mercoledì 29 luglio 2015

PORT NEWS - RIVISTA DELL'AUTORITA' PORTUALE DI LIVORNO

E' uscito il n. 18 della rivista PORT NEWS dell'Autorità Portuale di Livorno. Si tratta di un numero particolarmente ricco di punti di vista e di notizie sulla " riforma dei porti " prossima ventura in particolare. Vi segnaliamo alcuni passaggi e interventi nella rivista, che vale la pena scaricare dal sito dell'Autorità Portuale di Livorno ( abbiamo messo in fondo al testo i link per accedere al sito e scaricare il PDF del n. 18 Qui di seguito l'editoriale:



Hic sunt leones: nessuno si meraviglierebbe, forse, se oggi l’antica locuzione romana, usata 
per indicare le  zone in gran parte sconosciute dell’Africa, apparisse in calce all’ultima bozza del Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica. “Qui ci sono i leoni”, o meglio, “da qui in poi troverete i leoni”: era questo  il monito dei Romani a non proseguire oltre il confine conosciuto, in territori selvaggi e inesplorati, tanto  quanto quelli in cui si avventurò il legislatore venti anni fa, quando, armato della legge n. 84/94, spalancò le  porte alle logiche di mercato, mandando tra l’altro in pensione l’art. 110 del codice di navigazione e  aprendo  al principio della libera concorrenza. Oggi quella legge, che pure ha avuto tanti aspetti positivi e  meriti storici, non garantisce più al sistema portuale nazionale la competitività necessaria per confrontarsi con gli altri porti internazionali.
Occorre fissare quindi nuovi paletti e spingersi oltre le Colonne di Ercole della vecchia riforma.




È stato obbedendo a questa necessità che il Governo, il 3 luglio scorso, ha sfornato un Piano Strategico che va a prefigurare una modifica sostanziale dell’impianto normativo così come lo conoscevamo modifica che potrebbe addirittura assumere le dimensioni di uno stravolgimento. Tutto dipenderà da quello che verrà scritto negli atti legislativi che verranno successivamente emanati. Già, perché il Piano non è ancora un corpus organico di articoli ma è comunque un documento di indirizzo politico che imposta un nuovo modello di governance per le autorità portuali, che va a centralizzare, in capo al MIT, i poteri di coordinamento degli investimenti infrastrutturali; che va a promuovere, tra le altre cose, misure per la semplificazione delle manovre ferroviarie nei porti (per un resoconto più esaustivo si rimanda all’articolo più sotto).
I temi affrontati dal Piano sono molti e alcuni di essi, appena toccati, appaiono assai delicati e controversi.


Valgano quattro esempi tra tutti:


1) il numero delle Autorità di Sistema Portuale (dovrebbero essere non più di 14, ma al momento non è dato sapere se sia stata raggiunta una quadra): qualcuno si chiede ancora oggi se le AdSP abbiano una qualche ragion d’essere o se non rischino, piuttosto, di diventare un filtro inutile tra le nuove direzioni portuali locali e la direzione generale della portualità e della logistica del Ministero delle Infrastrutture e dei  Trasporti. «Non sempre – dice Nereo Marcucci - più debolezze insieme faranno una forza (accorpare due porti con fondali insufficienti non ne fanno uno adeguato », e il super esperto Sergio Bologna, in un saggio pubblicato poche settimane fa, “Trading ships not cargo”, mette in guardia contro il mito degli accorpamenti farlocchi: quelli buoni, forse, solo a far risparmiare qualche spicciolo sul personale. Ma neanche su questo vi sono certezze, perché? Semplice, potremmo avere almeno 14 presidenti dell’Autorità  di Sistema Portuale e almeno 10 direttori generali (addirittura 24 se fosse previsto che ogni porto, anche quelli sede di Asdp, ne debba avere uno). Questo significa, ma stiamo solo ipotizzando, che la eventuale AdSP di Civitavecchia potrebbe contare un presidente e almeno due direttori generali: uno per il porto di Gaeta e uno per Fiumicino. Le spese sarebbero maggiori.


