Se ci possiamo umilmente permettere un suggerimento sarebbe bene mettere a disposizione anche dei lettori de IL PICCOLO questo articolo, sicuramente di livello superiore all'informazione che il quotidiano triestino ha dedicato all'argomento.
Osiamo aggiungere che il direttore del PICCOLO potrebbe - oltre a fare l'ottimo cronista - dedicare un editoriale proprio all'off shore veneziano e alle conseguenze per il Porto di Trieste .... e aggiungere anche un suo personale giudizio evitando di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Noi abbiamo ancora tante domande dietro l'angolo per aiutare a capire e valutare benefici e svantaggi.
Dal supplemento a Repubblica
AFFARI & FINANZA del 12
gennaio 2015
Venezia e
la guerra dei porti fuoco
amico sul progetto offshore
PAOLO COSTA PRESIDENTE DELL’AUTORITÀ È ANDATO FINO A LONDRA
PER TROVARE FINANZIATORI PRIVATI PER UN PROGETTO DA 2,2 MILIARDI DI EURO. MA DA
TRIESTE IL GOVERNATORE PD DEL FRIULI FA FRONTE COMUNE CON RAVENNA E FRENA: IL
PIANO NON REGGE
Paolo Possamai
Venezia vedi alla
voce “grandi opere”, dato che è in gioco un investimento da 2,2 miliardi di
euro. E come per la Tav Torino-Lione, il progetto per il porto offshore di
Venezia suscita fronti contrapposti e radicali.
Ma Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale lagunare
fa spallucce e apertamente lancia il guanto di sfida. Dice Costa: “Noi siamo
pronti e possiamo andare al Cipe domani, per farci approvare il progetto
preliminare da mettere in gara. Lo faremo nel primo semestre di quest’anno, non
appena entrerà in vigore la legge Sblocca cantieri”. Siamo dunque alla vigilia
dell’esame finale sul progetto di questo nuovo porto da costruire 8 miglia al
largo della costa veneta, dove i fondali hanno una profondità naturale di
almeno 20 metri e dunque consentono l’attracco anche delle navi porta container
da 22mila Teu, le più grandi mai viste e tuttora in costruzione.
Ma in questa lunga
partita siamo arrivati al “vedo” anche per i finanziamenti. Ed è su questo
punto che Costa chiama gli oppositori a misurarsi: “Sono io che propongo al
governo di finanziare questa infrastruttura solo ed esclusivamente se saremo
capaci di portare entro i prossimi 12 mesi almeno uno dei due investitori
privati, insomma almeno i 625 milioni necessari a realizzare uno dei due
terminal”.
Se la partita va a denari, Costa mette sul tavolo carte che
spiazzano. Dice che “da parte dell’Unione Europea avremmo diritto al 20% dei
costi dell’opera, ma ci è stato già detto che avremo 200-300 milioni. Entriamo
nel piano Juncker con certezza, perché siamo gli unici immediatamente
cantierabili e nell’arco di 5 anni possiamo completare i lavori.
Al 2020 avremo
finito la parte offshore, mentre l’onshore a Marghera anche prima”. Va da sé
che essere stato presidente della Commissione trasporti all’europarlamento, ma
pure ministro dei Lavori pubblici con Romano Prodi come premier, e mille altre
cariche fino a risalire a quella di rettore di Ca’ Foscari e alla cattedra in
economia dei trasporti, pone Costa al centro di un reticolo di relazioni e
competenze raro.
Ma non per questo le bordate alla sua torre sono risparmiate e
anzi vengono soprattutto dalla sua stessa parte politica. Debora Serracchiani
parla da governatore del Friuli Venezia Giulia, e dunque difende Trieste. Ma
parla pure da vicesegretario Pd e delegato del partito per le infrastrutture e
senza remore da mesi cannoneggia il progetto di Costa. “Al porto offshore sono contraria,
perché è una operazione con costi che non danno l’implementazione necessaria.
Venezia non può pretendere di essere l’unico porto per i container. E comunque,
se è una idea tanto brillante, dove sono i privati che mettono i loro soldi?”.
