domenica 10 gennaio 2016

LE DOMANDE SUL GIGANTISMO NAVALE

Il dibattito sulle mega navi si intreccia fortemente con la vicenda della Riforma sui porti. Le scelte di questa Riforma puzzle e spezzettata tra diversi provvedimenti dipendono e sono conseguenza dei risultati di questo confronto.
Ci sembra evidente che la proposta di Riforma deve prevedere le risposte ad alcune precise domande e previsioni:

1) La Riforma deve tenere presente il calo dei noli e il fatto che non è per niente scontato un aumento progressivo dei traffici via mare. Quanti investimenti sono motivati in una situazione di pareggio o di calo dei traffici ?

2) Adeguare la capacità dei porti a gestire ingenti quantità di container e di merci. Quanti e quali porti vanno dedicati al trasbordo delle merci ? Quanti e
quali porti vanno attrezzati per movimentare grandi quantità di merci trasportate dalle mega navi ? 

3) Tutti i porti devono poter servire una mega portacontainer o va operata una scelta su alcuni scali dedicati allo scopo ? In base a quali criteri di costi e benefici andrà operata questa eventuale scelta ? E' pensabile che una mega portacontainer fermi in più porti mentre le grandi navi progettano di fare una sola fermata di trasbordo in un porto del Mediterraneo ?

4) Analogo ragionamento va applicato anche ai "mega" treni di 750 e più metri che una volta usciti dai porti verrebbero con la rete ferroviaria attuale spezzati in due tronconi nelle soste seguenti ? ( vedi interviste e video pubblicati nei post precedenti in particolare intervista Paolo Uggè )

Queste quattro nostre domande non sono sicuramente comprensive di tutto il dibattito, ma solo un esempio di incastro tra il dibattito sul gigantismo navale e la riforma puzzle che il Governo sta preparando.

D'altra parte il dibattito, come la preparazione della Riforma, va avanti da anni e arrivare alle risposte non è un percorso né facile né in discesa.

Provate a rileggere a questo proposito un articolo apparso su IL TIRRENO di Livorno nel gennaio di sue anni fa, dove meglio di quanto sappiamo fare noi venivano illustrate le criticità legate alle mega navi.



I portuali presentano il libro (eretico ma profetico) del prof. Sergio Bologna : «Bisogna avere il coraggio di dare noi l’alt alla corsa suicida al gigantismo»

  
E ora la crisi choc farà il bis fra mega-navi e maxi-porti

LIVORNO. La favola nera che racconta il prof. Sergio Bologna sulla portualità e le magnifiche sorti e progressive della globalizzazione via container toglie il sonno peggio che un thriller di Stephen King. C’è una corsa all’iper-gigantismo navale che produce navi talmente enormi da poter entrare solo in pochi porti al mondo: è la dittatura ideologica delle economie di scala per cui con una nave cerco di trasportare quanti più container per abbattere i costi, ma la nave kolossal costa sempre di più e il boom dell’offerta di stiva fa abbassare i prezzi. Risultato: ormai il gigantismo delle navi è un prodotto «più finanziario che industriale» e sta trascinando a fondo grandi banche tedesche.

All’esplosione dell’offerta di posti-container sulle navi corrisponde la rincorsa di cento porti con il gigantismo delle infrastrutture: è il boom dell’offerta di piazzali a terra. Sommando l’impennata – fuori da ogni misura realistica – del numero di giga-navi, da un lato, e progetti di infrastrutture a terra, dall’altro, si ha il rischio di una nuova “bolla” speculativa che quando esploderà farà una botta forse ancor più grande di quella che stiamo ancora sentendo dopo subprime e Lehman Brothers.

È di questo che si è parlato ieri al Lem, per iniziativa della Compagnia portuale, nella presentazione di un libro controcorrente come “Banche e crisi” di un prof controcorrente come Sergio Bologna.

È un salutare tuffo al di fuori dei recinti del pensiero unico. Con una triplice scoperta. 

La prima ci porta indietro di oltre un secolo: Bologna si affida al Marx giornalista per ritrovare nella finanza che sta alle spalle delle prime grandi reti di trasporto un mostro simile a quel che accade oggi con il gigantismo navale-portuale. 

La seconda riguarda l’oggi: lo studioso ricorda che la metà dei primi 25 operatori mondiali del settore naviga in acque finanziarie talmente pessime da non avere i soldi neanche per pagare gli interessi sul debito.

E la terza? È l’inaspettata sintonia convergenza che, magari con accenti variegati, sui dubbi riguardi agli effetti perversi della globalizzazione dei porti si può ritrovare fra soggettività differenti come Nereo Marcucci (Confetra) e il sindaco Alessandro Cosimi, fra l’ex sindacalista Mario Sommariva (ora numero 2 all’Authority di Bari) e Giuliano Gallanti (presidentissimo di quella di Livorno) con Enzo Raugei, presidente della Compagnia portuale, a fare gli onori di casa. 

Tutti tenuti insieme da un unico minimo comun denominatore: il pensiero politico si è fatto dettare il compito da quello economico ed è stato debole, pigro, svagato.