2) Ma passiamo ad un altro tema: il lavoro portuale, di cui nel Piano si parla appena di sfuggita, forse per non fomentare gli animi ed esacerbare il malcontento: è chiaro che la questione rappresenta, molto più di altri, un terreno minato, un campo di battaglia su cui si confrontano da sempre due opposte fazioni: da una parte coloro che vorrebbero rivedere completamente il port labour italiano, svincolandolo da logiche ritenute ormai obsolete, e dall’altra quelli che, invece, aspirano a conservare il sistema degli articoli 17 e dei picchi di lavoro.


3) L’autonomia finanziaria è un altro argomento scottante: il Piano la riconosce sia pure in modo limitato, attribuendo le risorse direttamente alle Autorità di Sistema Portuale, ma con un vincolo di destinazione al  singolo porto compreso nella rispettiva circoscrizione di una quota del 50% delle disponibilità generate da ciascuno di essi. Su questo passaggio Assoporti avrebbe voluto qualcosa di più concreto, come il  riconoscimento di un sistema di autodeterminazione finanziaria che consenta alle AdSP di autodeterminare, per l’appunto, la misura della tassa portuale sulle merci imbarcate e sbarcate nei porti; quella della tassa di ancoraggio sulle navi, dei diritti portuali e dei canoni di concessione demaniale. L’obiettivo dell’Associazione dei Porti Italiani è chiaro: permettere alle AdSP, sia pure in coerenza con un  disegno strategico nazionale, di realizzare investimenti nelle infrastrutture portuali senza dover aspettare l’intervento della mano pubblica, concetto che vale ancora di più per tutti quegli investimenti che non  abbiano  un ritorno economico immediato.


4) Poi c’è la questione degli interporti: è stato – non molto tempo fa – l’attuale presidente della piattaforma logistica intermodale felsinea, Pietro Spirito, a spiegare che il 90% della merce passa da Bologna, Padova e Verona. La domanda, allora, sorge spontanea: che fare degli altri interporti? Non è un caso che  sull’argomento il presidente di Confetra, Nereo Marcucci, si sia spinto a dire che solo pochi di essi oggi  riescono a svolgere il ruolo pensato nel 1986, cioè di luoghi dove concentrare masse critiche economicamente interessanti. 

Per l’ex presidente della Port Authority labronica occorrerà presto o tardi  pensare ad un loro riutilizzo. Quale?  Non è ancora dato saperlo, così come non è dato sapere come si concilia, in concreto, la grande attenzione che il Piano riserva, giustamente, al trasporto ferroviario (L’obiettivo n.3 è completamente dedicato alle misure per la semplificazione delle manovre ferroviarie), con il fatto che ancora oggi il 70% della merce viaggia su gomma. Eppure l’autotrasporto non è affatto preso in considerazione dal PSNPL.

C’è da scommetterci: presto o tardi  la materia diventerà terreno fertile per un ampio dibattito. Così come  non mancherà di scatenare una qualche polemica la questione dei Tavoli di Partenariato della Risorsa Mare e la derubricazione de facto dei Comitati Portuali a organi meramente consultivi. I Tavoli – si legge nel Piano – avranno la funzione di avviare e mantenere un canale di collaborazione diretta con gli stakeholder del sistema portuale e logistico, ma alla fine della partita a decidere sarà il comitato di gestione composto dal presidente dell’Autorità di Sistema Portuale e dai membri nominati dalla Regione o dalle Regioni Interessate. «I porti hanno una natura complessa - afferma il neo segretario dell’Autorità Portuale di Trieste, Mario Sommariva -, senza l’articolazione della rappresentanza si rischiano inefficienze e conflitti», e Sergio Bologna solleva qualche dubbio sulla natura dei Comitati di Gestione: «Nel caso in cui Ministero e Regione siano di colore politico differente - dice –, c’è il rischio di andare incontro a un braccio di ferro che non fa che aumentare il pericolo di commissariamenti infiniti».

Ma lasciamo per un momento le grandi savane dei Tavoli di Partenariato e dei Comitati di Gestione per avventurarci nella foresta delle concessioni.