Non meno diretto è Galliano Di Marco, presidente della Autorità portuale di
Ravenna e top manager di lungo corso nel campo delle infrastrutture (delle
autostrade soprattutto). Di Marco a proposito della attrazione sul progetto
veneziano di poco meno di un miliardo di fondi pubblici, parla di “distorsione
del mercato” e rilancia il guanto di sfida a Costa e alle cifre dichiarate nel
dossier progettuale a proposito della capacità di auto-finanziamento dell’opera
per la realizzazione del terminal petroli e del terminal container, valutati a
base d’asta 625 milioni di euro ciascuno.
“Mai nella nostra trentennale
carriera – osserva Di Marco – abbiamo incontrato un’infrastruttura con un tasso
di rendimento interno (Irr) annuo lordo del 13%. Se così fosse, senza scomodare
governo italiano o commissione europea, basterebbe chiamare un Fondo di private
equity per montare un project financing con equity e finanziamento bancario.
Non servirebbe nemmeno un euro di finanziamento pubblico”.
Il perno di ogni
contestazione, comunque, è presto detto: se Costa dice che è necessario
costruire un nuovo porto in mezzo al mare, e lo dice per superare i limiti di
pescaggio della laguna di Venezia i cui canali non andranno mai oltre i 12
metri di profondità, perché non tiene conto del fatto che i fondali di Trieste
arrivano a 20 metri?
E dunque perché mai mettere soldi pubblici ricercando
condizioni ambientali che esistono già in natura?
La parola clou di
Serracchiani al riguardo è il verbo “rammendare”, ossia ricucire quel che
esiste e “tenendo conto della estrema penuria di fondi pubblici e della
necessità di investirli con il massimo equilibrio”.
Le argomentazioni che Costa
afferma sul piano tecnico per portare avanti il suo progetto sono
essenzialmente due. La prima riguarda i destini di Venezia: oltre alla
profondità dei canali, pure le paratoie del Mose – nei giorni in cui si
innalzeranno per proteggere la Serenissima dall’acqua alta – costituiranno una
barriera all’ingresso delle grandi navi dirette a porto Marghera.
Ma la seconda
questione chiama in causa i destini della portualità italiana, e specificamente
dell’Adriatico. Secondo il presidente veneziano, infatti, tutti i nostri porti
finiranno fuori mercato rispetto alle navi porta container di ultima
generazione, se valutati sui tre parametri dell’accessibilità nautica, degli
spazi operativi e delle infrastrutture retro portuali da servire.
“Guardando a
questi tre parametri, potrei dire che pure Genova non ha futuro, invece dico
che la nuova diga da 1,2 miliardi va fatta. Il nostro offshore non è in
competizione con alcuno, anzi in una scala cronologica occorre che vadano
avanti prima e spediti il cosiddetto progettone per Ravenna e la piattaforma
logistica per Trieste. Ma siamo l’unico magnete che può attrarre le navi
transoceaniche in Nord Adriatico. Dobbiamo fare tutti la nostra parte, persuasi
che nessuno da solo basta”.
La piattaforma offshore si compone di una diga
foranea di 4,2 chilometri, al cui interno trovano spazio un terminal
petrolifero e un terminal container in grado di accogliere contemporaneamente
tre navi di ultima generazione.
Il progetto firmato da Royal Haskoning Dhv
prevede che il porto in altura sarà connesso a quattro terminal a terra
(Marghera, Chioggia, Mantova e Porto Levante) tramite speciali navi autoaffondanti.
Ma quanto tempo sarà impiegato tra carico/scarico in altura, trasporto sulle
navi che fanno la spola e poi carico/scarico a terra e smistamento alle
destinazioni finali?
La risposta degli investitori privati alla chiamata di
Costa – che a inizio dicembre ha presentato a Londra il progetto davanti a una
cinquantina di fondi, banche, compagnie dello shipping – passa in primis dalla
credibilità del nuovo porto su questo aspetto.
(12 gennaio 2015)
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