Potrebbe essere interessante fare un piccolo viaggio nel passato e rileggere le cronache del quotidiano locale del giorno dopo
La Regione
riapre il tavolo sulla Ferriera
di PIERO
RAUBER
Più che di
tavolo riaperto, è più calzante parlare di tavolo riesumato, tanta è stata
l’acqua che, nel frattempo, è passata
sotto i ponti: dai disastri
occupazionali figli della crisi, che nel 2009 hanno
spostato altrove il mirino della Regione, al più recente rompicapo attorno alla
vendita di Lucchini da parte di Severstal.
La notizia, stringi stringi, è che
il 23 marzo - e proprio in Regione - si tornerà a discutere di Ferriera, tra
istituzioni e parti sociali, tutte convocate ufficialmente allo stesso tavolo, per
l’appunto, dall’amministrazione Tondo. Sarà trascorso un anno (più dodici
giorni) da quell’11 marzo 2009, quando il governatore Renzo Tondo riunì per
l’ultima volta azienda, Assindustria, enti locali e sindacati. Poi il silenzio.
L’obiettivo, al tavolo del 23 marzo 2010, non sarà diverso da allora:
condividere un percorso di riconversione industriale e di ricollocazione dei
500 dipendenti, più i 400 dell’indotto, in vista della chiusura della Ferriera.
Che potrebbe essere celebrata nel 2015 o forse già nel 2013, data di scadenza
della famosa Aia, l’Autorizzazione intregrata ambientale.
L’annuncio
della riapertura del tavolo l’ha dato ieri pomeriggio Alessia Rosolen, l’assessore regionale al Lavoro, nel suo
intervento all’assemblea pubblica organizzata nell’aula magna del liceo Dante dalle Rsu dello stabilimento servolano.
«Se necessario - ha detto la Rosolen - la Regione interverrà con fondi propri e
una legge ad hoc o verificando la possibilità di sottoscrivere con il governo
un accordo di programma quadro per la conversione della Ferriera. Trieste non
può vivere continuamente di emergenze, ambientali e occupazionali».
All’assemblea,
per la cronaca, hanno preso parte i segretari confederali di Cgil, Cisl, Uil e
Ugl e altri alti quadri sindacali.
Eppoi politici a palate.
Dal sindaco Roberto
Dipiazza al predecessore della stessa Rosolen in Regione, l’attuale numero uno
del Pd Roberto Cosolini, passando per la presidente della Provincia Maria
Teresa Bassa Poropat.
Non è un azzardo dedurre che, di Ferriera e dopo-Ferriera,
la politica e le istituzioni sono tornate a parlare ieri non su propria
iniziativa, ma su pungolata dei rappresentanti dei lavoratori di Servola, cioè
i promotori di quest’iniziativa nell’aula magna del Dante.
Ed è stato, per
certi versi, il primo atto pubblico della lunga volata elettorale verso il voto
amministrativo dell’anno prossimo. «Il futuro dei lavoratori della Ferriera non
è un problema che si risolve con gli ammortizzatori sociali», hanno insistito
in particolare Franco Palman per la Uilm e Umberto Salvaneschi per la Fim,
polemizzando con il sindaco.
«È vero, nel mio programma c’era la chiusura della
Ferriera - ha esordito Dipiazza - poi è successo qualcosa che si chiama crisi,
e abbiamo cambiato atteggiamento pregando Iddio che non capitassero le cose capitate
nel Pordenonese e in Friuli.
Credo che di prospettive ce ne siano, il
rigassificatore e l’indotto, il Silos, il Porto Vecchio... Io sto lavorando
perché tutti voi un domani abbiate un
posto di lavoro».
Gli applausi, tiepidi e da una costola della sessantina di
operai presenti al Dante, hanno cancellato un paio di insulti indirizzati
proprio al sindaco e partiti da alcune sedie occupate sempre dagli operai.
Insulti che il primo cittadino ha fatto finta di non sentire e che sono stati
zittiti dalle Rsu.
Applausi un po’ più forti per Bassa Poropat e Cosolini, che
hanno risposto a Dipiazza, il quale ormai se n’era andato per impegni
concomitanti «in Soprintendenza».
«Possiamo fare delle Rive bellissime ma con
quelle non creiamo posti di lavoro», ha ironizzato la numero uno di Palazzo Galatti.
Gli ha fatto eco il segretario del Pd: «Un territorio come Trieste non può
vivere senza industria, non possiamo mettere 500 custodi al Parco del mare. E non
si può dire che se le cose vanno male è colpa della crisi, e che se vanno bene
è merito mio...». La campagna elettorale verso il 2011 è cominciata. E la
Ferriera sarà ancora una volta un banco di prova.
