Oggi la Gazzetta Marittima pubblica un aggiornamento a firma Antonio Fulvi sullo stato dell'arte della riforma della portualità. Ogni giornalista ha le proprie fonti e propone poi le proprie considerazioni e deduzioni in base alla sua capacità e esperienza. Nel caso di Fulvi e della Gazzetta Marittima che seguiamo con attenzione da tempo abbiamo sempre riscontrato una corrispondenza tra le previsioni avanzate e quello che poi effettivamente succedeva, meglio di un metereologo.
Questi articoli sono comunque un termometro importante del dibattito nazionale vista la autorevolezza della rivista e l'importanza del porto di Livorno. In questo caso, ci permettiamo per dovere di cronaca di segnalare che alcune delle nostre fonti sono convinte che entro breve il Governo deciderà sulla governance dei porti nella nuova riforma e che questo permetterà anche di definire tutte quelle situazioni di commissariamento che ormai riguardano la maggioranza degli scali italiani. ( fonte Trieste e dintorni )
Di venerdì in venerdì i rinvii sulla riforma
LA GAZZETTA MARITTIMA 1 luglio 2015
L’urgenza di dare un assetto alla logistica nazionale sembra
frenata dai problemi di tenuta dell’esecutivo – “Balla” ancora il numero dei
distretti – L’assemblea di Assoporti
ROMA – Da almeno due settimane, di venerdì in venerdì, la
presentazione delle linee di
riforma della riforma portuale al consiglio dei
ministri è slittata. Sembra sia di nuovo all’ordine del giorno di venerdì
prossimo, ma nessuno ormai è disposto a scommetterci. Perché l’idea che si sta
facendo avanti a livello di governo sarebbe che il premier Renzi e i suoi
abbiano già troppe rogne da gestire, senza andarsene a cercare altre in un
periodo così caldo a livello nazionale (scuola) internazionale (terrorismo) ed
europeo (Grexit).
L’ipotesi che viene fatta, sia pure in chiave molto
ufficiosa, è che per rispettare almeno formalmente l’impegno di presentare la
riforma entro il mese saranno indicate alcune linee guida di carattere generale
– compreso il principio che la “governance” del sistema avrà luogo da Roma,
chiudendo un’era di interventi a pioggia dello Stato sulla base dei potentati
politici locali – ma non si entrerà nei dettagli: specie in quelli relativi
agli “accorpamenti” dei porti.
Un tema spinoso, sul quale si sono già scatenati tutti i
livelli della politica, ciascuno ovviamente in difesa delle proprie autonomie.
E con le Regioni a loro volta sul piede di guerra – anche quelle vicine alla
maggioranza di governo (se ancora esiste) – per non essere tagliate fuori.
Attenzione: una specie di norma-grimaldello è apparsa, zitta
zitta, nella relazione della riforma della Pubblica amministrazione (delega
ministro Madia) presentata alla fine della settimana scorsa alla Camera –
commissione Affari Costituzionali – da Ernesto Carbone (Pd). Vi si legge in un
emendamento una specie di sintetica riformina delle Autorità portuali,
“governance” compresa, con l’obiettivo di raggiungere una riduzione del numero
delle stesse. Ma non si è capito fino a che punto si voglia incidere: se cioè
sia solo un tentativo di introdurre il tema, aspettando le reazioni, o sia
invece iniziata una lenta fase erosiva dell’attuale struttura.
Un punto sembra chiaro: parlare di accorpamenti in
quattordici “distretti logistici” rappresenta solo una delle ipotesi sul campo,
e a questo punto nemmeno la più probabile.
In Adriatico la guerra tra Trieste e
Venezia è già scoppiata, con lo schieramento dei grossi calibri (Debora
Serracchiani per prima). Ravenna e Ancona si sono già svincolate dai due porti
del nord (e si è quindi usciti dall’ipotesi di partenza degli otto
“distretti”).
Sul Tirreno si sta facendo tanto polverone sull’accorpamento
ventilato tra Livorno e Civitavecchia, nel timore dei livornesi di finire sotto
il gioco del “porto di Roma”; dimenticando che il governo non potrà ignorare la
graduatoria europea dei porti “core” (e Livorno è “core”, come ha ricordato
giorni fa il presidente di Confetra Nereo Marcucci, mentre Civitavecchia non lo
è).
Ma il vero nodo dell’intera riforma oggi è di natura
politica: con un governo oggettivamente debole per le tante fronde interne al
partito di comando, innescare una riforma così rivoluzionaria come tutti
chiedono – e come è stata a più riprese proposta, sia con il ministro Lupi che
con l’attuale Delrio – diventerebbe quasi certamente il detonatore di altri
scontri sul territorio. Cosa che né il Pd né tantomeno Renzi sembrano in grado
di sostenere.
I messaggi arrivati a Roma dalle periferie sono chiari: se
riforma ci dev’essere, va concordata con le Regioni. Il che significa, quasi
certamente, che dell’iniziale volontà di fare dei porti nazionali una rete
strutturata da Roma e con Roma principale referente, non se ne farà di niente.
D’altra parte il sistema di ricorrere ai commissari in attesa della riforma, se
ha respinto provvisoriamente con un compromesso gli appetiti politici locali,
alla lunga non potrà reggere, in un sistema mondiale della logistica dove nello
stesso Mediterraneo realtà portuali non italiane corrono a spron battuto.
La soluzione? Delrio potrebbe voler prendere tempo fino alla
seconda metà di luglio, quando è convocata l’assemblea di Assoporti. Ma
difficile credere che voglia essere questa la sede perché il governo
formalizzerà le proprie scelte. Ammesso, sia chiaro, che sul tema abbia davvero
delle scelte.
Antonio Fulvi
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