lunedì 12 gennaio 2015

OFFSHORE VENEZIA IN UN ARTICOLO DI PAOLO POSSAMAI

Oggi su AFFARI & FINANZA supplemento di REPUBBLICA trovate un articolo del direttore de IL PICCOLO sulla questione dell'off-shore veneziano. Se si esclude l'enfasi e l'entusiasmo del direttore per l'uscita londinese di Paolo Costa alla ricerca di finanziatori privati - di cui abbiamo un rendiconto privato non troppo lusinghiero -  la ricostruzione proposta dal Possamai è chiara e imparziale.

Se ci possiamo umilmente permettere un suggerimento sarebbe bene mettere a disposizione anche dei lettori de IL PICCOLO questo articolo, sicuramente di livello superiore all'informazione che il quotidiano triestino ha dedicato all'argomento. 

Osiamo aggiungere che il direttore del PICCOLO potrebbe - oltre a fare l'ottimo cronista - dedicare un editoriale proprio all'off shore veneziano e alle conseguenze per il Porto di Trieste .... e aggiungere anche un suo personale giudizio evitando di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Noi abbiamo ancora tante domande dietro l'angolo per aiutare a capire e valutare benefici e svantaggi.

Dal supplemento a Repubblica 

AFFARI & FINANZA del 12 gennaio 2015

Venezia e la guerra dei porti fuoco 

amico sul progetto offshore

PAOLO COSTA PRESIDENTE DELL’AUTORITÀ È ANDATO FINO A LONDRA PER TROVARE FINANZIATORI PRIVATI PER UN PROGETTO DA 2,2 MILIARDI DI EURO. MA DA TRIESTE IL GOVERNATORE PD DEL FRIULI FA FRONTE COMUNE CON RAVENNA E FRENA: IL PIANO NON REGGE

Paolo Possamai

Venezia  vedi alla voce “grandi opere”, dato che è in gioco un investimento da 2,2 miliardi di euro. E come per la Tav Torino-Lione, il progetto per il porto offshore di Venezia suscita fronti contrapposti e radicali.


Ma Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale lagunare fa spallucce e apertamente lancia il guanto di sfida. Dice Costa: “Noi siamo pronti e possiamo andare al Cipe domani, per farci approvare il progetto preliminare da mettere in gara. Lo faremo nel primo semestre di quest’anno, non appena entrerà in vigore la legge Sblocca cantieri”. Siamo dunque alla vigilia dell’esame finale sul progetto di questo nuovo porto da costruire 8 miglia al largo della costa veneta, dove i fondali hanno una profondità naturale di almeno 20 metri e dunque consentono l’attracco anche delle navi porta container da 22mila Teu, le più grandi mai viste e tuttora in costruzione. 

Ma in questa lunga partita siamo arrivati al “vedo” anche per i finanziamenti. Ed è su questo punto che Costa chiama gli oppositori a misurarsi: “Sono io che propongo al governo di finanziare questa infrastruttura solo ed esclusivamente se saremo capaci di portare entro i prossimi 12 mesi almeno uno dei due investitori privati, insomma almeno i 625 milioni necessari a realizzare uno dei due terminal”.

Se la partita va a denari, Costa mette sul tavolo carte che spiazzano. Dice che “da parte dell’Unione Europea avremmo diritto al 20% dei costi dell’opera, ma ci è stato già detto che avremo 200-300 milioni. Entriamo nel piano Juncker con certezza, perché siamo gli unici immediatamente cantierabili e nell’arco di 5 anni possiamo completare i lavori. 

Al 2020 avremo finito la parte offshore, mentre l’onshore a Marghera anche prima”. Va da sé che essere stato presidente della Commissione trasporti all’europarlamento, ma pure ministro dei Lavori pubblici con Romano Prodi come premier, e mille altre cariche fino a risalire a quella di rettore di Ca’ Foscari e alla cattedra in economia dei trasporti, pone Costa al centro di un reticolo di relazioni e competenze raro. 

