domenica 7 giugno 2015

MARIO SOMMARIVA FA IL PUNTO SULLA RIFORMA PORTUALE DELRIO

Carissimi,
a seguito anche delle vostre sollecitazioni vi trasmetto una nota sulla riforma portuale
Cordiali saluti   
                                                          Mario Sommariva   (*)

IL PUNTO SULLA RIFORMA DELRIO

I risultati elettorali delle recenti elezioni regionali complicano, con ogni probabilità, il cammino della riforma portuale sulla quale sta lavorando il Ministro Del Rio. 

La riforma portuale, qualunque riforma, ha al momento necessità di un’intesa “forte” con le
Regioni per potere essere adottata. Così stabilisce l’attuale quadro costituzionale. Non vi è
dubbio che il risultato della Liguria e la trionfale vittoria di Zaia in Veneto complichino il cammino di un provvedimento che, secondo le bozze circolate richiede, non solo l’intesa con ogni singola regione, ma l’intesa fra più regioni per disegnare, su base “ macroregionale”, i nuovi confini delle circoscrizioni territoriali delle Autorità portuali strategiche e poi per designare i vertici del nuovo organismo. 

In generale ritengo un esercizio inutile commentare bozze prive di ogni crisma di ufficialità. E’bene quindi attendere i passi ufficiali che il Ministro farà per avere poi un’idea precisa della direzione di marcia che il governo vorrà intraprendere in materia di portualità. 

A questo punto vorrei limitarmi ad alcune riflessioni circa le esigenze che, a mio avviso, la riforma dovrebbe soddisfare. Per chiarezza ed esigenza di sinteticità vorrei enunciare soltanto i “ titoli” dei temi che io penso dovrebbero essere affrontati. 

Per onestà intellettuale mi corre l’obbligo di dire che nella “ bozza Del Rio “ molti temi che enuncerò sono presenti ed affrontati con efficacia. Un’ ultima riflessione, sempre in premessa: trovo piuttosto superficiale, come spesso avviene, fare una valutazione dello stato di salute della portualità italiana sulla base del fatto che il solo porto di Rotterdam movimenta 11 milioni di teu contro i 10 di tutti i porti italiani messi insieme. Il peso dell’economia marittima italiana dovrebbe essere valutato sui volumi complessivi di traffico e non su un solo segmento. 

Da questo punto di vista secondo gli ultimi dati Eurostat disponibili l’Italia si trova stabilmente al terzo posto in Europa, dopo i Paesi Bassi ed il Regno Unito ma davanti a Spagna, Francia, Belgio e Germania. Sia Italia che Regno Unito, per conformazione geografica, sono nazioni a portualità diffusa, ma, come diceva Totò, “ è la somma che fa il totale “ . 

Questa considerazione dovrebbe indurre ad una valutazione più equilibrata sul fatto che, pur con tutti i limiti e gli errori che non bisogna nascondere, l’economia marittima rappresenta ancora un punto di forza di questo paese. Per fare un esempio a noi vicino, considerare che è il porto di Trieste ad alimentare dal punto di vista energetico parte della Baviera, compreso l’aeroporto di Monaco piuttosto che l’intera Austria e gran parte della Repubblica Ceca rappresenta una considerazione economicamente e strategicamente non banale. 

Fatte queste premesse proverei ad enunciare i titoli dei temi che, a mio avviso, dovrebbero essere affrontati con misure organiche ed articolate per rilanciare l’economia marittimo-portuale del paese:

