ROMA – E adesso bisognerà capire, ammesso che sia possibile,
quale sarà davvero l’iter della riforma Delrio, dopo che la Consulta ha imposto
di reimbarcare nella fase decisionale le Regioni, dopo che Delrio ha sostenuto
che non c’è problema, se ne riparlerà insieme d’amore e d’accordo (!?) e dopo
che il gossip ricorrente sussurra di un intervento a gamba tesa del premier
Renzi, che vorrebbe a sua volta buttare all’aria parte dell’impianto per
accentrare ancora di più, per ridurre i distretti
portuali dai 14 di Delrio a
una mezza dozzina o meno, e per seguire le linee Maresca (“consiliore” molto
ascoltato) di una portualità concentrata su pochi nodi strategici.
Voci, chiacchiere, incrociarsi di indiscrezioni. E
naturalmente, i porti che non ci capiscono più niente e vanno in ordine sparso,
a seconda anche delle convenienze politiche.
Era sembrato, dopo la Consulta,
che la linea dettata da Assoporti nel recente comunicato apparso anche su
queste colonne, fosse di unanimità nel chiedere al governo una riflessione
congiunta: e di unanimità nel chiederlo con una quasi disarmante dolcezza, con
il guanto di velluto. Delrio ha risposto che tutto va ben, madama la Marchesa:
se ne riparlerà con le Regioni, non c’è problema, anche perché lo schema della
“governance” non è stato toccato dalla Consulta essendo nei decreti Madia.
Tesi
quasi temeraria, visto che le Regioni certo non staranno zitte sui processi di
nomina. Poi sono passati pochi giorni ed è arrivato il documento-bomba delle
Autorità portuali di Salerno e Savona (i due margini del Tirreno) che
comunemente fanno a pezzi sia la riforma Delrio, sia i temi della “governance”,
sia la linea morbida di Assoporti.
Del documento riportiamo la parte finale, quella propositiva
(notizia sul sito).
Non c’è bisogno di grandi commenti: si può condividere, in
toto o in parte, ma comunque la si legga apre un dibattito che ritengo andrà
per le lunghe.
Con l’altra incognita che i politici stanno sussurrando: quella
di un Renzi che, oberato da problemi sempre più spinosi e impopolari (banche
salvate, tasse che non calano, crisi tutt’altro che cancellata) starebbe
pensando di rinviare la riforma a dopo le elezioni amministrative, per
disinnescare almeno questa mina.
E’ pensar male? Può darsi: eppure torna il vecchio sarcasmo
del divo Andreotti, quando sosteneva che a pensar male si fa peccato, ma molto
spesso s’azzecca.
Per ora, auguri e buone feste.
Antonio Fulvi

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