Ma non per questo le bordate alla sua torre sono risparmiate e anzi vengono soprattutto dalla sua stessa parte politica. Debora Serracchiani parla da governatore del Friuli Venezia Giulia, e dunque difende Trieste. Ma parla pure da vicesegretario Pd e delegato del partito per le infrastrutture e senza remore da mesi cannoneggia il progetto di Costa. “Al porto offshore sono contraria, perché è una operazione con costi che non danno l’implementazione necessaria. Venezia non può pretendere di essere l’unico porto per i container. E comunque, se è una idea tanto brillante, dove sono i privati che mettono i loro soldi?”. 

Non meno diretto è Galliano Di Marco, presidente della Autorità portuale di Ravenna e top manager di lungo corso nel campo delle infrastrutture (delle autostrade soprattutto). Di Marco a proposito della attrazione sul progetto veneziano di poco meno di un miliardo di fondi pubblici, parla di “distorsione del mercato” e rilancia il guanto di sfida a Costa e alle cifre dichiarate nel dossier progettuale a proposito della capacità di auto-finanziamento dell’opera per la realizzazione del terminal petroli e del terminal container, valutati a base d’asta 625 milioni di euro ciascuno. 

“Mai nella nostra trentennale carriera – osserva Di Marco – abbiamo incontrato un’infrastruttura con un tasso di rendimento interno (Irr) annuo lordo del 13%. Se così fosse, senza scomodare governo italiano o commissione europea, basterebbe chiamare un Fondo di private equity per montare un project financing con equity e finanziamento bancario. Non servirebbe nemmeno un euro di finanziamento pubblico”. 

Il perno di ogni contestazione, comunque, è presto detto: se Costa dice che è necessario costruire un nuovo porto in mezzo al mare, e lo dice per superare i limiti di pescaggio della laguna di Venezia i cui canali non andranno mai oltre i 12 metri di profondità, perché non tiene conto del fatto che i fondali di Trieste arrivano a 20 metri? 

E dunque perché mai mettere soldi pubblici ricercando condizioni ambientali che esistono già in natura? 

La parola clou di Serracchiani al riguardo è il verbo “rammendare”, ossia ricucire quel che esiste e “tenendo conto della estrema penuria di fondi pubblici e della necessità di investirli con il massimo equilibrio”. 

Le argomentazioni che Costa afferma sul piano tecnico per portare avanti il suo progetto sono essenzialmente due. La prima riguarda i destini di Venezia: oltre alla profondità dei canali, pure le paratoie del Mose – nei giorni in cui si innalzeranno per proteggere la Serenissima dall’acqua alta – costituiranno una barriera all’ingresso delle grandi navi dirette a porto Marghera. 

Ma la seconda questione chiama in causa i destini della portualità italiana, e specificamente dell’Adriatico. Secondo il presidente veneziano, infatti, tutti i nostri porti finiranno fuori mercato rispetto alle navi porta container di ultima generazione, se valutati sui tre parametri dell’accessibilità nautica, degli spazi operativi e delle infrastrutture retro portuali da servire. 

“Guardando a questi tre parametri, potrei dire che pure Genova non ha futuro, invece dico che la nuova diga da 1,2 miliardi va fatta. Il nostro offshore non è in competizione con alcuno, anzi in una scala cronologica occorre che vadano avanti prima e spediti il cosiddetto progettone per Ravenna e la piattaforma logistica per Trieste. Ma siamo l’unico magnete che può attrarre le navi transoceaniche in Nord Adriatico. Dobbiamo fare tutti la nostra parte, persuasi che nessuno da solo basta”. 

La piattaforma offshore si compone di una diga foranea di 4,2 chilometri, al cui interno trovano spazio un terminal petrolifero e un terminal container in grado di accogliere contemporaneamente tre navi di ultima generazione. 

Il progetto firmato da Royal Haskoning Dhv prevede che il porto in altura sarà connesso a quattro terminal a terra (Marghera, Chioggia, Mantova e Porto Levante) tramite speciali navi autoaffondanti. Ma quanto tempo sarà impiegato tra carico/scarico in altura, trasporto sulle navi che fanno la spola e poi carico/scarico a terra e smistamento alle destinazioni finali? 

La risposta degli investitori privati alla chiamata di Costa – che a inizio dicembre ha presentato a Londra il progetto davanti a una cinquantina di fondi, banche, compagnie dello shipping – passa in primis dalla credibilità del nuovo porto su questo aspetto.


(12 gennaio 2015)

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