  1. Considerare la politica portuale come parte di una politica industriale del paese. Adottare misure fiscali e di sostegno alle imprese che operano nella portualità e nella logistica specie quelle più esposte alla competizione internazionale, in particolare sostenendo gli investimenti in infrastrutture ed equipment. Il sostegno all’intermodalità ferroviaria dovrebbe essere parte di tale politica;
  2. Adeguare la politica infrastrutturale alla domanda effettiva ed effettivamente stimabile, tenendo conto della crisi che ha comunque ridotto le aspettative di traffico nel medio periodo e degli effetti del gigantismo navale . In questo contesto dovrebbero essere privilegiati gli adeguamenti infrastrutturali e le manutenzioni ordinarie e straordinarie limitando al minimo i nuovi interventi di pura espansione dell’offerta infrastrutturale. Questi ultimi dovrebbero essere sempre supportati da un piano di investimenti privati che ne asseverino la sostenibilità economica.  In questo senso dovrebbero essere incentivate le attività di possibile ottimizzazione dell’utilizzo delle infrastrutture esistenti. Fondamentale la semplificazione delle attività di autorizzazione e pianificazione delle opere a partire dai dragaggi;
  3. Autonomia finanziaria ed autonomia amministrativa. Il modello gestionale dei porti non può che essere fondato sull’autonomia dell’ente di gestione. Questo perché è nella natura del porto l’esigenza dell’immediatezza delle risposte da parte dell’ente di gestione.  Tendenzialmente i contributi statali dovrebbero essere verso lo zero. Solo le opere di grande infrastrutturazione decise a livello centrale dovrebbero essere a carico dello Stato. Gli enti di gestione ( AP o che dir si voglia) dovrebbero avere piena autonomia di finanziare opere, accendere mutui, accedere a finanziamenti nazionali e comunitari e/o privati. Gli accorpamenti hanno senso ed anzi sono necessari  se collegati alla reale capacità di un porto o di un gruppo di porti di sviluppare una massa critica di volumi tale da alimentare un “ cash flow” sufficiente a coprire la spesa corrente e gli investimenti . Se fosse questa la chiave di lettura che si vuol dare ad un reale impulso alla portualità nazionale sarebbe sufficiente inserire una soglia minima di traffico ( 20/25 milioni di tonnellate ad esempio ) per potere gestire un’Autorità Portuale autonoma entro un determinato ambito territoriale. L’autonomia amministrativa ( ordinamento speciale) è necessario per dotare gli enti del necessario dinamismo. Essere trasparenti come il pubblico e dinamici come i privati dovrebbe essere la caratteristica essenziale delle nuove Autorità Portuali;
  4. Governance e nuovi poteri delle Autorità Portuali. Le Autorità Portuali di tipo nuovo, più gestori di più ampie circoscrizioni territoriali, che includono le aree retro portuali, dovrebbero avere potere di pianificazione o co-pianificazione sulle aree retro portuali e sulle vie di collegamento ferroviarie  e stradali direttamente connesse ai porti di competenza. Occorrerebbe riformare il sistema delle concessioni demaniali in modo tale da rendere maggiormente contendibili le aree anche attraverso un sistema di tutela degli investimenti effettuati e delle risorse umane impiegate. In tale contesto dovrebbe essere rivisto il sistema degli incameramenti dei da parte dell’Agenzia del Demanio. Le nuove AP dovrebbero avere poteri di coordinamento effettivo ed eventuale surroga nei confronti dei diversi enti statali operanti in porto. Facendo riferimento ai PCS portuali ed ai diversi sistemi telematici delle Dogane e delle Capitanerie si dovrebbe dare impulso ad uno sviluppo intensivo dei sistemi telematici di gestione  dei flussi di dati, secondo standard nazionali e sportelli unici, ai fini della fluidificazione dei transiti delle merci e dei passeggeri;
  5. Risorse umane, sicurezza e formazione. Una politica di riforme deve fondarsi su scelte mirate ad accrescere la qualità e la sicurezza del lavoro negli ambiti portuali. Dare certezze al lavoro portuale temporaneo ( indispensabile sempre di più nell’era del gigantismo navale) sviluppare iniziative formative  per accrescere efficienza e competenze rappresentano obiettivi cruciali di una riforma che voglia guardare al futuro ed ai modelli portuali più avanzati ed efficienti.

                Mario Sommariva

Segretario Generale Autorità Portuale di Trieste

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