
Ci sembra evidente che la proposta di Riforma deve prevedere le risposte ad alcune precise domande e previsioni:
1) La Riforma deve tenere presente il calo dei noli e il fatto che non è per niente scontato un aumento progressivo dei traffici via mare. Quanti investimenti sono motivati in una situazione di pareggio o di calo dei traffici ?
2) Adeguare la capacità dei porti a gestire ingenti quantità di container e di merci. Quanti e quali porti vanno dedicati al trasbordo delle merci ? Quanti e
quali porti vanno attrezzati per movimentare grandi quantità di merci trasportate dalle mega navi ?
3) Tutti i porti devono poter servire una mega portacontainer o va operata una scelta su alcuni scali dedicati allo scopo ? In base a quali criteri di costi e benefici andrà operata questa eventuale scelta ? E' pensabile che una mega portacontainer fermi in più porti mentre le grandi navi progettano di fare una sola fermata di trasbordo in un porto del Mediterraneo ?
4) Analogo ragionamento va applicato anche ai "mega" treni di 750 e più metri che una volta usciti dai porti verrebbero con la rete ferroviaria attuale spezzati in due tronconi nelle soste seguenti ? ( vedi interviste e video pubblicati nei post precedenti in particolare intervista Paolo Uggè )
Queste quattro nostre domande non sono sicuramente comprensive di tutto il dibattito, ma solo un esempio di incastro tra il dibattito sul gigantismo navale e la riforma puzzle che il Governo sta preparando.
D'altra parte il dibattito, come la preparazione della Riforma, va avanti da anni e arrivare alle risposte non è un percorso né facile né in discesa.
Provate a rileggere a questo proposito un articolo apparso su IL TIRRENO di Livorno nel gennaio di sue anni fa, dove meglio di quanto sappiamo fare noi venivano illustrate le criticità legate alle mega navi.
I portuali presentano il libro (eretico ma profetico) del
prof. Sergio Bologna : «Bisogna avere il coraggio di dare noi l’alt alla corsa
suicida al gigantismo»
LIVORNO. La favola nera che racconta il prof. Sergio Bologna
sulla portualità e le magnifiche sorti e progressive della globalizzazione via
container toglie il sonno peggio che un thriller di Stephen King. C’è una corsa
all’iper-gigantismo navale che produce navi talmente enormi da poter entrare
solo in pochi porti al mondo: è la dittatura ideologica delle economie di scala
per cui con una nave cerco di trasportare quanti più container per abbattere i
costi, ma la nave kolossal costa sempre di più e il boom dell’offerta di stiva
fa abbassare i prezzi. Risultato: ormai il gigantismo delle navi è un prodotto
«più finanziario che industriale» e sta trascinando a fondo grandi banche
tedesche.
All’esplosione dell’offerta di posti-container sulle navi
corrisponde la rincorsa di cento porti con il gigantismo delle infrastrutture:
è il boom dell’offerta di piazzali a terra. Sommando l’impennata – fuori da
ogni misura realistica – del numero di giga-navi, da un lato, e progetti di
infrastrutture a terra, dall’altro, si ha il rischio di una nuova “bolla”
speculativa che quando esploderà farà una botta forse ancor più grande di
quella che stiamo ancora sentendo dopo subprime e Lehman Brothers.
È di questo che si è parlato ieri al Lem, per iniziativa
della Compagnia portuale, nella presentazione di un libro controcorrente come
“Banche e crisi” di un prof controcorrente come Sergio Bologna.
È un salutare tuffo al di fuori dei recinti del pensiero
unico. Con una triplice scoperta.
La prima ci porta indietro di oltre un
secolo: Bologna si affida al Marx giornalista per ritrovare nella finanza che
sta alle spalle delle prime grandi reti di trasporto un mostro simile a quel
che accade oggi con il gigantismo navale-portuale.
La seconda riguarda l’oggi:
lo studioso ricorda che la metà dei primi 25 operatori mondiali del settore
naviga in acque finanziarie talmente pessime da non avere i soldi neanche per
pagare gli interessi sul debito.
E la terza? È l’inaspettata sintonia convergenza che, magari
con accenti variegati, sui dubbi riguardi agli effetti perversi della
globalizzazione dei porti si può ritrovare fra soggettività differenti come
Nereo Marcucci (Confetra) e il sindaco Alessandro Cosimi, fra l’ex sindacalista
Mario Sommariva (ora numero 2 all’Authority di Bari) e Giuliano Gallanti
(presidentissimo di quella di Livorno) con Enzo Raugei, presidente della
Compagnia portuale, a fare gli onori di casa.
Tutti tenuti insieme da un unico
minimo comun denominatore: il pensiero politico si è fatto dettare il compito
da quello economico ed è stato debole, pigro, svagato.
E se il cronista mette sul tavolo la domandina sulla
«moltiplicazione dei porti e dei pesci» con un pullulare di progetti che, se
sommati insieme, ipotizza il raddoppio della portualità esistente, il prof.