«Operai
pronti all’autogestione»
«A estremi
mali estremi rimedi». Recita un detto che sa di provocazione, il volantino
distribuito ieri pomeriggio dalle Rsu durante l’assemblea pubblica, che evoca ’autogestione a regime minimo di tutta la
fabbrica, con possibili rischi dentro e fuori. «Se domani o in qualsiasi altro
giorno - si legge nel volantino - noi lavoratori venissimo a conoscenza
dell’avvio della chiusura del nostro stabilimento, e in quella data non dovesse
essere chiaro e immediatamente applicabile il piano di riconversione occupazionale di tutti i
dipendenti... i lavoratori della Ferriera di Servola si adopereranno a una
gestione autonoma degli impianti.
Tutti i lavoratori abbandoneranno lo stabilimento,
mantenendo un presidio interno e, da quel momento, la nostra opera sarà quella
di informare tutti i cittadini del pericolo che questa situazione determina».
E di
Ferriera s’è tornato a discutere mercoledì in Consiglio comunale, ma senza risultati bipartisan. La mozione dell’ex operaio Roberto Decarli,
sottoscritta dal centrosinistra, è stata bocciata dopo vani tentativi di
mediazione. Sono passate invece le mozioni della Lega e del resto della maggioranza,
di cui era prima firmataria la capogruppo di An Angela Brandi. La mozione
padana è stata la più votata, «presumibilmente perché affrontava tutto il
problema occupazionale e non solo della Ferriera», ipotizza il capogruppo
leghista Maurizio Ferrara. Dei quattro voti in più raccolti dal documento del
Carroccio, tre sono venuti dai Bandelli boys, che si sono astenuti sulla
mozione Decarli e hanno votato contro la Brandi. (pi.ra.)
«Bonifiche,
l’accordo offre certezze»
Le imprese
contestano la spartizione degli oneri per le bonifiche? «La costruzione giuridica dell’accordo di programma per
Trieste ricalca quella di analoghi protocolli per Mantova, Brindisi, Priolo e
Napoli. Mica può valere una regola diversa solo perché questa è la mia
città...». Cresce il fronte del no al rigassificatore? «Sostenibilità
ambientale e salute pubblica sono elementi non negoziabili. Il parere di Via,
che dipende da una commissione tecnica del ministero, non è una carta che si
può comperare. Certe allusioni sono inaccettabili».
Se c’è una cosa che in
Roberto Menia non difetta è la schiettezza, che talvolta fa rima con ruvidezza,
con la quale si rivolge a qualsiasi tipo d’interlocutori. Capita così che
davanti ai soci del Rotary Club Trieste riuniti per il pranzo del giovedì al
Savoia - e quindi davanti a parecchi rappresentanti di quel mondo
dell’imprenditoria cui l’accordo di programma sul Sito inquinato fa storcere il
naso - il sottosegretario all’Ambiente ripete esattamente ciò che pensa.
«Quella delle bonifiche - premette Menia - è una storia fin troppo lunga. La
mia volontà è di chiudere presto e bene.
Rispetto al principio ”io non ho
inquinato e quindi non pago”, faccio solo presente che se abito al secondo
piano e le infiltrazioni del terzo piano passano per casa mia e arrivano al
primo, quello del primo si rivarrà su di me, non su quello che sta al terzo. Noi
diamo la possibilità di aderire a un accordo che dà certezze ed è duttile,
perché nel momento in cui un privato vi aderisce noi sblocchiamo la sua area e
perché il danno ambientale si può pagare in dieci anni senza interessi
convertendolo in investimenti. L’accordo di programma, nella sua ultima versione,
pianifica una cifra complessiva di 487 milioni, di cui 197 di fondi pubblici
subito disponibili. Non vedo che benefici.
E sono anche un po’ sconcertato
dall’atteggiamento della mia amica Regione». Ma alle parole potenzialmente
scomode seguono quelle in linea di massima più gradite, rimanendo tra le file
imprenditoriali.
L’argomento: il rigassificatore. Anzi: l’utilità del rigassificatore,
caldeggiata dallo stesso sottosegretario all’Ambiente. «La Prefettura e gli
enti preposti - assicura Menia ai commensali - hanno già predisposto i piani
d’emergenza, i vigili del fuoco hanno già escluso quello che chiamamo effetto
domino, il decreto di compatibilità ambientale prevede 26 pagine di
prescrizioni a carico del soggetto proponente e lo stesso presidente dell’Autorità
portuale Boniciolli ha detto che 120 navi gasiere in un anno non incidono sulle
attività portuali». Quanto al contenzioso con la Slovenia «continuo a ritenere
che le obiezioni ambientali siano motivate da ben altri interessi».
E il tavolo
tecnico di docenti ed esperti? «Anche se quattro signori si siedono a un
tavolo, con tutto il rispetto non c’è nulla di più indipendente, nel dare certi
giudizi, delle strutture dello Stato». In definitiva: «Siamo a un bivio,
possiamo ancorare Trieste al passato o a un presente tranquillo da pensionati e
pensionandi, o mollare finalmente gli ormeggi».
(pi.ra.)
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