di PIER ALDO ROVATTI
Ogni giorno che passa, navigare attraverso il web diventa
sempre più una necessità vitale per tutti e in tutto il mondo.
Non tutti, però,
sanno distinguere i siti buoni o virtuosi da quelli cattivi e pieni di
informazioni imprecise, confuse, tendenziose o decisamente false. Così,
qualcuno che la sa lunga (parlo di Umberto Eco) sta lanciando in questi giorni
un allarme doveroso, unitamente a un appello ai giornali e a tutta la stampa:
se l’allarme per le troppe “bufale” che si trovano in rete non è una sorpresa,
la proposta alla stampa risulta abbastanza inedita.
Oltre a servirsi del web,
come accade virtuosamente ma anche sollevando il timore di trovarsi
gradualmente a svolgere un ruolo di retroguardia rispetto alla comunicazione
online, i giornali dovrebbero incaricarsi di assumere una funzione più critica
e attiva: dedicare molto spazio alla recensione puntuale dei siti. È una
proposta utile per far sì che i corvi che annunciano la fine imminente della
carta stampata svolazzino un po’ meno, e poi specificamente vantaggiosa per
quei milioni di noi che navigano spesso casualmente, se non proprio alla cieca,
assorbendo verità e bufale, mescolate assieme.
È una proposta certo
condivisibile, se pure non così facile da realizzare, ma forse non centra
davvero il bersaglio. Quanto alla difficoltà non è il caso di dilungarsi: una
limitata pratica di simili recensioni è già in atto, tuttavia per farla
crescere in modo che diventi un impegno critico costante e organico occorre un
piccolo salto nella politica stessa dell'informazione giornalistica, un
investimento di competenze ed energie suppletive. Umberto Eco fa l'esempio
degli strafalcioni che trova a proposito di Umberto Eco.
Se, tuttavia,
ingrandiamo l'ampiezza della scala, le cose diventano più complicate, anche per
il fatto che l'utente medio del web ritiene già, con una buona dose di
disinvoltura, di sapersi orientare tra siti buoni e siti cattivi. Parto proprio
da questa “disinvoltura”, spesso professata dall'utente già avvezzo al web, per
chiarire cosa intendo quando ipotizzo che il vero rischio è quello di mancare
il bersaglio.
Un tempo, per affermare che una notizia era vera, si diceva:
“L'ho letta sul giornale”.
Poi è arrivata la televisione e si diceva: “L'ha
detto la televisione”.
Oggi si potrebbe sentir dire “l'ho trovato sulla rete”?
Penso proprio di sì.
Ai giornali si crede con riserva.
Alla televisione si
crede sempre meno.
Al web si presta volentieri credito.
In ogni caso, il
processo critico che ha investito i media tradizionali non sembra avere ancora
toccato il web. Chiamiamola “presunzione di verità”: essa consiste
nell'accettare come vero ciò che troviamo online, a prescindere dal fatto che
l'informazione specifica corrisponda o meno alla verità. Perciò penso che il
bersaglio da prendere di mira con iniziative di tipo critico sia questa nostra
disponibilità ad affidarci al mezzo tecnologico, prima ancora di andare a
distinguere i siti seri da quelli inattendibili. Oppure: promuoviamo pure un'articolata
recensione dei siti, con la consapevolezza però che tale classifica è
necessaria ma non sufficiente.
A monte di essa sta infatti un problema più
generale di credibilità di massa che occorrerebbe percepire bene e smontare. Si
tratterebbe di capire quale determinato "gioco di verità" stiamo oggi
giocando all'interno della cultura digitale. Temo che sbatteremmo la testa
contro un muro più solido di quanto immaginiamo. Non basta diffondere
intelligenti cartelli con sopra scritto “Attenzione, pericolo!”.
E forse
servirebbe di più una campagna di educazione critica che ricordi ai lettori dei
giornali con quale nonchalance e con quale pressapochismo vengano costruiti i
siti che a nostra volta consultiamo in fretta e senza pensare troppo durante le
pause della nostra giornata, mentre stiamo magari facendo tutt’altro. Sono
questi elementi di scarsa attenzione critica, sia nella produzione che nel
consumo dei dati, a costituire la fragilità e insieme il potere del gioco di
verità in cui il web ci ha immersi.
IL PICCOLO 3 luglio 2015
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