Bologna non mostra tentennamenti: finiamola con l’idea di sacrificare tutto
sull’idea di rincorrere il gigantismo nella corsa al suicidio, ciascun porto
abbia il coraggio (politico?) di dire agli operatori che noi le vostre navi le
prendiamo fino a un certo standard (10mila teu?), poi arrangiatevi e
portatevele dove vi pare.
Idea balzana da studioso? Mica tanto, se anche Gallanti dice
che neanche la Darsena Europa vuol rincorrere il gigantismo: «Puntiamo ai grandi
feeder del futuro fino a 10mila teu, il resto o non ci interessa o non esiste
perché magari salta addirittura il Mediterraneo.
Già, il Mediterraneo. Anche su questo tasto il prof. Bologna
suona una musica un po’ fuori dal coro. Anziché impazzire per rispondere agli
standard richiesti dai grandi traffici fra Estremo Oriente e Europa via Suez, –
dice – meglio andare a scoprire anche quel che possono offrire i mercati
mediterranei, fra Nord Africa, Medio Oriente e Turchia. Un accento sul quale
batte anche Sommariva.
Cosa può fare una città portuale di fronte alla misura
enorme di questi processi? La ripsosta prova a darla Cosimi, lamentando però
che la politica è la grande assente: «Una città può darsi una programmazione
sensata.
Ma c’è bisogno anche di altre due cose: 1) è assurdo che mentre alle
città aeroportuali è riconosciuto un quid per passeggero transitato, per le
città portuali non sia nemmeno stato immaginato; 2) in occasione di problemi a
Genova fra portuali e città, è spuntata la tentazione di abbandonarsi a una
logica curvaiola e borgatara (comandiamo noi), c’è il rischio di
autorinchiudersi
nel fortino invece che sfidare il futuro.
Quest’identikit non si attaglia a noi, ribatte Raugei: ci
siamo messi in gioco e l’alleanza con la coop fiorentina Cft è «il tentativo
non di tamponare i problemi di oggi ma di costruire l’azienda di domani».
di Mauro Zucchelli 28 gennaio 2014
IL TIRRENO di Livorno
Con l'avvento delle moderne Portacontainer da 14.000 / 18.000 / 20.000 teu. l'Alto Adriatico rischia l'emarginazione.
RispondiEliminaL'inarrestabile corsa al gigantismo navale in merito ai Traffici delle Merci Containerizzate messa in atto da alcuni Big dell'Armamento Mondiale, potrà pure dare fastidio poiché rischia di emarginare sia la portualità Italiana che sopratutto quella dell'Alto Adriatico, ma non illudiamoci che questa linea di tendenza si possa contrastare soltanto con le chiacchiere poiché gli artefici dell'operazione avendo investito ingentissime risorse in Porti e Vettori, cercheranno in tutti i modi di materializzare i preventivati ritorni economici.
Se vogliamo realmente incidere sulle citate presunte strategie messe in campo da Armatori/Terminalisti e far si che i moderni Vettori possano approdare in futuro anche nei nostri Scali, bisogna essere ben coscienti che nell'Alto Adriatico dobbiamo essere in grado di pianificare/realizzare in tempi non certamente bibblici almeno un moderno Terminal Contenitori, che per dimensioni numero degli ormeggi e potenzialità delle attrezzature e sopratutto di collegamenti ferroviari che siano realmente in grado di consentire lo smaltimento dell'auspicabile notevole incremento dei traffici sia Portuali che Passeggeri, opere che ci consenta di poter movimentare almeno quanto si sta facendo nel Tirreno, ed assecondare quindi le crescenti esigenze della Logistica e della Portualità del terzo millennio.
Soltanto in questo modo l'Alto Adriatico potrà recuperare un significativo ruolo nei confronti dei flussi merceologici in transito nel Mediterraneo relativi all'interscambio Euro Asiatico anche in considerazione del recente raddoppio del Canale di Suez, dando quindi all'Alto Adriatico ed al nostro Scalo l'opportunità di poter opportunamente sfruttare, sia il vantaggio di circa 4.000 miglia e i conseguenti 5 + 5 giorni di navigazione nei confronti della Portualità Nord Europea per i flussi merceologici in transito nel Mediterraneo relativi al citato interscambio Euro/Asiatico, che i 18 ml dei suoi profondi fondali naturali presenti nel Golfo di Trieste per poter finalmente far si che nell'Alto Adriatico ci sia nuovamente un Hub di riferimento per i mercati della Piattaforma Continentale Europea, e materializzare quello che per ora rimane soltanto un nostro sogno/ambizione "spostare in futuro un po' più a sud verso l'Alto Adriatico il baricentro del Sistema Trasportistico Comunitario".
Brunello Zanitti Giuliano
Riflessioni tratte dal capitolo attività Emporiali del mio sito. http://sceltemancate.trieste.it