto e l’affitto dell’insieme degli immobili ristrutturati. La ristrutturazione fioriva nell’ex-porto di Londra quando la Borsa fioriva, e viceversa. A Trieste non c’è una fonte simile.

L'Expo avrebbe potuto esserla, ma non è arrivata. Ogni progetto urbanistico in Portovecchio deve fare i conti con questo limite di finanziamento ultimo. Quest’idea era stata energicamente contrastata dai fautori del rilancio portuale integrale di Portovecchio. Ma anche quel recupero dell’area incontrava, allora, molti limiti. Alcuni, generali, sono stati già menzionati. Lo stesso asserito vantaggio competitivo del regime di Punti franchi era in realtà più aleatorio di quanto si sostenesse, come dimostra il fatto che solo adesso una prima intesa tra Autorità portuale e Dogane apre la strada ad una sua regolamentazione, a disposizione degli operatori.

Inoltre, se gli investimenti di recupero urbanistico sono ingenti, lo sarebbero stati anche quelli per il recupero portuale e, nei decenni passati, è arduo sostenere che ci fosse una folla di investitori con progetti seri, e mezzi pronti. Poi è successo il miracolo del ritorno delle rondini. I traffici sono tornati nel Mediterraneo perché lo sviluppo nel Lontano Oriente è esploso, perché i porti del Nord si sono intasati, e perché Europa dell’Est e Russia si sono rimesse in moto, e possono assorbire merci, e venderci beni ed energia.
Si è aperta una storia nuova, anche se le discussioni sembrano quelle vecchie. È parso che la città ne prendesse atto, e volesse cogliere questa opportunità. 

Ma, come capita in questi casi, l’avvicinarsi della realizzazione fa venire i nodi al pettine. I nodi sono il rapporto, competitivo o cooperativo, con Capodistria, la scelta tra usi alternativi di Portovecchio e il, connesso, stato giuridico dei Punti franchi. Il sindaco Dipiazza prima, il neo-presidente della Regione Tondo poi, sono andati a Lubiana.

Questo dà il segno del cambiamento da quando un primo tentativo di cooperazione con Luka Koper si interruppe, anni fa. Oggi, imprese italiane lavorano a Capodistria, e imprese slovene a Monfalcone. La Slovenia ha accettato di entrare nell’Euroregione, spingendo per la realizzazione della cruciale ferrovia Trieste-Capodistria, che prima frenava. È vero che ci sono preoccupazioni per l’intraprendenza slovena. Ma la risposta, in un campo come quello dei traffici, mondiale, dovrebbe essere innalzare la propria efficienza.
Il rischio che si corre, alla lunga, è di essere comunque condannati alla marginalità. La prospettiva della cooperazione è alla base anche dell’idea di trasformare l’autoporto di Fernetti in retroporto integrato, insieme a quello di Sesana, di ambedue i porti. Il progetto è collegato con gli altri due nodi: l’uso di Porto vecchio e il suo stato giuridico. Il trasferimento di parte del Punto franco dal Porto vecchio, infatti, dovrebbe coordinarsi con i diversi usi dell’area previsti nella Variante al piano regolatore di Porto vecchio, approvata dalle istituzioni competenti.

Resta un problema: come dare agli investitori nel retroporto l’assicurazione di una stabilità di lungo periodo delle decisioni. Una proposta, osteggiata da membri dell’attuale proprietà, è il trasferimento di parte della proprietà dell’autoporto all’Autorità portuale. Resta comunque vero che, se ci sarà la volontà di dare quella garanzia, una soluzione giuridica si troverà. Analogamente si può dire della discussione sull’uso, o riuso, di Porto vecchio. La variante menzionata delinea un compromesso.
Ovviamente le difficoltà giuridiche ci sono, e notevoli, anche se voci autorevoli hanno suggerito possibilità di superamento. Finora, però, non si è riusciti a imboccare il percorso nazionale di soluzione. Ma alla fin fine, non credo possa sfuggire ai difensori dell’esclusività portuale di Porto vecchio che le difficoltà giuridiche sono solo uno schermo, e che il vero problema sono la volontà e la possibilità di giungere ad un’intesa. Un maggior accordo in città forse accelererebbe anche il superamento di ostacoli romani.
Altrimenti, la storia rischia di finire non con un maggiore, bensì con nessun rilancio del porto, e della città. Ognuno ha le sue buone ragioni per opporsi a questo o a quell’aspetto del faticoso processo di rilancio. Alcune di queste vanno, certo, ascoltate per apportare le correzioni possibili. Ma, dev’essere chiara una cosa: che le buone ragioni di ognuno rischiano di finire inevitabilmente nel torto di tutti, se non si riuscirà a temperarle con le ragioni degli altri. Il miracolo del ritorno dei traffici nel Mediterraneo non aspetterà il nostro tormentato processo decisionale.

Se questo processo si ferma oggi, non ci sarà tempo per una ripartenza, chissà quando. C’è bisogno di dare, non domani ma ieri, un quadro certo agli investitori per decisioni di indirizzamento di traffico, e di impegni finanziari. Altrimenti, gli operatori mondiali si orienteranno, domani e non dopodomani, sul Tirreno, sulla Grecia o sul Mar Nero. E a Trieste non rimarrà che rimpiangere, oltre al grande passato, anche il futuro dietro le spalle.

* nel 2008 Roberto Dipiazza era sindaco di Trieste e Claudio Boniciolli presidente dell'APT.

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