Regolamentarle in modo omogeno è sempre stata una sfida (non vinta) della legge 84/94, le cui disposizioni dell’articolo 18 sono rimaste ancora oggi in gran parte disattese.
Il riferimento è al decreto ministeriale che, secondo quell’articolo della legge, avrebbe dovuto regolamentare in modo omogeneo le concessioni demaniali e che invece non è mai stato emanato. Ora il Governo vuole metterci una pezza. Non solo: vuole aggiornare anche il regime concessorio con riferimento alla durata (da rapportarsi all’entità  degli investimenti e dei livelli occupazionali), alla disciplina del procedimento di scelta del concessionario e alla tempistica degli investimenti (con l’introduzione di adeguati meccanismi premiali e sanzionatori). Va detto per inciso, e a sottolinearlo è stato il segretario generale dell’Authority di Livorno, Massimo Provinciali (si legga il suo intervento più sotto), che prima di  parlare della riforma bisognerebbe capire quali sono i limiti di un intervento legislativo statale a Costituzione vigente.

Infatti, come spiegato dal numero due dello scalo labronico, la mancata emanazione del decreto attuativo non è attribuibile all’inerzia o incapacità del Ministero competente, bensì al fatto che subito dopo la  modifica dell’articolo 18 (legge n.186 del 2000) intervenne la riforma del Titolo V della Costituzione, che collocò la materia “porti” tra quelle a legislazione concorrente. Fu poi la Corte Costituzionale a stabilire che in quelle materie lo Stato aveva potere solo legislativo (peraltro di princìpi) e non regolamentare.

Quindi, per venirne a capo bisognerà mettere mano al titolo V della Costituzione (come per altro sta  facendo l’attuale Governo con la riforma del Senato). Va poi aggiunto, ad onor del vero, che in un passato non troppo remoto ci fu chi provò a dare una concreta applicazione all’articolo 18. Il pensiero corre al primo testo di Riforma unificato dal Senato il 12 settembre del 2012 e trasmesso alla Camera il 17 settembre del 2012, oggi arenatosi nelle pastoie parlamentari e praticamente caduto nell’oblio. In quel testo venivano già introdotti i criteri che sarebbero dovuti confluire nel previsto decreto ministeriale, prevedendo che le Autorità Portuali stabilissero la durata della concessione in relazione al programma di investimenti presentato dal concessionario, definendo i requisiti che dovevano essere in possesso degli aspiranti concessionari e regolando la sostenibilità economica della concessione (importo parametrato in ragione della prevedibile redditività). C’è da chiedersi se non valga la pena di riesumare, sua pure parzialmente, quel progetto di legge, che qualche misura interessante l’aveva prevista, come quella di affidare al concessionario la possibilità di chiedere, a fronte di investimenti ulteriori rispetto al programma presentato, una proroga della concessione stessa, ove questa fosse risultata in prossimità di scadenza.


Per intanto, quel che è certo è che oggi non è facile assimilare la disciplina delle concessioni alle figure previste dalle direttive europee, non essendo possibile inquadrare sul piano giuridico la concessione portuale né quale concessione di lavori pubblici, né quale concessione di servizi; poco male, ma anche su questo il Governo dovrà intervenire. Insomma, hic abundant leones: i terreni inesplorati sono ancora molti e il percorso che il legislatore dovrà intraprendere per tradurre il Piano Strategico Nazionale della Logistica e della Portualità in legge si rivela incerto e accidentato. Le spedizioni all’interno dell’Africa si infransero contro la barriere del Sahara, quelle del Governo potrebbero andare a sbattere contro le mura di piccole e grandi lobbies. Un esempio di come sulla materia si proceda in modo ondivago e con passo malcerto è dato dalla recente approvazione, alla Camera, del disegno di legge delega di riforma della pubblica  amministrazione, presentato dal Governo e approvato in prima lettura dal Senato. Il testo contiene prevalentemente deleghe legislative da esercitare in gran parte nei dodici mesi successivi all'approvazione della legge, volte a riorganizzare l'amministrazione statale e la dirigenza pubblica. 

All’articolo 7, comma 1,  lettera E) è prevista la riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, con particolare riferimento al numero,  all'individuazione di autorità di sistema nonché alla governance e alla semplificazione e unificazione delle procedure doganali e amministrative in materia di porti. 

Delle due una: chi comanda? Il Piano Strategico o il decreto di legge Madia?  Vedremo chi la spunterà.


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