E se il cronista mette sul tavolo la domandina sulla «moltiplicazione dei porti e dei pesci» con un pullulare di progetti che, se sommati insieme, ipotizza il raddoppio della portualità esistente, il prof. Bologna non mostra tentennamenti: finiamola con l’idea di sacrificare tutto sull’idea di rincorrere il gigantismo nella corsa al suicidio, ciascun porto abbia il coraggio (politico?) di dire agli operatori che noi le vostre navi le prendiamo fino a un certo standard (10mila teu?), poi arrangiatevi e portatevele dove vi pare.

Idea balzana da studioso? Mica tanto, se anche Gallanti dice che neanche la Darsena Europa vuol rincorrere il gigantismo: «Puntiamo ai grandi feeder del futuro fino a 10mila teu, il resto o non ci interessa o non esiste perché magari salta addirittura il Mediterraneo.

Già, il Mediterraneo. Anche su questo tasto il prof. Bologna suona una musica un po’ fuori dal coro. Anziché impazzire per rispondere agli standard richiesti dai grandi traffici fra Estremo Oriente e Europa via Suez, – dice – meglio andare a scoprire anche quel che possono offrire i mercati mediterranei, fra Nord Africa, Medio Oriente e Turchia. Un accento sul quale batte anche Sommariva.

Cosa può fare una città portuale di fronte alla misura enorme di questi processi? La ripsosta prova a darla Cosimi, lamentando però che la politica è la grande assente: «Una città può darsi una programmazione sensata. 

Ma c’è bisogno anche di altre due cose: 1) è assurdo che mentre alle città aeroportuali è riconosciuto un quid per passeggero transitato, per le città portuali non sia nemmeno stato immaginato; 2) in occasione di problemi a Genova fra portuali e città, è spuntata la tentazione di abbandonarsi a una logica curvaiola e borgatara (comandiamo noi), c’è il rischio di autorinchiudersi
nel fortino invece che sfidare il futuro.

Quest’identikit non si attaglia a noi, ribatte Raugei: ci siamo messi in gioco e l’alleanza con la coop fiorentina Cft è «il tentativo non di tamponare i problemi di oggi ma di costruire l’azienda di domani».


di Mauro Zucchelli 28 gennaio 2014

IL TIRRENO di Livorno

1 commento:

  1. Con l'avvento delle moderne Portacontainer da 14.000 / 18.000 / 20.000 teu. l'Alto Adriatico rischia l'emarginazione.

    L'inarrestabile corsa al gigantismo navale in merito ai Traffici delle Merci Containerizzate messa in atto da alcuni Big dell'Armamento Mondiale, potrà pure dare fastidio poiché rischia di emarginare sia la portualità Italiana che sopratutto quella dell'Alto Adriatico, ma non illudiamoci che questa linea di tendenza si possa contrastare soltanto con le chiacchiere poiché gli artefici dell'operazione avendo investito ingentissime risorse in Porti e Vettori, cercheranno in tutti i modi di materializzare i preventivati ritorni economici.

    Se vogliamo realmente incidere sulle citate presunte strategie messe in campo da Armatori/Terminalisti e far si che i moderni Vettori possano approdare in futuro anche nei nostri Scali, bisogna essere ben coscienti che nell'Alto Adriatico dobbiamo essere in grado di pianificare/realizzare in tempi non certamente bibblici almeno un moderno Terminal Contenitori, che per dimensioni numero degli ormeggi e potenzialità delle attrezzature e sopratutto di collegamenti ferroviari che siano realmente in grado di consentire lo smaltimento dell'auspicabile notevole incremento dei traffici sia Portuali che Passeggeri, opere che ci consenta di poter movimentare almeno quanto si sta facendo nel Tirreno, ed assecondare quindi le crescenti esigenze della Logistica e della Portualità del terzo millennio.

    Soltanto in questo modo l'Alto Adriatico potrà recuperare un significativo ruolo nei confronti dei flussi merceologici in transito nel Mediterraneo relativi all'interscambio Euro Asiatico anche in considerazione del recente raddoppio del Canale di Suez, dando quindi all'Alto Adriatico ed al nostro Scalo l'opportunità di poter opportunamente sfruttare, sia il vantaggio di circa 4.000 miglia e i conseguenti 5 + 5 giorni di navigazione nei confronti della Portualità Nord Europea per i flussi merceologici in transito nel Mediterraneo relativi al citato interscambio Euro/Asiatico, che i 18 ml dei suoi profondi fondali naturali presenti nel Golfo di Trieste per poter finalmente far si che nell'Alto Adriatico ci sia nuovamente un Hub di riferimento per i mercati della Piattaforma Continentale Europea, e materializzare quello che per ora rimane soltanto un nostro sogno/ambizione "spostare in futuro un po' più a sud verso l'Alto Adriatico il baricentro del Sistema Trasportistico Comunitario".

    Brunello Zanitti Giuliano
    Riflessioni tratte dal capitolo attività Emporiali del mio sito. http://sceltemancate.trieste.it

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